Rivista Ingegneria dell'Ambiente n. 3-2018

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INDEX EDITORIAL

VOL. 5 NUM. 3 2018

Contaminants of emerging concern in water: what is known and what is unknown? – Paola Verlicchi

INGEGNE RIA DE LL’A M B I E N T E

ARTICLES

Characterization and treatment of contaminated marine sediments: the sediments of the Rada di Augusta (SR) – Lucia Lumia, Maria Gabriella Giustra, Gaspare Viviani, Gaetano di Bella PCDD/F and PCB-DL levels and toxicity in ambient air in Veneto, Italy – Luca Zagolin, Giovanna Marson, Salvatore Patti Experimental analysis of an advanced sorting plant for plastic packaging waste – Caterina Conte, Pietro Navarotto, Mario Grosso

TECHNICAL-SCIENTIFIC COMMUNICATIONS Criteria for the prioritization of climate change impact indicators: towards a national set of indicators – Francesca Giordano, Claudia Sebbio, Gabriele Antolini, Lucio Botarelli, Federica Flapp, Veronica Bonati, Luca Onorato, Nicola Loglisci, Graziella Priod, Renata Pelosini, Andrea Motroni, Umberto Morra di Cella

INGEGNERIA DELL’AMBIENTE 3/2018

State of the art and potential of the technologies for phosphorus recovery from sewage sludge – Roberto Canziani, Roberto Di Cosmo

TECHNICAL CONTRIBUTIONS FROM COMPANIES Single / multiple effect vacuum evaporators with forced circulation technology – Mirko Tremani Foto in copertina di Eco-Thecno

ISSN e e-ISSN 2420-8256

Ingegneria dell’Ambiente per il 2018 è sostenuta da:

N. 3/2018


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INGEGNE RIA DE LL’A M B I E N T E Ingegneria dell’Ambiente (IDA) è una rivista scientifica ad accesso aperto (open access) nata nel 2014 da un’iniziativa della Sezione Ambientale del Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale del Politecnico di Milano. La rivista è gratuita per autori e lettori (open access) ed è dotata di un sistema di revisione paritaria (peer-review).

Contributi su altri temi possono essere proposti indicando i legami con l’Ingegneria Sanitaria Ambientale, e saranno valutati dalla Direzione Scientifica della rivista. Devono essere originali nell’ambito delle pubblicazioni in lingua italiana, ossia non devono essere stati pubblicati nella stessa forma in atti di convegni o su altre riviste in lingua italiana.

Ingegneria dell’Ambiente pubblica articoli riguardanti la ricerca tecnico-scientifica nei campi di interesse dell’Ingegneria Sanitaria-Ambientale e si propone come strumento in lingua italiana per raggiungere e dialogare con tecnici ambientali, liberi professionisti, funzionari della pubblica amministrazione, formatori ed Enti di controllo.

Ingegneria dell’Ambiente pubblica: • Articoli di ricerca, che illustrano risultati di ricerche tecnico-scientifiche. • Articoli di review, che illustrano lo stato dell’arte. • Comunicazioni tecnico-scientifiche, che illustrano risultati di progetti dimostrativi o soluzioni applicative innovative. • Brevi resoconti di convegni o mostre. • Recensioni di volumi, italiani e stranieri, di interesse per i campi dell’Ingegneria Sanitaria Ambientale. • Editoriali o testi generali di inquadramento di temi di particolare rilevanza dell’Ingegneria Sanitaria Ambientale, scritti con un linguaggio divulgativo (su invito della Direzione Scientifica o del Comitato Scientifico).

La rivista ospita contributi in lingua italiana; ma sono richiesti anche un titolo e un abstract in inglese. I temi di interesse della rivista sono: • Tecnologie per acque di approvvigionamento e di rifiuto. • Riuso e recupero di energia e materia. • Inquinamento dell’aria e depurazione delle emissioni in atmosfera. • Inquinamento delle acque. • Bonifiche dei suoli contaminati. • Trattamento e gestione dei rifiuti. • Valutazione di impatto ambientale. • Cambiamenti climatici. • Analisi del ciclo di vita. • Energia e ambiente. • Sistemi di gestione ambientale. • Caratterizzazione, monitoraggio e modellistica dei fenomeni di inquinamento ambientale.

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INGEGNE RIA DE LL’A M B I E N T E

Indice

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EDITORIALE

VOL. 5 NUM. 3 2018

Ingegneria dell’Ambiente è sostenuta da:

I contaminanti emergenti nelle acque: a che punto siamo arrivati? ......................... 147 Paola Verlicchi ARTICOLI Stato dell’arte e potenzialità delle tecnologie di recupero del fosforo dai fanghi di depurazione ............................................................................................................... 149 Roberto Canziani, Roberto Di Cosmo Caratterizzazione e trattamento dei sedimenti marini contaminati: valutazioni sui sedimenti della Rada di Augusta (SR) ...................................................................... 171 Lucia Lumia, Maria Gabriella Giustra, Gaspare Viviani, Gaetano di Bella Livelli e tossicità di diossine, furani e PCBDIOXIN like in aria ambiente nel Veneto ............................................................................................................................ 187 Luca Zagolin, Giovanna Marson, Salvatore Patti Analisi sperimentale di un impianto di selezione avanzata dei rifiuti plastici da raccolta differenziata ...................................................................................................... 199 Caterina Conte, Pietro Navarotto, Mario Grosso COMUNICAZIONI TECNICO-SCIENTIFICHE Criteri per la definizione di indicatori prioritari di impatto dei cambiamenti climatici: verso un set a livello nazionale.......................................................................... 213 Francesca Giordano, Claudia Sebbio, Gabriele Antolini, Lucio Botarelli, Federica Flapp, Veronica Bonati, Luca Onorato, Nicola Loglisci, Graziella Priod, Renata Pelosini, Andrea Motroni, Umberto Morra di Cella CONTRIBUTI TECNICI DALLE AZIENDE Evaporatori sottovuoto mono e multiplo effetto a circolazione forzata ................... 227 Mirko Tremani RUBRICHE Le Aziende informano............................................................................................... 262

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trattamento

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Colophon

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DIRETTORE RESPONSABILE Stefano Caserini (Politecnico di Milano)

DIREZIONE SCIENTIFICA Stefano Caserini (Politecnico di Milano) Roberto Canziani (Politecnico di Milano)

COMITATO SCIENTIFICO

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Manuela Antonelli (Politecnico di Milano) Arianna Azzellino (Politecnico di Milano) Vincenzo Belgiorno (Università di Salerno) Giorgio Bertanza (Università di Brescia) Alessio Boldrin (DTU, Copenhagen, Danimarca) Luca Bonomo (Politecnico di Milano) Gianluigi Buttiglieri (Catalan Institute for Water Research, Girona, Spagna) Andrea Capodaglio (Università di Pavia) Alessandra Carucci (Università di Cagliari) Stefano Cernuschi (Politecnico di Milano) Raffaello Cossu (Università di Padova) Giovanni De Feo (Università di Salerno) Massimiliano Fabbricino (Università di Napoli Federico II) Elena Ficara (Politecnico di Milano) Paola Foladori (Università di Trento) Mario A. Gandini (Universidad Autónoma de Occidente, Cali, Colombia) Grazia Ghermandi (Università di Modena e Reggio Emilia) Michele Giugliano (Politecnico di Milano) Mario Grosso (Politecnico di Milano) Giovanni Lonati (Politecnico di Milano) Claudio Lubello (Università di Firenze) Francesca Malpei (Politecnico di Milano) Salvatore Masi (Università della Basilicata) Giulio Munz (Università di Firenze) Salvatore Nicosia (Università di Palermo) Senem Ozgen (Politecnico di Milano) Cinzia Pastorello (European Environment Agency, Copenhagen, Danimarca) Eleonora Perotto (Politecnico di Milano) Francesco Pirozzi (Università di Napoli Federico II) Alessandra Polettini (Università di Roma La Sapienza) Raffaella Pomi (Università La Sapienza, Roma) Marco Ragazzi (Università di Trento) Ezio Ranieri (Politecnico di Bari) Enrico Remigi (DHI, Merelbeke, Belgio) Lucia Rigamonti (Politecnico di Milano) Paolo Roccaro (Università di Catania) Francesco Romagnoli (Riga Technical University, Riga, Lituania) Diego Rosso (University of California, Irvine, USA) Sabrina Saponaro (Politecnico di Milano) Elena Sezenna (Politecnico di Milano) Fabio Tatano (Università di Urbino) Sergio Teggi (Università di Modena e Reggio Emilia) Vincenzo Torretta (Università dell’Insubria) Mentore Vaccari (Università di Brescia) Paola Verlicchi (Università di Ferrara) Renato Vismara (Politecnico di Milano) Gaspare Viviani (Università di Palermo)

COMITATO DI REDAZIONE Arianna Azzellino, Mario Grosso, Giovanni Lonati, Lucia Rigamonti, Elena Sezenna

Ingegneria dell’Ambientale Vol. 5 n. 3/2018

COPYRIGHT I testi sono pubblicati da Ingegneria dell’Ambiente con la licenza CREATIVE COMMONS Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 3.0 Italia (CC BYNC-SA 3.0 IT) http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/it/deed.it Chiunque è libero di: • Condividere – riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare questo materiale con qualsiasi mezzo e formato; • Modificare – remixare, trasformare il materiale e basarsi su di esso per le sue opere; alle seguenti condizioni: • Attribuzione – Deve essere attribuita adeguatamente la paternità del materiale, fornendo un link alla licenza e indicando se sono state effettuate modifiche. È possibile realizzare queste condizioni in qualsiasi maniera ragionevole, ma senza suggerire che il licenziante avalli il modo in cui il materiale è usato. • Non Commerciale – Non è possibile usare il materiale per scopi commerciali. • Stessa Licenza – Se si trasforma il materiale o ci si basa su di esso, è fatto obbligo di distribuire il contributo così prodotto con la stessa licenza del materiale originario. Il licenziante non può revocare questi diritti fintanto che i termini della licenza sono rispettati.

EDITORE Colorshade di Matteo M. Cabrini, Via Cristoforo Colombo, 7, 20068 Peschiera Borromeo (MI), Italia. REDAZIONE E PUBBLICITÀ: Loredana Alaimo, Tel. 329.3126157, e-mail: redazione@ingegneriadellambiente.net Registrata presso il Tribunale di Milano (n.108 del 21/3/2014) PER ABBONAMENTI: Tel. 02.2847518, Fax 02.45482383, e-mail: amministrazione@ingegneriadellambiente.net PER INFORMAZIONI: Ing. Stefano Caserini. Politecnico di Milano, Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (DICA), Sezione Ambientale, Via Golgi 39, 20133 Milano. Tel. 02.23996414, e-mail: info@ingegneriadellambiente.net Pubblicato on-line il 25 ottobre 2018. Finito di stampare in novembre 2018, presso Colorshade di Cabrini Matteo M., Via Cristoforo Colombo, 7, 20068 Peschiera Borromeo (MI).


