25 aprile 2019 - 08:53

Il Bocia alla festa in Curva: percorso a ostacoli per i pezzi di Nord ai tifosi

Grigliata d’addio, musica e coreografie, da martedì al via la demolizione

di Armando Di Landro

Il Bocia alla festa in Curva: percorso a ostacoli per i pezzi di Nord ai tifosi
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L’idea era da occhi lucidi e souvenir, qualcosa che i tedeschi realizzarono davvero quando fu demolito il Muro di Berlino. Trent’anni dopo, a Bergamo, l’impresa sembra un po’ più ardua, di mezzo ci sono le leggi sulla tutela dell’ambiente e sullo smaltimento degli inerti, norme più o meno importanti e tanti cavilli. Risultato: sarà ben difficile che i tifosi dell’Atalanta possano portarsi a casa un pezzo di Curva Nord. L’idea, poco prima di Natale, era stata di Marco Saita, che in questo contesto va definito tifoso prima ancora che avvocato, con il suo passato da Wild Kaos e le puntate sugli spalti che tuttora non mancano. «Vendeteci la Curva Nord a pezzetti, il ricavato potrebbe andare in beneficenza», era stato il suo appello in Facebook. Una mezza apertura, dall’Atalanta, c’era stata.

Ma a sei giorni dall’avvio del cantiere la situazione è ben diversa: «È ancora tutto da valutare», è l’unico commento del direttore operativo Roberto Spagnolo. Dietro le quinte, gli ostacoli normativi sembrano insormontabili: un immobile in cemento, demolito, realizzato tra l’altro parecchi anni fa, è tecnicamente da classificare come «rifiuto». E come tale da smaltire oppure da trattare in impianti appositi per il riutilizzo, per esempio come inerte per i fondi stradali (è una delle conversioni più frequenti). Conseguenze pratiche: dopo i colpi di ruspa nessuno può portarsi a casa nulla e, a norma di legge, i pezzi di Curva potrebbero essere a disposizione solo dopo il passaggio negli impianti di trattamento: ma a quel punto la poesia degli indelebili amarcord sarebbe ampiamente svanita. E beati i tedeschi, penseranno i supporter, che tanti problemi non se li erano fatti con uno dei pezzi di cemento più importanti della Storia.

L’Atalanta cerca una soluzione. Mentre montano nostalgia e malinconia, ancora prima che la storia della Curva Nord sia finita (stasera la Coppa Italia e lunedì l’ultima partita della stagione all’ormai ex Comunale, contro l’Udinese). La tifoseria ha ottenuto per sabato, alle 19, l’apertura al pubblico della Curva, perché «si chiude un pezzo di storia unico e ne inizia un altro». Ci saranno musica, carne alla griglia, coreografie, ci sarà anche il Bocia, Claudio Galimberti, che sugli spalti non può entrare dal 2009, a causa dei Daspo collezionati e dei divieti di acquistare biglietti.

Marco Saita
Marco Saita

Una festa d’addio, insomma, perché di storie, quella Curva diventata nome proprio della tifoseria, potrebbe raccontarne tante. Dai lavori per completarla (ne mancava un terzo) voluti da Achille Bortolotti nel 1971, proprio l’anno in cui nascevano i Commandos — la prima tifoseria organizzata — fino a una spannometrica politicizzazione che, riletta a posteriori, potrebbe anche sorprendere: da mascotte dei Commandos quando aveva 8 anni (nel 1976) Daniele Belotti entrò poi nelle Brigate Nero Azzurre, a sinistra, tra facce di Che Guevara su sfondo rosso sventolanti vicino ai colori della squadra. Saita stava invece nei Wka: gruppo di destra, in parte, che in realtà faceva leva sulla politica più in chiave ironica che altro, con sfottò antimeridionali che iniziarono a montare di pari passo ai primi successi leghisti.

Una divisione che restò almeno fino a metà anni ‘90 e a una sorta di riunificazione passata da quel nuovo leader che già tempo prima, nel 1988, era andato per la prima volta in trasferta all’estero al seguito della squadra, a 15 anni, guadagnandosi il soprannome di Bocia. Curva di cori, colori, passioni, «perché senza di noi farebbero tutti silenzio». E spesso anche di guai, diffide, denunce e inchieste, ma anche storie di vita: in tribunale, spesso, anche i giudici sono rimasti colpiti dalle testimonianze di persone in difficoltà, molti ex tossicodipendenti, che sono entrati in aula a raccontare come quella Curva sia stata prima un punto di aggregazione, per non dire di salvataggio, e poi di tifo.

«Il più grande centro di aggregazione della Bergamasca — non ha dubbi Belotti —. Se potessi la indicherei come “prima casa”. Ricordo che entrai nella Sud nel 1975, con mio papà, e guardavo i colori dall’altra parte più che la partita. È successo a tanti bambini». Niente di più lontano dalle definizioni tecniche di «rifiuto». «Speciale lo è stata di sicuro», chiude Saita.

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