I CONTAMINANTI EMERGENTI NELLE ACQUE: A CHE PUNTO SIAMO ARRIVATI? Paola Verlicchi

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Università degli Studi di Ferrara

Di contaminanti o inquinanti emergenti si è poi continuato a parlare, forse non sempre con l’accezione corretta. Con inquinanti emergenti si focalizza infatti l’attenzione su composti che solo di recente sono in uso o presenti. Sarebbe meglio utilizzare inquinanti di interesse emergente per sottolineare che l’attenzione è rivolta a sostanze nuove non ancora monitorate, oppure a sostanze che possono essere anche già note, già in uso e presenti nei comparti ambientali, ma che solo di recente è cresciuta l’attenzione nei loro confronti perché si sono verificati cambiamenti nel loro uso e smaltimento; oppure vecchi composti che, alla luce di nuove scoperte scientifiche o evidenze sperimentali, devono essere nuovamente oggetto di ricerche, indagini e monitoraggi per valutare quanto la loro presenza nei diversi comparti ambientali possa essere correlata a potenziali effetti negativi sulla salute dell’uomo e sull’ambiente più in generale. Tali sostanze possono essere di origine naturale o antropica, possono essere composti chimici, ma anche microorganismi. Nei loro confronti c’è il sospetto che possano causare danno all’ambiente o alla salute dell’uomo. Detto questo, rientrano tra gli inquinanti di interesse emergente anche piombo e arsenico, da sempre conosciuti, ma che continuano a essere oggetto di attenzione: vengono monitorati nelle acque, in particolare in quelle potabili. Per l’arsenico è stato abbassato il valore di qualità per l’uso potabile a 10 μg/L (era attorno a 25-40 μg/L in diversi Paesi) e in Canada si sta discutendo di portarlo a 5 μg/L. doi.org/10.32024/ida.v5i3.edt

I contaminanti di interesse emergente sono talmente numerosi, diversi e ubiquitari che solitamente sono raggruppati in classi secondo il loro uso, scopo o secondo qualche altra caratteristica. Fra questi si devono citare i farmaci (che includono molte classi terapeutiche fra cui antibiotici, analgesici/antinfiammatori, antidiabetici, anti-ipertensivi, beta-bloccanti, regolatori dei lipidi, droghe psichiatriche, ormoni naturali e sintetici…), agenti diagnostici (mezzi di contrasto), agenti antimicrobici, disinfettanti, fragranze, ritardanti di fiamma, insetticidi, pesticidi, solventi, tensioattivi, sottoprodotti della disinfezione delle acque… Non c’è una standardizzazione nella loro classificazione e alcuni composti possono essere inclusi in gruppi diversi a seconda delle caratteristiche che si vogliono evidenziare e alcuni gruppi pertanto possono sovrapporsi. Vengono immessi nell’ambiente attraverso molteplici vie: gli effluenti dei depuratori sono il principale vettore, ma possono essere rilasciati anche attraverso scarichi abusivi, runoff dei terreni agricoli o di superfici in generale, percolato di discarica... Dal punto di vista legislativo, alcuni contaminanti sono considerati dalle normative e per essi possono essere definiti limiti, per esempio per lo scarico nei corpi idrici superficiali o per la presenza nelle acque in relazione alla loro destinazione d’uso. Per altri sono in corso studi atti a stimare il rischio ambientale posto dai loro residui nei diversi comparti ambientali, sulla base dei quali si valuterà se limiti specifici devono essere fissati a maggior tutela dell’ambiente e della salute dell’uomo. Gli attuali impianti di trattamento delle acque reflue sono in grado di rimuovere solo parzialmente questi composti. Sebbene siano presenti con basse concentrazione nel refluo grezzo, dell’ordine del ng/L-μg/L, e quindi anche nell’effluente trattato siano presenti in tracce, il problema che pongono è dovuto alla continua immissione nel corpo idrico ricettore dove molti di essi restano tali e non si degradano. Sono i potenziali effetti di tossicità acuta e/o cronica dovuti ai singoli contaminanti o a loro cocktail a destare maggiore preoccupazione e a spingere i ricercatori ad analizzare il loro comportamento e a valutare l’impatto sull’ambiente. Va poi sottolineato che composti appartenenti ad una stessa classe (per esempio antibiotici, disinfettanti, antinfiammatori, ritardanti di fiamma…) possono avere caratteristiche chimiche e fisiche molto diverse e quin-

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Da tempo si parla di contaminanti emergenti nell’ambiente. Per molti gruppi di ricerca (chimici, biologi, ingegneri, ecotossicologi…) questi rappresentano uno dei principali argomenti di studio. L’interesse verso la presenza di contaminanti emergenti si può far risalire al famoso libro pubblicato da Rachel Carson nel 1962, Silent Spring, che mostrò come l’uso eccessivo di DDT e fitofarmaci avesse portato alla morte di molte specie, tra cui anche quelle che solitamente accompagnavano con il loro canto i mesi primaverili (da cui il titolo che voleva sottolineare come la primavera fosse diventata silenziosa). Fu inizialmente criticata perché sembrava non volesse considerare i benefici che le scoperte della scienza potevano portare all’umanità, ma poi gli effetti negativi sulla salute dovuti all’uso del DDT e di alcuni fitofarmaci portarono al bando degli stessi e il messaggio della scrittrice nel suo libro fu rivalutato e riconsiderato.

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di un comportamento diverso sia durante i trattamenti sia una volta rilasciati nell’ambiente. Si tratta in generale di sostanze di piccole dimensioni, idrofile, non facilmente degradabili e non volatili. Fra tutte, meritano una particolare attenzione i farmaci. Una volta assunti, una parte è escreta dall’organismo tal quale (parent compound) o sottoforma di metaboliti. Questi, una volta nell’ambiente, possono subire ulteriori trasformazioni e dare origine a composti di trasformazione (transformation products). Una valutazione completa della rimozione dei farmaci in un impianto di trattamento delle acque dovrebbe a rigore considerare non solo il parent compound ma anche i principali metaboliti e i transformation products. Ma non sempre si conoscono tutti i composti (metaboliti e di trasformazione) nĂŠ le specifiche metodiche analitiche. Si deve poi tener presente che alcuni farmaci vengono somministrati per tutta la vita, altri per periodi piĂš o meno prolungati. Ne consegue che i residui di farmaci nelle acque reflue sono estremamente variabili nel tempo e possono variare per area geografica sulla base delle diverse abitudini di consumo. Campagne di rilevamento di farmaci nelle acque dovrebbero tenere conto che monitoraggi condotti su brevi periodi potrebbero dare risultati non significativi o non rappresentativi dell’area in esame. Farmaci e prodotti per la cura e l’igiene personale, spesso indicati con l’acronimo PPCPs (Pharmaceuticals and Personal Care Products) sono ormai da alcuni decenni oggetto di studi volti ad individuare i range di concentrazione nei diversi comparti ambientali (acque superficiali e sotterranee, acque reflue civili, ospedaliere, fanghi di depurazione, suoli, sedimenti, ‌), ad analizzare l’efficacia di rimozione dei trattamenti esistenti, a determinare le concentrazioni non tossiche per la vita acquatica dovute alla presenza di loro residui. Come giĂ sottolineato, i contaminanti di interesse emergenti sono numerosi e alcuni sono stati piĂš di frequente oggetto di monitoraggi, indagini e studi: tra questi si possono citare l’antiepilettico carbamazepina, l’analgesico paracetamolo, l’antinfiammatorio diclofenac, l’antibiotico ciprofloxacina, lo stimolante caffeina e l’antimicrobico triclosan. Negli ultimi anni, l’attenzione è stata rivolta ad un piĂš ampio spettro di composti per la disponibilitĂ di nuove metodiche analitiche per il loro monitoraggio nelle varie matrici ambientali e per il crescente interesse da parte della comunitĂ scientifica di allargare il numero dei composti da indagare. Oltre all’elenco dei composti da monitorare, altri temi ampiamente trattati in letteratura e discussi nella comunitĂ scientifica sono stati la strategia di campionamento (campioni istantanei o compositi e loro numero), l’accuratezza delle misure e l’incertezza delle concentrazioni previste sulla base dei consumi, la prioritarizzazione dei composti, l’efficienza di rimozione negli impianti esistenti, le tecnologie piĂš promettenti nella riIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

Conoscenze e ÂŤdati di assenzaÂť (Knowns Knownsand andData Dataof of absence absence )

$VVHQ]D GL GDWL H FDPSL VFRQRVFLXWL

GDWL QDVFRVWL LJQRUDWL QRQ SRSRODUL Absence of data QRQ ULFRQRVFLXWL and Unknowns

Absence of Data and Unknowns: hidden

ignored hidden, ignored, unpopular, unpopular unrecognized

unrecognized

? ?

? *HVWLRQH H WUDWWDPHQWR Studi

Figura 1 – Ciò che si conosce e ciò che resta ancora sconosciuto, (What is known and what is unknown) in riferimento agli studi condotti sugli inquinanti di interesse emergente nelle acque (Adattata da EPA, 2014; tra parentesi, nel grafico, i nomi dati da Daughton alle due aree) mozione di alcuni contaminanti considerati composti chiave. A questi si aggiungono il trattamento e la gestione dei reflui ospedalieri, la valutazione del rischio ambientale dovuto alla presenza di residui di farmaci nell’ambiente, il rilascio di batteri antibiotico-resistenti, la valutazione dell’efficacia di misure diverse per la riduzione della loro presenza nell’ambiente. La collaborazione e la sinergia fra le diverse competenze (chimiche, biologiche, ecotossicologiche, ingegneristiche, geologiche, ‌) è stata fondamentale per poter arrivare a risultati significativi. I dati a disposizione sono (sembrano) tanti e l’area geografica oggetto di studi, campagne analitiche e monitoraggi che inizialmente si limitava ad alcuni Paesi Europei, Stati Uniti, Canada e Australia, si sta allargando a tutti i continenti, fornendo dati interessanti su ampie scale temporali e spaziali. Tuttavia bisogna sottolineare che ciò che conosciamo o che riteniamo di sapere è ancora una piccola punta di un grande iceberg che schematicamente è stato riportato nella Figura 1. Si tratta di un adattamento di un noto schema proposto da Christian Daughton nel 2013 (EPA, 2013) che vuole mostrare la complessitĂ del problema che qui si è cercato di delineare. Gli sforzi fatti hanno spesso evidenziato lacune nella conoscenza e indicato la necessitĂ di approfondire alcuni temi anche legati alla sostenibilitĂ tecnica ed economica delle soluzioni impiantistiche che sembrerebbero essere le piĂš promettenti nella rimozione dei piĂš comuni contaminanti di interesse emergente.

RIFERIMENTI EPA (2013) Pathfinder Innovation Projects – Exploring the Matthew Effect. United States Environmental Protection Agency. www.epa.gov/innovation/pathfinder-innovation-projects-awardees-2013.


STATO DELL’ARTE E POTENZIALITÀ DELLE TECNOLOGIE DI RECUPERO DEL FOSFORO DAI FANGHI DI DEPURAZIONE

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Roberto Canziani1,*, Roberto Di Cosmo1 Dipartimento di ingegneria civile e ambientale (DICA), Politecnico di Milano.

Parole chiave: fosforo, fosfato, acque reflue, struvite, fanghi, ceneri, Italia.

STATE OF THE ART AND POTENTIAL OF THE TECHNOLOGIES FOR PHOSPHORUS RECOVERY FROM SEWAGE SLUDGE Abstract – Phosphorus is a limited resource and its availability will decrease in the next decades. Therefore, it is important to study viable ways to recover phosphorus before it gets dispersed in the environment in too low concentrations. This study summarizes the potential recovery of phosphorus from wastewater and sludge, framing them in the broader field of phosphorus production and consumption. The regulations in force at European, national and regional level are limited to the reuse of sludge in agriculture, also as material for the production of fertilizers. The main processes/technologies for the recovery of phosphorus from the sludge line of wastewater treatment plants, both from the liquid fraction, from wet sludge, and, finally, from residual ash downstream of incineration processes are described. Finally, this report shows some preliminary data of an ongoing survey on the potential recovery of phosphorus from the sludge produced in the Milan district. The Italian production of sludge is about three million tons per year at an average dry content of 25%. The average concentration of phosphorus in the sewage sludge produced in Lombardy is 2.10% (as Ptot), in line with the value of the 75th percentile of the sample on a national scale. The average ash fraction in the sludge of the same sample is about 30%, leading to an estimate of 7% Ptot in sludge ashes or 16% as P2O5, comparable to phosphate rocks (10.9% Florida; 27.1% Morocco). In Lombardy, almost all wastewater * Per contatti: Piazza Leonardo da Vinci 32, 20133 Milano. Tel. 02.23996410. E-mail: roberto.canziani@polimi.it.

doi.org/10.32024/ida.v5i3.p01

treatment plants (WWTPs) do not operate biological phosphorus removal; occasional and uncontrolled events can be observed in the largest WWTPs in relation to the variable characteristics of the influent, to the climatic conditions and to the modes of operation. There are two main reasons that make phosphorus recovery less attractive in Italy if compared to other typical situations in Northern Europe. Firstly, in the WWTPs considered, influent P concentration is about 4-5 mg/l, lower than the reference system considered for the assessments in Northern Europe WWTPs, usually about 8-9 mg/l. Consequently, with a limit to the effluent of 1 mg/l, the percentage of phosphorus removal is lower. Secondly, the use of iron and aluminium salts for the chemical precipitation of phosphorus is widely used. This practice makes it more difficult to extract the phosphorus from the ashes, which is bound with iron and aluminium salts. The possibility of recovering sewage sludge products, recently defined by the acronym STRUBIAS (struvite, biochar, ashes from sludges) depends on: – EU directives and specific national legislation aimed at favouring/encouraging the circular economy and end-ofwaste (materials that lose the status of waste and become marketable products); – compliance with the technical specifications and regulatory requirements of the recovered product (e.g.: effectiveness of the fertilizing power); – socio-economic and environmental impacts, measurable with life cycle analysis of the product; – technical skills, better exploitation and use of existing infrastructures and business model of recovery processes and technologies; – market, which depends, as well as price, on the acceptability of products recovered by end users. The minimum cost of recovery for some processes is 2-3 €/kg of P recovered compared to about 1-1.5 €/kg of P from classical mineral sources. Therefore, today a recovery P market cannot be achieved without incentive actions that act on price, quality requirements and, finally, on the acceptance of transformers/users. Keywords: phosphorus, phosphate, wastewater, struvite, sludge, ashes, Italy.

Ricevuto il 12-4-2018; Correzioni richieste il 1-10-2018; Accettazione finale il 4-10-2018.

1. INTRODUZIONE Il fosforo (P) è un nutriente non sostituibile per la crescita di tutti gli organismi viventi. Il progressivo depauperamento della materia prima minerale si basa sulla diversità temporale del ciclo geologico Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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Sommario – Lo studio riassume le potenzialità di recupero del fosforo da acque di rifiuto e fanghi, inquadrandole nel più ampio panorama della produzione e consumo di fosforo. Le normative vigenti a livello europeo, nazionale e regionale si limitano al riutilizzo dei fanghi in agricoltura, anche come materiale per la produzione di fertilizzanti. Si descrivono in seguito i principali processi/tecnologie per il recupero del fosforo dalla linea fanghi di impianti di trattamento delle acque reflue, sia dalla frazione liquida, sia dai fanghi umidi, sia, infine, dalle ceneri residue a valle di processi di incenerimento. Infine si riportano alcuni dati preliminari di una indagine ancora in corso sulla potenzialità di recupero del fosforo dai fanghi prodotti nel distretto milanese.

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(milioni di anni) e del ciclo antropico di utilizzo delle sostanze (giornaliero o annuale). Inoltre, la risorsa primaria è fortemente localizzata in aree specifiche del pianeta. L’Europa nord-occidentale importa l’88% del fabbisogno di fosforo, circa 6,37 milioni di tonnellate per anno (Eurostat COMEXT database, 2016), da nazioni non appartenenti all’UE. Gli equilibri commerciali sono quindi fortemente influenzati della dipendenza da fonti di energia e materiali fossili ovvero dall’aspetto geopolitico. L’uso finale della risorsa è prettamente quello di fertilizzante minerale per l’agricoltura. Il rovescio della medaglia è costituito dall’eccesso di P disperso in natura con il progressivo aumento dei fenomeni di eutrofizzazione, che compromettono la qualità di molti corpi idrici superficiali e riducono la biodiversità (Carpenter, 2008; Carpenter and Bennett, 2011; Steffen et al., 2015). L’utilizzo del fosforo è un tema fortemente interdisciplinare. Infatti, nel campo scientifico (Schröder et al., 2010; Withers et al., 2015a), politico (EC, 2014a,b,c,d) ed economico (Schipper, 2014; Withers et al., 2015b) sono molte le proposte per migliorare l’efficienza della gestione dei flussi di fosforo e per aumentare il riciclo di fosforo nelle attività antropiche e, quindi, anche dei flussi di risulta del trattamento delle acque reflue urbane.

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2. FOSFORO: CONSUMO DELLA MATERIA PRIMA E PRODUZIONE SOSTENIBILE

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Due terzi delle principali riserve minerali di fosforo si trovano in Cina, Marocco, Stati Uniti e Russia (U.S. Geological Survey, 2017). Le fosforiti da cui si estrae anidride fosforica (P2O5) possono essere di due tipologie: sedimentarie (80-90% della produzione mondiale) e magmatiche (10-20% della produzione mondiale). Il quantitativo complessivo di fosforiti estratte dalle miniere mondiali è pari a circa 261 milioni di tonnellate (U.S. Geological Survey, 2017). La percentuale media mondiale di P2O5 contenuta nelle rocce dopo le lavorazioni preliminari è valutata pari al 30% (IFDC, 2010). L’estrazione di rocce fosfatiche è in costante crescita (circa 4%/anno) e, su scala globale, nel 2017, il prelievo pro-capite di rocce fosfatiche estratte risulta pari a 35,7 kg/persona. L’anidride fosforica che se ne ricava è utilizzata principalmente per la produzione di fertilizzanti utili ad incrementare fino al 50% i raccolti agricoli (Stewart et al., 2005) a causa della sempre maggiore richiesta mondiale di cibo. Se si considera la richiesta di P2O5 per la produzione di Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

fertilizzanti, cibo per animali e applicazioni industriali si individua una crescita annua del 2,4%. In questa sede non si affronta la questione della quantificazione globale delle riserve minerali di rocce fosfatiche. Ci si limita a segnalare che i modelli sulle stime dei flussi di prelievo/consumo di P (Déry e Anderson, 2007; Ward, 2008; Cordell et al., 2009 e 2011; Smit et al., 2009) sono discordi sulla valutazione del momento in cui si avrà il picco di estrazione di rocce fosfatiche che precederà il declino della risorsa primaria. Pur considerando scenari ottimistici, in cui si preveda un picco di produzione intorno al 2100 (van Vuuren et al., 2010), occorre sottolineare che la progressiva scarsità della materia prima con un più elevato tenore specifico di anidride fosforica (IFDC, 2010) porterà ad un sostanziale incremento di prezzo (Indexmundi, 2015). Dallo studio proposto da van Dijk et al. (2016), si può estrapolare un bilancio generale europeo del fosforo riferito ai dati dell’anno 2005 rispetto al 2016, dal quale si evidenzia l’aumento dei consumi di P. In Tabella 1 sono riportati i quantitativi complessivi di fosforo considerato come perduto a valle dei processi di: produzione agricola, animale, cibo, industriale e nel consumo umano finale che costituiscono il ciclo antropico. I quantitativi sono riportati in funzione dell’output finale dei diversi settori di consumo. Dai quantitativi evidenziati in Tabella 1 risulta evidente come il recupero dei flussi di scarto del ciclo antropico risulti essenziale per porre un freno alla diminuzione esponenziale della materia prima P, intesa come roccia fosfatica. Il fosforo può essere quindi sostituito da una risorsa che possiamo chiamare “secondaria”, ovvero dalla materia prima recuperata a valle dei processi che la utilizzano. Su Scala europea si individua una percentuale media di fosforo in uscita dagli impianti di trattamento delle acque, ovvero fanghi di depurazione e flussi di acqua trattata, pari al 40.3% della totalità del fosforo perso nel ciclo antropico. L’apporto fosforico in uscita dagli impianti risulta pari a circa il 24% del quantitativo di fosforo complessivamente acquistato in Europa. La piattaforma WssTP (Water sanitation and supply Technology Platform) stima un risparmio di circa 1300 milioni di euro se solo il 10% delle portate da depurare fossero trattate per il recupero del fosforo (WssTP, 2005). In base ai dati proposti da van Dijk et al. (2016), per lo scenario italiano si possono stimare circa 300.000 t/anno di fosforo (P) importate, 35.000 t/anno esportate e 130.452 t/anno perdute nel ciclo


Tabella 1 – Quantitativi di fosforo perso per settore di consumo estrapolati dal bilancio europeo del fosforo proposto da van Dijk et al. (2016) % P perso (van Quantitativo di P perso (Mt/anno) Dijk et al., 2016) 2005 2016a

Settore di consumo Fanghi di depurazione

34,6

0,51

1,21

Effluente impianti di depurazione

5,7

0,08

0,20

Impianti di depurazione decentralizzati

5,5

0,08

0,19

Acque reflue non collettate

4,9

0,07

0,17

Acque reflue municipali non trattate

2,5

0,04

0,09

Acque reflue decentralizzate non trattate

1,6

0,02

0,06

Scarti alimentari (industriali e urbani)

26,8

0,39

0,94

6,0

0,09

0,21

12,4

0,18

0,43

1,46

3,50

Scarti di cartiera, non adatti all’agricoltura e lignei, altre attività industriali, ruscellamento Scarti di cibo per animali, deiezioni animali, decessi animali e umani P totale perso P totale in ingresso

2,39

6,37

% P perso nel ciclo antropico

61%

55%

Acque

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a Per il 2016 i calcoli sono stati effettuati considerando le percentuali di P perso riportate da van Dijk et al. (2016), e considerando una frazione media complessiva di P perso nel ciclo antropico pari al 55%, minore rispetto a quella del 2005 in quanto si ipotizza un sostanziale miglioramento della gestione del P nei processi produttivi (es: il minor uso di P per i detergenti).

doi.org/10.32024/ida.v5i3.p01

vello nazionale. Solo recentemente, nella cosiddetta “legge finanziaria” (bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) si demanda al Ministero dell’Ambiente l’istituzione di un fondo destinato alla realizzazione della piattaforma italiana del fosforo, che raccolga informazioni sulla filiera di approvvigionamento della materia prima e sulle possibilità di raggiungimento dell’autosufficienza del ciclo antropico. Indexmundi (www.indexmundi.com) riporta l’andamento dei prezzi dei fertilizzanti nel corso degli ultimi 20 anni. Occorre puntualizzare come il costo sia riferito a standard specifici per ogni tipologia di materia prima. In Tabella 2 si riportano i prezzi del superfosfato, del fosfato diammonico e della roccia Tabella 2 – Costo specifico e percentuale di P2O5 per il triplo superfosfato (TSP), fosfato di-ammonico (DAP) e rocce fosfatiche (FAO, 2017) Tipologia di fertilizzante TSP

Superfosfato concentrato

DAP Fosfato diammonico -

Rocce fosfatiche

Costo specifico (€/t)

%P2O5

2005

2017

167

230

45

210

320*

47

35

67

31

* Il costo del fosfato diammonico aggiornato al marzo 2018 e riportato da Agribusiness (2018) è pari a 324 €/t, escluse le spese di trasporto via nave (22-24 €/t) per DAP nord africano.

IdA

antropico, ovvero circa il 43% del fosforo complessivo acquistato. Gli output riferiti ai soli processi di depurazione delle acque reflue riportano circa 43.000 t/anno, ovvero il 33% di fosforo perduto rispetto al quantitativo complessivamente uscente dal ciclo antropico. Se in via del tutto ipotetica si riportassero le percentuali di ripartizione del fosforo perduto per settore di consumo del 2005 all’anno 2016 secondo van Dijk et al. (2016) e, si considerasse l’ipotesi di una diminuzione del 5% del quantitativo di fosforo perduto all’interno del ciclo dei processi antropici, in analogia a quanto già effettuato per la Tabella 1, sarebbe possibile stimare in circa 116.500 t P/anno il P perduto, di cui 38400 t P/anno sono riferibili al P disperso nei fanghi e nell’effluente dei processi di depurazione. Il calcolo porterebbe a stimare una quantità di fosforo recuperabile dai processi di trattamento delle acque reflue pari al 17% del quantitativo annuo acquistato. Elaborando, invece, i dati della FAO (2017) si possono stimare, al 2005, circa 180.000 t P/anno importate in Italia come minerale fertilizzante. Ciò significa che la stima massima del quantitativo recuperabile dagli impianti di trattamento delle acque (fanghi di depurazione e acque reflue effluenti) risulterebbe pari al 23% della materia prima minerale acquistata per scopi agricoli. Non esistono per l’Italia valutazioni più precise o più recenti sui quantitativi di fosforo acquistati a li-

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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Rocce fosfatiche

+ Acido fosforico

Fornace elettrica a 1150°C

Acido fosforico 0-56-0 Ortofosfato per industria alimentare

Triplo superfosfato (0-46-0) ortofosfato

Acido fosforico

Acido fosforico 0-54-0 ortofosfato Calore

Calore NH3 Super Acido 0-72-0 + Acqua polifosfato e ortofosfato

KOH

NH3

Urea

9-18-9 ortofosfato

3. IL FOSFORO “SECONDARIO” DA IMPIANTI DI DEPURAZIONE

18-46-0 (DAP) 11-52-0 (MAP) ortofosfati

10-34-0 (polifosfato e ortofosfato) 11-37-0 H2O

0-0-62 (potassio) 28-0-0 (soluzione urea-ammonio-nitrato)

7-21-7 (polifosfato e ortofosfato)

Figura 1 – Classificazione di alcuni fertilizzanti fosforici in funzione del processo produttivo (modificato da www.extension.umn.edu). I numeri tra parentesi rappresentano le percentuali di N-P-K del prodotto

fosfatica con le corrispondenti percentuali di P2O5. L’indicazione dei costi della materia prima sono importanti per valutare la fattibilità economica del recupero di fosforo dal ciclo antropico e in particolare dagli impianti di trattamento delle acque. Si segnala che le informazioni riguardanti i fertilizzanti naturali importati in Italia indicano che la percentuale di anidride fosforica minima per essere conteggiata nel database deve essere almeno pari al 25% (FAO – Statistics on fertilizers, 2017, “Trade values, Definitions and standards”). In Figura 1 si riporta una classificazione base di diversi fertilizzanti in funzione del loro processo produttivo.

Il recupero del fosforo è un processo di riciclo funzionale e inoltre utile alla prevenzione dell’eutrofizzazione (Joint Research Centre, 2018). La transizione verso un utilizzo sostenibile del fosforo si compone di molteplici azioni da applicare nei processi antropici. Gli interventi a scala locale spaziano dal bando del fosfato nei detergenti alla minimizzazione dell’erosione, passando per l’adozione di processi di recupero della bio-risorsa, non tralasciando, anche, la ridefinizione delle diete per uomini e animali. Una percentuale consistente della potenzialità di recupero proviene dallo sfruttamento dei prodotti finali dei processi depurativi. La comunità europea considera il riutilizzo agricolo dei residui del trattamento delle acque reflue come “best practice” per il recupero di materia fosfatica secondaria. Per tali motivi è già in corso una proposta di regolamento europeo del pacchetto economia circolare (Procedure 2016/0084/COD) per la definizione di norme relative alla messa a disposizione sul mercato di prodotti fertilizzanti recuperati da materie seconde, inclusi i fanghi di depurazione. Tecnologie di recupero possono essere applicate a flussi in uscita (es.: fanghi destinati allo smaltimento finale) oppure con integrazione di processi innovativi all’interno delle linee di trattamento dei processi depurativi. Negli ultimi 10 anni sono stati sviluppati numerosi progetti europei sul recupero del fosforo dal ciclo antropico. In Tabella 3 sono riportati i principali progetti europei (ultimati o in corso) che valutano le possibilità di recupero del fosforo dai residui degli impianti di trattamento delle acque reflue. Per una lista completa dei pro-

Tabella 3 – Principali progetti europei e non riguardanti il recupero di fosforo secondario Progetto Phosfarm

Link web

Descrizione sintetica

http://cordis.europa.eu/result/rcn/1651 Recupero di residui animali e digestato mediante fosfatasi e precipitazione del fosforo inorganico dalle frazioni liquide. 29_it.html

Recupero di fosforo dal trattamento delle acque reflue urbane. Stima il pohttp://www.nweurope.eu/projects/projecttenziale recupero in 113.000 tP/anno, che coprirebbe il 26% della domanPhos4You search/phos4you-phosphorus-recoveryda nell’Europa nordoccidentale, che, nel 2015 ha importato quasi il 100% from-waste-water-for-your-life/ del suo fabbisogno.

IdA

P-REX

152

http://p-rex.eu

Costituisce la prima valutazione di tutte le tecnologie innovative e delle tecniche utilizzabili per il recupero del fosforo dai fanghi di depurazione o dalle ceneri del mono-incenerimento.

RecoPhos http://www.recophos.org

Recupero di fosforo dalle ceneri residue dell’incenerimento dei fanghi di depurazione mediante processo sostenibile.

SMARTPlant

Soluzioni eco-innovative in 9 impianti pilota installati per due anni in 5 impianti di depurazione. Automazione dei processi per recupero di risorse, riduzione di energia ed emissioni di gas climalteranti.

http://smart-plant.eu

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Acque

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Figura 2 – Schema di flusso di un impianto di trattamento delle acque reflue urbane (adattato da Kabbe, 2013 e Montag, 2008). Recupero del fosforo: 1 – dall’effluente, 2.1 – dai surnatanti della linea fanghi, 2.2 – da fanghi non digeriti, 3.1 – da fanghi digeriti, 3.2 – da fanghi post-ispessiti, 3.3 – da fanghi disidratati, 4 – dalle ceneri di processi di mono-incenerimento, 5 – da utilizzo diretto in agricoltura del fango disidratato

getti si rimanda alle informazioni contenute nelle banche dati europee: • European Phosphorus platform (https://phosphorus platform.eu/); • Sito CORDIS (http://cordis.europa.eu/); • Sito HORIZON 2020 (https://ec.europa.eu/ programmes/horizon2020/en). Una estesa panoramica dei progetti, redatta nel luglio 2017, è disponibile in ESPP (2017). Una estesa rassegna sulle tecnologie di recupero del fosforo dalle acque di rifiuto è riportata anche in Zhou (2017). In Figura 2 è riportato uno schema generale di trattamento delle acque reflue urbane costituito da: sedimentazione primaria, processo a fanghi attivi con pre-denitrificazione e ossidazione/nitrificazione, trattamento di digestione anaerobica dei fanghi primari e biologici e possibile trattamento “sidestream” dei flussi surnatanti provenienti dalla linea fanghi. In Figura 1 sono indicati anche i principali punti di estrazione/recupero di materia prima del rilascio

finale al corpo idrico. Si può identificare un insieme di processi specifici per il recupero di prodotti fosfatici in funzione della sezione della linea acque o della linea fanghi scelta come fonte del recupero. Una prima classificazione dei processi applicabili ai flussi di un impianto di depurazione è riportata in Tabella 4. Non è quindi compreso il recupero del nutriente da collettamento separato delle urine e successivo recupero per cristallizzazione di struvite (Bán e Dave, 2004, Ganrot et al 2007). Nelle sezioni 3.1 e 3.3, ovvero dei fanghi tal quali digeriti e dei fanghi disidratati, possono essere considerati anche quei processi non specificatamente mirati al recupero del fosforo come materia seconda ma dediti alla produzione di ammendanti compostati con fanghi in rispetto del D.Lgs 75/10. La sezione 5 di Figura 1 rappresenta lo spandimento diretto dei fanghi disidratati. L’alto contenuto di P nei fanghi di depurazione è dovuto all’effetto di accumulo del fosforo nelle

Tabella 4 – Processi di recupero del fosforo applicabili a diverse matrici, in diverse sezioni di un impianto di depurazione, riferite alla Figura 2; da Egle et al. (2016), modificata

Sezione

Processo

1

Precipitazione

1

Scambio ionico

2.1; 2.2

Precipitazione/ Cristallizzazione

2.2

Cristallizzazione

Fanghi Sezione

Processo

Sezione

3.1

Lisciviazione chimica a umido

3.2

Ossidazione a umido

3.2 3.3 3.3

doi.org/10.32024/ida.v5i3.p01

Ceneri

Ossidazione a umido super critica Gassificazione con fusione dei fanghi

Processo Termo-chimico a base di cloruri (es: MgCl2) Termo-chimico a base di sali di sodio (es: Na2SO4)

4 Estrazione chimica, per lisciviazione acida delle ceneri

Carbonizzazione idro-termica

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IdA

Fase acquosa

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Tabella 5 – Percentuali di anidride fosforica (su base secca) in diverse matrici Campione Fanghi urbani

%P2O5

Bibliografia

5,6 – 22,00 Hossain et al., (2009)

Fango urbano con precipitazione di Al2(SO4)3

6,13

Pettersson et al., (2008)

Fango urbano con precipitazione di Fe2(SO4)3

5,86

Pettersson et al., (2008)

Letame suinicolo

5,20

Huang et al., (2011)

Letame bovino

1,50

Huang et al., (2011)

Trucioli di legno

1,27

Pettersson et al., (2008)

Superfosfato singolo

18,00 – 20,00 Adam et al., (2009)

Superfosfato triplo

40,00 – 46,00

IPNI (2017)

urine e nelle feci e all’effetto della concentrazione dei fanghi mediante trattamenti di separazione solido-liquido. La percentuale di fosforo nella frazione secca dei fanghi di depurazione può variare tra 1,53% (Song et al., 2014) e 3,77% (Gao et al., 2014). Hernandez et al. (2011), ri-

porta una percentuale di fosforo di circa 4% sul secco. Considerando la percentuale di P2O5, ovvero, la metodologia standard per descrivere il contenuto di fosforo nella matrice solida per uso fertilizzante, Hossain et al., (2009), peraltro su un numero limitato di campioni di fanghi urbani prelevati a Sidney (Australia) misura percentuali comprese tra 5,6 e 22% di anidride fosforica (Tabella 5).

4. IL CONTESTO NORMATIVO DEI FANGHI DI DEPURAZIONE La struttura normativa riguardante i fanghi di depurazione è ampliamente disaminata in letteratura (si veda: ISPRA 2015, A2A ambiente, 2017; Sanna, 2017). In Tabella 6 si riporta una sintesi dei principali riferimenti normativi europei e nazionali riguardanti la tematica dei fanghi di depurazione, il loro smaltimento e il possibile riutilizzo agricolo. La normativa fondamentale è il D.Lgs 99/92, richiamata anche dalle successive modifiche e integrazioni. La condizione indispensabile per utiliz-

Tabella 6 – Sintesi del quadro normativo europeo e italiano Norma

Sintesi

Descrizione Normativa europea

86/278/CE

Direttiva fanghi e liquami

Regola l’utilizzo dei fanghi, specifica i valori massimi previsti per i metalli pesanti nel suolo e nei fanghi e definisce le quantità annue massime per lo spandimento sui terreni.

91/676/CE

Direttiva nitrati

Stabilisce misure di protezione dall’impatto dei nitrati sul suolo.

2008/98/CE

Direttiva rifiuti

Definisce il compito delle autorità nazionali per la gestione dei rifiuti, promuove riuso e riciclo e stabilisce i criteri per la difesa dell’ambiente.

Documento 21 settembre 2010

Working document on sludge and bio-waste

Primi accenni alla produzione e al consumo sostenibile.

Normativa italiana

IdA

Metodiche analitiche Metodi analitici per i fanghi IRSA-CNR (1984) Normativa tecnica Caratteristiche chimico-fisiche e del CEN reologiche

154

D.Lgs 99/92

Normativa fanghi

Recepisce la 86/278/CE, disciplina i fanghi in agricoltura (norme regionali specifiche).

D.Lgs 152/2006 e modifiche integrative

Norme in materia ambientale

Nella Parte IV i fanghi di depurazione sono considerati rifiuti speciali non pericolosi e devono essere riutilizzati ogni volta in cui il loro impiego risulti appropriato. Vieta lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci o salmastre.

Decreto interministeriale n. 5046 del 25 febbraio 2016

Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica

Disciplina l’uso agronomico degli effluenti di allevamento, del digestato di origine agricola e agroindustrale, delle acque reflue, ma non dei fanghi di depurazione.

D.Lgs 36/2003

Disciplina discariche

D.Lgs 75/2010

Disciplina ammendanti e fertilizzanti

D.Lgs 205/2010

Disciplina combustibile solido secondario

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

Elenca i rifiuti non smaltibili in discarica. I fanghi possono essere smaltiti in discarica se palabili. Impiego dei fanghi “opportunamente trattati” come ammendanti in agricoltura.


zare fanghi (soli, miscelati o compostati) in agricoltura è il rispetto dei vincoli in esso previsti (allegato I A, Allegato I B). Il D.Lgs 75/2010 consente di produrre ammendante compostato anche utilizzando fanghi di depurazione, purchè il prodotto sia conforme ai limiti in esso riportati (Allegato 2). Il prodotto ammendante non è più considerato un rifiuto (end-of-waste). Lo spandimento di fanghi in agricoltura è ulteriormente soggetto a legislazione regionale e locale. In Tabella 7 sono riportati i riferimenti normativi delle principali regioni utilizzatrici dei fanghi di depurazione per scopi agricoli. La dinamicità della legge regionale della Lombardia in cui gran parte dei fanghi italiani vengono trasformati in prodotti utilizzabili per l’agricoltura, ha causato una forte variabilità al prezzo di smaltimento finale del fango. Le variazioni normative lombarde in risposta al comportamento non propriamente corretto di alcune aziende di trasformazione e smaltimento finale ha causato un incremento sostanziale del costo specifico per la destinazione agricola fino a circa 100€/t25% (t25% rappresentato le tonnellate di fango al 25% di sostanza secca). Il tema riguardante i fanghi di depurazione nel nostro paese è valutato soprattutto dal punto di vista dell’utilizzo agricolo e con il disegno di legge del senato 2323/2017 si intende delegare al governo un’ulteriore modifica della normativa in materia di utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura.

In Inghilterra circa il 18% dei fanghi di depurazione è inviato alla distruzione termica (Water UK, 2010). In Svizzera, già dal 2008, la totalità dei fanghi di depurazione viene inviata a processi di incenerimento dedicati. Ai sensi di una gestione sostenibile dei rifiuti, l’Ufficio federale dell’ambiente svizzero (UFAM) riporta che i fanghi di depurazione disidratati contengono circa l’1% di fosforo, mentre le ceneri superano il 6%. Dal 2016 in Svizzera si sta delineando l’applicazione della normativa che obbliga al recupero del fosforo dalle ceneri derivanti dai processi di incenerimento. Dai primi mesi del 2018 è stato lanciato un gruppo di lavoro che definisca quale percentuale debba essere recuperata e in che condizioni (Swiss – German phosphorus recycling conference, 2017). Analogamente, in Austria, l’obbligo è imposto agli impianti con potenzialità maggiore di 50.000 AE. In Germania è previsto il recupero del fosforo per impianti di potenzialità superiore a 50.000 AE se il contenuto su base secca supera il 2%. Inoltre, tali richieste sono previste anche per tutti i piccoli impianti che non potranno inviare i propri fanghi in agricoltura a causa delle restrizioni sempre più esigenti della normativa tedesca sui nitrati (Swiss – German phosphorus recycling conference, 2017). L’Europa demanda alle singole legislazioni nazionali la regolamentazione riguardante i combustibili solidi secondari (CSS). Nel nostro paese i fanghi disidratati non sono inclusi nell’elenco dei combustibili solidi secondari e non è ancora operativa la normativa statale dedicata all’economia circolare.

Acque

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Regione

Lombardia

Emilia Romagna

Veneto

Piemonte

Norma

Descrizione

Deliberazione n. X/2031 del 01/07/2014

Disposizioni regionali per il trattamento e l’utilizzo, a beneficio dell’agricoltura, dei fanghi di depurazione delle acque reflue di impianti civili ed industriali in attuazione dell’Art. 8, comma 8, della Legge Regionale 12 Luglio 2007.

Sentenza C.C. n. 234 del 31/01/2017

Rispetto, per l’uso agronomico dei fanghi in uscita dagli impianti di trattamento, dei valori limite previsti per la matrice ambientale suolo di cui alla Tab. 1, Colonna A, Allegato V, Parte IV del D.Lgs 152/2006.

Deliberazione n. X/7076 del 11/09/2017

Disposizioni integrative, in materia di parametri e valori limite da considerare per i fanghi idonei all’utilizzo in agricoltura, alla DGR 2031/2014.

Deliberazione 1801 7/11/2005

Integrazione e modifica della deliberazione 2773 del 29 dicembre 2004 come modificata dalla deliberazione n. 285 del 14 febbraio 2005 inerente le disposizioni in materia di gestione dei fanghi in agricoltura.

DGRER 550/2007

Definisce valori soglia di attenzione per l’utilizzo del fango.

DGRV n. 2241/2005

Limiti per i fanghi di depurazione biologica utilizzati in agricoltura.

DRGV n. 568/2005

Limiti per i fanghi di depurazione biologica in ingresso agli impianti di produzione dell’ammendante compostato di qualità.

DGRV n. 235/2009

Modifiche al 2241 e 568.

D.C.R. n. 140-14161 del 19 aprile 2016

Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e dei fanghi di depurazione.

doi.org/10.32024/ida.v5i3.p01

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

Tabella 7 – Sintesi del quadro normativo regionale riferito alle regioni con maggiore produzione e smaltimento agricolo dei fanghi

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Acque

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La differenziazione dello smaltimento ultimo dei fanghi mediante processi di mono-incenerimento non è ancora prevista dalla legislazione nazionale. Solo negli ultimi mesi del 2017 i concetti di economia circolare iniziano ad entrare nelle previsioni delle aziende del servizio idrico integrato, con studi di ricerca e innovazione per il recupero del fosforo dalle ceneri di combustione o dalla precipitazione della struvite, o fosfato ammonico-magnesiaco (MgNH4PO4·6H2O) o MAP (mono-ammonium phosphate).

5. TECNOLOGIE DI RECUPERO Il paragrafo riprende la classificazione proposta in Tabella 4. Per completezza sono state considerate anche le opzioni di utilizzo agricolo dei fanghi attualmente normate in Italia sintetizzate in Tabella 8. Queste costituiscono la base di confronto per i processi di recupero del P applicabili in specifiche sezioni dell’impianto tipo in Figura 2. In Tabella 9 (a pagina seguente) si riporta una sintesi di tali processi/tecnologie. I processi e le tecnologie per il recupero del fosforo sono in forte fase di crescita, soprattutto nell’ultimo anno. Le informazioni qui raccolte non possono coprire la totalità dei processi attualmente studiati o utilizzati nel mondo. Si rimanda a https: //de.batchgeo.com/map/0f9d56a3aa57a51379a3c b23af27d202 per un elenco sintetico geo-localizzato delle principali tecnologie aggiornato al 2017 di cui la Figura 3 riporta una visione a livello europeo. 5.1. Uso diretto in agricoltura (UdA) L’applicazione diretta su terreni agricoli può essere considerata una metodologia di recupero del fosforo contenuto nei fanghi disidratati. Da dati Utilitalia (2017) su un campione che copre il 46,5% (pari a 35 milioni di AE) della potenzialità complessiva degli impianti italiani, la produzione annuale di fanghi risulta pari a 395.000 tonnellate di

Figura 3 – Geolocalizzazione dei processi di recupero del P da impianti di trattamento delle acque reflue in Europa. In esercizio (in rosso), pilota (in blu), in costruzione (in verde), pianificati (in giallo)

sostanza secca (tSS/anno). Il 15% di tali fanghi viene inviato in agricoltura e il 41% a impianti di compostaggio. Rientrano in questa categoria i fanghi di cui al D.Lgs 99/92 e modifiche regionali specifiche. 5.2. Trasformazione in correttivi (Tc) e ammendante compostato con fango (Acf) In questa categoria rientrano i fanghi di cui al D.Lgs 99/92 e integrazioni successive che possono essere utilizzati nella creazione di un prodotto (e non più un rifiuto) ammendante dopo miscelazione con matrici dell’ammendante compostato misto e verde. La percentuale in peso del fango di depurazione non può essere superiore al 35% della miscela iniziale. Dal 2016 con le modifiche al D.Lgs 75/2010 è rientrato tra i prodotti end of waste anche il correttivo calcio-magnesiaco (gesso o carbonato di calcio di defecazione – biosolfato). La trasformazione in gesso di defecazione avviene mediante idrolisi basica con miscelazione del fango disidratato con ossido di calcio e acido solforico.

Tabella 8 – Sinottico dei processi di recupero dei fanghi in agricoltura attualmente normati in Italia Processo

IdA

Spandimento diretto

156

Prodotto recuperato -

Caratteristiche richieste

D.Lgs 99/92 e modifiche regionali specifiche 5 – fanghi disidratati D.Lgs 99/92 e modifiche regionali specifiche 2.2-5 – fanghi biologici tratper i fanghi e D.Lgs 75/2010 per il prodotto tati o non trattati finale end of waste

Compostaggio

Ammendante compostato con fango

Idrolisi

Ammendante bio-solfato Punto 2.1 dell’allegato 3 del D.Lgs 75/2010

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

Sezione dell’impianto

3.1-3.2-5 – fanghi digeriti/ ispessiti o fanghi disidratati


Tabella 9 – Sintesi dei principali processi/tecnologie di recupero del fosforo dalla fase acquosa (sezioni 1 e 2. in Figura 2), dalla linea fanghi (sezioni 3. in Figura 2) e dalle ceneri di processi termici (sezione 4. in Figura 2) Processo

Scala

Prodotto recuperato

Caratteristiche richieste

Pearl (OSTARA)®

Piena

Struvite (Crystal green)

EBPR e minima rimozione chimica del P (Britton, 2009)

P-ROC®

Pilota

Fosfato di calcio

Elevato P solubile ed EBPR

Phostrip

Piena

Fosfato di calcio o struvite

EBPR

Phospaq

Piena

Struvite

EBPR

DHV Crystalactor®

Piena

Fosfato di calcio o struvite

EBPR

Unitika Phosnix

Piena

Struvite

EBPR

Lab

Fosfato di calcio

EBPR

Lab

Struvite

Trattamenti terziari

Kurita

Piena

HAP o Struvite

EBPR

AirPrex®

Piena

Struvite

EBPR

NuReSys

Piena

Struvite

Fix-Phos

Pilota

Fosfato di calcio

Seaborne/Gifhorn

Piena

Struvite

Suggerito EBPR

Budenheim/ExtraPhos®

Pilota

Fosfato di calcio

Qualsiasi fango, anche da rimozione chimica del P mediante sali ferrosi

Lab

Acido fosforico

EBPR o precipitazione del P mediante sali di alluminio (Blocher et al., 2012)

Prisa

Pilota

Struvite

EBPR

HeatPhos

Piena

Fosfato di calcio

EBPR

Wasstrip

Pilota

Struvite

EBPR

Kobe MAP (Struvite)

Pilota

Struvite

EBPR

Mephrec process

Pilota

Ceneri di processo contenenti Ca-Si-PO4 (10-25% P2O5)

Non indicate

Stuttgart

Pilota

Struvite

Phoxnan

Pilota

Acido fosforico

Aqua reci®

Pilota

Fosfato di calcio

Fix-Phos

Pilota

Fosfato di calcio

Ashdec

Pilota

Ashdec Rhenania

Pilota

Ceneri prive di metalli pesanti

Lab

Fosfato di calcio

LEACHPHOS

Pilota

MAP o CaP (13% P2O5)

ECOPHOS

Piena

Acido fosforico

RECOPHOS

Piena

RecoPhos P 38 (ottempera la legislazione tedesca per i fertilizzanti)

EcoRin®

Pilota

Fosfato di calcio

ProPhos REM NUT

®

Acque

Canziani+_Canziani 25/10/2018 09:59 Pagina 157

Sezione dell’impianto (v. Fig. 2)

2.1 – surnatanti della linea fanghi

1 – effluente liquido 2.1 – surnatanti della linea fanghi

PO4-P > 45 mg/l. Meglio se 3.1 – fanghi digeriti EBPR EBPR (Petzet e Cornell, 2009) In digestione anaerobica 3.1 – fanghi digeriti

3.1 – fanghi digeriti

PASH

Piena

doi.org/10.32024/ida.v5i3.p01

2.2 – fanghi non digeriti 2.1 – surnatanti della linea fanghi e 2.2 – fanghi non digeriti 3.3 – fanghi disidratati 3.1 – fanghi digeriti

®

Terranova® ultra

2.2 – recupero da fanghi non digeriti pre ispessiti

TerraNova ultra (P2O5 > 16%)

EBPR o precipitazione con Al 3.1 – fanghi digeriti 3.3 – fanghi disidratati

Non indicate

4. – ceneri

3.1 – fanghi digeriti 3.1 – fanghi digeriti 3.3 – fanghi disidratati

IdA

Phoxnan

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157


Acque

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Esistono processi di trasformazione del fango tal quale con tenore di secco inferiore al 2,4% ovvero in uscita dai digestori e/o ispessitori della linea fanghi (sezioni 3.1 e 3.2 di Figura 2). In tal caso il processo è costituito da una prima fase di incremento del pH, fino a 9,5, mediante calce; una fase di neutralizzazione con acido solforico e cloruro ferrico. Tali correttivi sono i materiali da aggiungere al suolo in situ principalmente per modificare e migliorare proprietà chimiche anomale del suolo dipendenti da reazione, salinità, tenore in sodio. Il prodotto finale correttivo è vincolato ad avere: • un titolo minimo di CaO pari al 15% sul secco; • un titolo minimo di SO3 pari al 10% sul secco; • dichiarazione dell’azoto totale, del CaO totale e dell’SO3 totale; • indicazione del materiale biologico idrolizzato. I fanghi di depurazione utilizzati come matrice devono rispettare i limiti in nota 7 del punto 2.1 dell’allegato 3 del D.Lgs 75/2010 tra cui PCB minore di 0,8 mg/kgSS al pari dell’ammendante compostato con fanghi.

IdA

5.3. Precipitazione/cristallizzazione (P/C)

158

Il recupero in fase acquosa da soluzioni ricche di fosforo viene effettuato con processi di precipitazione/cristallizzazione a base di magnesio o calcio. Il fosforo recuperato può essere nella forma di struvite (MAP, MgNH4PO4·6H2O), o idrossiapatite (HAP, Ca10(PO4)6(OH)2). Il processo di formazione della struvite (rapporto stechiometrico Mg:N:P = 1:1:1) è favorito da condizioni alcaline (pH compreso tra 8.5 e 9.5). Dopo una prima fase di nucleazione dell’embrione, la formazione del cristallo può essere favorita da un dosaggio opportuno di sali magnesiaci come MgCl2 e Mg(OH)2 (Le Corre et al., 2009). Bird (2015) propone lo strippaggio di CO2 per aumentare il pH fino a valori favorevoli alla crescita dei cristalli. I vantaggi della cristallizzazione sono l’elevata purezza del prodotto finale, che può raggiungere il 97,5% (Bird, 2015). Il processo è applicabile in impianti con rimozione biologica del fosforo (Enhanced Biological Phosphorus Removal, EBPR), nei quali il fosforo da recuperare non è legato con altri metalli (Le Corre et al., 2009), come invece accade nei processi di rimozione chimica. Ciò limita la diffusione del recupero di struvite su larga scala in quanto, almeno in Italia, i processi EBPR sono poco diffusi. Inoltre il MAP fertilizzante prodotto è circa 3 volte più Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

caro della roccia fosfatica utilizzata come materia prima (Bird, 2015). Il recupero mediante precipitazione controllata della struvite è importante laddove occorre prevenire il rischio di formazione di incrostazioni di struvite, con ostruzione delle tubazioni a valle dei processi di digestione anaerobica. Tali condizioni si appalesano laddove è presente nelle acque una elevata concentrazione di magnesio e con surnatanti caratterizzati da concentrazioni di fosforo superiori a 100 mgP/L (Stemann et al., 2014). In Italia non sono documentati molti casi di intasamento delle tubazioni che determinino interventi di manutenzione straordinaria tali da rendere vantaggioso il trattamento di precipitazione controllata della struvite e considerare positivamente il potenziale recupero di fosforo. Come esempi di processi funzionanti da oltre un ventennio, si citano gli impianti di trattamento EBPR di Matsue e Fukuoka (Giappone), in esercizio, rispettivamente dal 1997 e dal 1998, con recupero di struvite dai surnatanti della digestione anaerobica. Il refluo in ingresso ai reattori contiene circa 1000 mg/l di P e una concentrazione di solidi sospesi sempre inferiore a 200 mg/l per evitare l’inibizione della crescita del cristallo di struvite. Fino a 1150 m3/d di surnatante viene immesso in 3 reattori a letto fluido (SRT di 10 giorni) con aggiunta di MgCl2 con rapporto Mg/P di circa 0,8 e controllo del pH nel range 8,5-9,0 con soluzione di NaOH. Dal fondo vengono estratti fino a 150 t/anno di struvite da 0.5-1 mm di diametro (ovvero circa 15 t/anno come P) (Othake e Okano, 2015). Nel caso specifico il recupero era stato effettuato per ridurre l’eutrofizzazione del corpo idrico ricettore finale anche se economicamente sfavorevole per il costo elevato dei reagenti utilizzati. Altre tecnologie di cristallizzazione con processo a letto fluido sono: reattore Pearl di Ostara (Britton, 2009), Crystalactor DHV (Giesen, 2009) P-Roc (Kalogo e Monteith, 2008) e Il processo Prophos (BMBF/BMU, 2013). Esistono anche tecnologie che rientrano nei processi con colonne aerate quali: Phospaq (Paques, 2013), Unitika Phosnix (Morse et al., 1998), Air-prex (SH+E Group, 2012), Budenheim (CEEP, 2013) e NuResys (NuReSys, 2013). Altri processi di cristallizzazione sono riportati nello schema di sintesi in Tabella 9. Wilfert et al., (2015) considerano la possibilità del recupero del fosforo e del ferro dalla vivianite (Fe+2 3(PO4)2 8(H2O)) nel caso di impianti di trattamento delle acque reflue che utilizzano sali di ferro per la precipitazione del fosforo. Al momento, tuttavia, non sono documentate applicazioni a


5.4. Scambio ionico (si) e adsorbimento (ads) Dopo trattamenti di precipitazione chimica le concentrazioni di fosfati residue nei flussi uscenti dai trattamenti biologici o terziari sono solitamente comprese tra 0,2 e 2 mg/L, in funzione dei limiti allo scarico. Midorikawa et al., (2008) hanno sperimentato l’utilizzo di materiale adsorbente di perle ceramiche sviluppato da AKC (Asahi Kasei Chemicals Corporation) con alta specificità per il fosforo. Il sistema è stato utilizzato in scala pilota in un impianto giapponese per trattare 600 m3/d di refluo in uscita da processi biologici convenzionali e affinamento con filtri a sabbia. Il processo è costituito da 3 reattori a colonna di cui due in funzione e uno in fase di lavaggio quando la concentrazione di P adsorbito raggiunge i 2 g/l. Raggiunta tale soglia il P viene recuperato aggiungendo Ca(OH)2 con rapporto Ca/P di circa 2,5. Il prodotto recuperato contiene circa il 16% di fosfati (su base secca). Ohtake e Okano (2015) stimano un recupero possibile di 250 tonnellate annue di HAP (idrossiapatite) dall’applicazione di tale processo nell’impianto di depurazione di Kasumigaura. Ulteriori tipologie di materiale adsorbente sono l’aggregato cementizio idrato con acqua (Iizuka et al., 2012) e l’idrato calcico silicico amorfo (A-CSHs) originariamente chiamato CSH-lime. Quest’ultimo è stato studiato anche per la capacità di rimuovere

H2SO4

Digestione

il colore da reflui suinicoli (Yamashita et al., 2012) e utilizzato a valle di un processo di carbonizzazione idrotermica denominato Terranova® Ultra (Terranova energy, 2017) 5.5. Carbonizzazione idro-termica dei fanghi (cIf) Il processo di carbonizzazione idro-termica dei fanghi è costituito da un processo di deidratazione alla temperatura di 180°C-250°C e alla pressione di 10-20 bar. Contestualmente a tale processo può essere effettuata una lisciviazione acida a pH inferiore a 2 per effettuare una dissoluzione completa del fosforo biologico. A valle del reattore di carbonizzazione è presente una fase di separazione mediante filtropressa che concentra un flusso di fango disidratato fino al 65% di sostanza secca e lascia nel filtrato una concentrazione di P nel range 8-10 g/l. Infine un processo di precipitazione mediante aggiunta di CSH permette di recuperare fosfato di calcio idrato direttamente utilizzabile in agricoltura. Tale processo è attualmente in esercizio presso l’impianto di Jining (Cina) e tratta 14.000 t/a di fango con tenore di secco inferiore al 30%. Il costo specifico totale dichiarato dal produttore della tecnologia è pari a 39,4 € per tonnellata di fango in ingresso (Terranova energy, 2017). 5.6. Lisciviazione chimica a umido e precipitazione (LcU) Esistono due tipologie di processo di lisciviazione a umido: il processo Seaborne/Gifhorn (Esemen, 2013 e Nieminen, 2010) e il processo Stuttgart (Weidelener et al., 2005). Il primo, schematicamente rappresentato in Figura 4 tratta un flusso di 110 m3/d, in uscita dalla digestione anaerobica dell’impianto di Gifhorn, con una concentrazione di P pari a 600 mg/l (66 kgP/d). La lisciviazione acida

Na2S Flocculate

Lisciviazione acida

Rimozione metalli pesanti

Residui a essiccamento/ incenerimento

Solfuri metallici

Mg(OH) Mg(OH)2 2 NaOH NaOH Flocculate Flocculate

Precipitazione

Surnatante ricco di NH4-N

Struvite

In testa all’impianto di trattamento

IdA

scala reale. Sperimentazioni di separazione della vivianite dai fanghi essiccati mediante separatore magnetico Frantz, non hanno portato a un grado di separazione sufficiente per garantirne la convenienza economica, poiché, spesso, la vivianite contiene impurità organiche (Bouderbala, 2016). Il tema di ricerca è comunque attuale e studi preliminari sulla separazione della vivianite da fanghi tal quali mediante separatore magnetico Jones sono stati effettuati da Nguyen (2017).

Figura 4 – Processo Gifhorn (modificato da Nieminen, 2010)

doi.org/10.32024/ida.v5i3.p01

Acque

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Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

159


Acque

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con acido solforico era originariamente prevista a pH 2-3. Per ridurre il consumo di reagenti il processo modificato prevede la lisciviazione a pH nel range 4,5-5, che, nel caso specifico richiede un dosaggio di 4,5 l/m3 di acido solforico. Se occorre incrementare la dissoluzione di metalli pesanti si può dosare perossido di idrogeno. Dopo due ore di contatto, la parte insolubile viene separata per centrifugazione. I residui possono essere inviati a essiccamento o incenerimento, anche in funzione della concentrazione di metalli pesanti presenti. Nel range di pH considerato, il flusso liquido, contenente circa il 50% del fosforo totale in forma disciolta, viene inviato ad un processo di precipitazione dei metalli pesanti mediante dosaggio di solfuro di sodio (circa 20 kg/d di Na2S). La frazione solida viene separata in una filtropressa e inviata a smaltimento in discarica. Infine si effettua il processo di precipitazione della struvite in cui si aggiunge NaOH e Mg(OH)2 per incrementare il pH fino a 8,7-9. Il prodotto finale, circa 680 kg/d, è composto da una miscela di sali fosfatici MgNH4PO4·6H2O, Mg3(PO4)2, Ca3(PO4)2, (NH4)3PO4, MgHPO4·3H2O, CaHPO4·nH2O e (NH4)2HPO4, amorfi (90%) e cristallini (10%), che contengono complessivamente circa il 50% del fosforo totale in ingresso. Il secondo processo (Stuttgart), in modo analogo, prevede una prima lisciviazione acida con successiva filtro-pressatura per ottenere un filtrato ricco di fosfati che viene in seguito inviato a una complessazione mediante aggiunta di acido citrico (in rapporto 1-1.5 con i fosfati metallici presenti). Nel reattore di complessazione si aggiunge anche ossido di magnesio e idrossido di sodio per incrementare il pH fino a 8-8.5, valori favorevoli alla successiva agglomerazione e cristallizzazione della struvite in un bacino di calma con HRT di 24 ore. Il costo dei soli reagenti è stimato in 2-3 €/kg di struvite prodotta (Antakyali et al., 2013).

IdA

5.7. Ossidazione a umido (OU) e ossidazione a umido super-critica (sOU)

160

L’ossidazione a umido classica è applicata nel processo Phoxnan (Blöcher et al., 2012) mentre, un’ossidazione a umido supercritica viene utilizzata nel processo Aqua Reci® (Stenmark, 2003), entrambi attualmente in esercizio a scala pilota. Il processo Phoxnan combina l’ossidazione a umido a bassa pressione e la nano-filtrazione dei fanghi di depurazione. Il fango viene ossidato a pH 2, 200 °C e 20 bar mediante processo LOPROX Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

(Blöcher et al., 2012). I solidi vengono poi separati dall’eluato mediante nano-filtrazione. Circa il 54% del fosforo è recuperabile come acido fosforico. Il costo complessivo del processo è di circa 357 €/tSS. Non è noto se il calcolo consideri anche il costo del trattamento dei surnatanti ricchi di azoto ammoniacale che devono essere ricircolati in testa all’impianto di trattamento. Il tasso di recupero del fosforo diminuisce all’aumentare del ferro presente nei fanghi. Il processo è quindi consigliato per impianti con rimozione biologica del fosforo (EBPR). L’ossidazione a umido supercritica avviene ad una pressione maggiore di 221 bar e una temperatura superiore a 374 °C. In un reattore, poste queste condizioni, si aggiunge ossigeno per ottenere l’ossidazione completa in un tempo di reazione di circa 60 secondi e HRT complessivo di 5 minuti. Il 99% della sostanza organica si decompone in CO2, l’azoto organico ed inorganico si ossida a N2 e il fosforo in P2O5. Il recupero del fosforo è effettuato mediante una serie di processi batch di ispessimento e filtrazione secondo lo schema proposto in Figura 5 (a pagina seguente) in cui il fosforo viene estratto in condizioni alcaline usando calce. Stendhal e Jäfverström (2004) stimano in 248 €/t SS il costo totale per il processo di ossidazione a umido supercritica associata ai processi di ispessimento e separazione. Il costo di solo esercizio è di 128 €/t SS. 5.8. Gassificazione con fusione dei fanghi (in altoforno) (GfF) Il processo di gassificazione dei fanghi è stato introdotto dalla compagnia tedesca Ingitec (marchio registrato Mephrec®) Nello specifico può anche essere classificato nei processi di recupero termo-chimico dalle ceneri (Lema e Suarez, 2017). I fanghi disidratati (25% – 30% SS) vengono inviati ai processi sinteticamente rappresentati in Figura 6 (a pagina seguente). Una fase di essiccamento fino all’80% in contenuto di sostanza secca cui segue una miscelazione con calce e ceneri di incenerimento fanghi) e la compattazione in “mattonelle” che vengono alimentate ad una fornace di gassificazione a temperatura superiore a 1450°C dopo l’aggiunta di carbone. Il processo, ancora in scala pilota è stato testato in un impianto industriale presso Friburgo ed è stato selezionato tra 13 tecnologie candidate, come alternativa di smaltimento dei fanghi e recupero di energia e materia per la regione della Baviera. Attualmente è in fase di av-


Ceneri da Ossidazione a umido supercritica

Acque

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Acqua (7.1 t/h)

Ispessimento /accumulo

FILTRO

Residuo 40% SS 1.1 t/h

40% SS (1.3 t/h)

Calcio 0.9 t/h

Fosfato di calcio 70% SS 0.3 t/h

FILTRO

FILTRO

Ricircolo NaOH

Figura 5 – Processo di recupero del fosforo come fosfato di calcio a valle del processo di ossidazione a umido supercritica (processo Aqua Reci, modificato da Stendahl e Jäfverström, 2004)

Aria

Gas esausti

Pre-riscaldamento dell’aria

Carbone Coke

Fornace

Purificazione gas

Residui dal trattamento dei gas

Additivi Recupero dei gas

Fanghi di depurazione

Briquetting (trasformazione in mattonelle)

Essiccamento del fango

Ossigeno

Condensazione

Granulazione delle scorie

Scorie contenenti P

Estrazione ferro

Leghe ferrose

Impianto di depurazione

Figura 6 – Rappresentazione dello schema di processo Mephrec (modificato da https://bmbf.nawam-erwas.de)

doi.org/10.32024/ida.v5i3.p01

5.9. Recupero del fosforo dalle ceneri del monoincenerimento dei fanghi I processi di recupero del fosforo da ceneri di impianti di mono-incenerimento fanghi sono, generalmente, classificati in base alla tipologia di fosforo prodotto. Nel caso specifico si riporta una classificazione in funzione della tipologia di processo applicato, seguendo lo schema di Figura 1. In media, i componenti delle ceneri da mono-incenerimento sono SiO2 (35-40%), Al2O3(15-20%), Fe2O3(10-20%), CaO (15-25%), e P2O5 nel range 9-27% (Petzet e Cornel, 2013). Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

viamento un impianto pilota da 0,5 t/h di fango, al 25% di secco, presso l’impianto di depurazione di Norimberga 1. L’importo complessivo dello studio in scala pilota è di circa 5,7 milioni di euro. I prodotti finali del processo sono: una lega di ferro fusa, scorie granulari in un bagno a base acquosa con basso contenuto di metalli e un gas riutilizzabile per usi energetici dopo opportuna purificazione (Grüner et al. 2017). Non sono note le concentrazioni di azoto nei flussi liquidi di ricircolo in testa all’impianto. Le scorie di processo sono ricche di Ca-Si-PO4 (10-25% P2O5).

161


Acque

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Eluizione

Filtrazione

Estrazione liquido – liquido. Rimozione di Fe, Cd, Pb, Cu, Zn

Rigenerazione dell’estraente Ceneri

Eluizione pH 2

Residui

Acqua

IdA

Figura 7 – Schema del processo PASCH (modificato da Petzet e Cornel, 2013)

162

5.9.1. Processo termo-chimico (TC)

5.9.2. Processi acidi a umido

Il processo termochimico è costituito da un dosaggio di cloruro e da un trattamento termico tra gli 850 e i 1000°C in modo da rimuovere i metalli pesanti. La tecnologia ASH DEC nasce a partire dal progetto europeo SUSAN EU-FP6. Nel forno rotativo le ceneri dei fanghi reagiscono con Na2SO4 (AshDec® depollution) o MgCl2 (AshDec® Rhenania) lasciando evaporare i metalli pesanti e precipitare le ceneri contenenti fosfati. Le scorie prodotte hanno un quantitativo di P2O5 medio del 20% (Lema e Suarez, 2017). L’AshDec® è stato applicato a scala pilota, dal 2008, presso Leoben (Austria) ed è stato definito il progetto presso l’impianto di mono-incenerimento di Zurigo per recuperare il fosforo dalle ceneri. Gli alti costi del progetto hanno di fatto rimandato la realizzazione e le ceneri sono attualmente avviate in appositi siti di stoccaggio. Come già precedentemente riportato, anche il processo di gassificazione dei fanghi Mephrec può essere classificato nei processi termochimici. Una terza tecnologia esistente è il RecoPhos, documentato nell’omonimo progetto europeo (Recophos, 2013). Il processo pilota RecoPhos, derivato dal processo di formazione del superfosfato triplo, è in grado di produrre 1000 t/mese di fertilizzante da ceneri di fanghi di mono-incenerimento ed è costituito da una gassificazione a 1300°C del fosforo presente nel fango essiccato miscelato con carbone e silice (SiO2). Il fosforo evaporato viene condensato come fosforo bianco o, nel caso di una successiva ossidazione, si può ottenere acido fosforico.

Il fosforo nelle ceneri è normalmente legato ad alluminio Al-P e calcio (Ca-P, whitlockite). Nei processi di lisciviazione a umido si effettua una dissoluzione in ambiente acido (pH<2) seguita, solitamente, da una filtrazione o separazione liquidoliquido e una successiva precipitazione o scambio ionico. I principali processi di lisciviazione a umido per l’estrazione del fosforo sono: • PASCH (Montag et al., 2011); • LEACHPHOS® (Morf, 2012); • EcoPhos (DeRuiter, 2014). Il processo PASCH è costituito da fasi di estrazioni liquido-liquido secondo lo schema presentato in Figura 7. Il processo di precipitazione del fosforo nel momento di incremento del pH con aggiunta di Ca(OH)2 avviene al 50% sotto forma di Al-P. Sono richiesti ulteriori reagenti basici per una successiva precipitazione come Ca-P. Il costo dei reagenti, quindi, incide molto sul costo operativo finale che risulta il più alto tra i 19 processi considerati da una valutazione comparativa tecnologica, ambientale ed economica effettuata da Egle et al. (2016). Il processo LeachPhos, brevettato da BSH Umweltservice GmbH è costituito da un primo processo di contatto in soluzione acida delle ceneri del mono-incenerimento in soluzione con H2SO4. Le ceneri sono poi separate mediante filtrazione e inviate ad un reattore di precipitazione con NaOH e calce da cui il precipitato composto da Ca-P viene estratto e filtrato (Figura 8 – a). Il processo utilizza circa 5,6 kg H2SO4/kgP, 0,6 kg NaOH/kgP e 3,9 kg Ca(OH)2/kgP.

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018


a)

Acque

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Ceneri da mono-incenerimento Reattore di precipitazione Acqua Calce spenta H2SO4 NaOH

Acqua

Fango con CaP

Acqua

Filtro

Filtro CaP

Acqua di processo Batch

Residuo solido

Vapore

Scambiatore di ioni HCl

Ceneri da mono-incenerimento

H3PO4

Filtro H3PO4

Altre Altre impurità impurità

Soluzione Al/Fe

Soluzione Mg/Ca

Ceneri residue

b) Figura 8 – a) rappresentazione schematica del processo LeachPhos; b) rappresentazione schematica del processo EcoPhos (modificati da Lema e Suarez, 2017)

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resine1 scambiatrici di ioni che permettono di separare Al, Fe, Mg e Ca. Una parte dell’acido solforico recuperato viene ricircolato nel reattore di 1

Circa 2.1 grammi di resina per kg di fosforo recuperato, considerando il 15% di P nelle ceneri (Lema e Suarez, 2017).

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Il sistema EcoPhos (Figura 8 – b), originariamente sviluppato per la produzione di acido fosforico da rocce fosfatiche a basso grado di P2O5, è costituito da un reattore di digestione delle ceneri con acido fosforico, una fase di filtrazione per rimuovere eventuali residui solidi, una successione di

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contatto/reazione con le ceneri mentre una frazione viene inviata ad una fase di concentrazione con vapore. Le resine sono rigenerate con circa 0,9 litri di HCl per kg di cenere trattato e i flussi recuperati (Ca-/Mg-/Al-/Fe-Cl) possono essere valorizzati per scopi industriali o come reagente per la precipitazione chimica del fosforo in impianti di trattamento delle acque reflue). Al momento della stesura del documento è operativo un impianto a Varna (Bulgaria) che tratta rocce fosfatiche con basso grado di P2O5 ed è in fase di progettazione un impianto che tratterà le ceneri di mono-incenerimento a Dunkerque, in Francia. Come evidenziato dall’elevato numero di processi/tecnologie di recupero sviluppate negli ultimi 10-15 anni il tema del recupero del fosforo è in generale basato sulla resa dei processi di lisciviazione dei fanghi umidi, disidratati o sulle ceneri dei fanghi inceneriti (o pirolizzati). Sono recenti gli studi di Tarko et al. (2014) in cui sono state studiati gli effetti degli usi di acidi differenti sulla resa di estrazione finale. In particolare l’efficienza di estrazione di P aumenta utilizzando HNO3 in sostituzione ad H2SO4. D’altra parte Li et al. (2018) considerano H2SO4 migliore, nel caso si desideri estrarre anche zinco e rame oltre al fosforo. Ulteriori proposte, a livello di ricerca, sono state considerate da Guedes et al. (2014) e Ottosen et al. (2014) per incrementare, mediante elettrodialisi, la separazione del fosforo dai metalli pesanti. Tali processi, al momento, incrementerebbero ulteriormente i costi di esercizio, già elevati a causa del forte consumo di reagenti. Ulteriori processi in fase dimostrativa considerati nel progetto Interreg NWE Phos4you (2016-2020) sono: • Bio-acidificazione del fango (studiato da IRSTEA France), in combinazione con la precipitazione della struvite mediante il processo Struvia di Veolia. • Estrazione chimica acida del fosforo da fango parzialmente essiccato seguita da una fase di estrazione reattiva, una fase di precipitazione frazionaria per eliminare i metalli e una precipitazione finale basica per ottenere fosfato di calcio o di magnesio. Tale processo in fase di studio all’università di Liegi è attualmente in fase dimostrativa con un sistema mobile che sarà testato su diversi impianti di trattamento delle acque in Europa. • Trattamento dei fanghi con processo termochimico a due stadi (processo EuPhoRe) in cui: una fase riduttiva di pirolisi a 650-750°C è associata ad una fase ossidativa a 900-1000°C in un Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

forno rotativo seguita da una fase di purificazione dei gas. Un primo impianto pilota da 100 kgSS/h è in fase di costruzione in Germania.

6. CONSIDERAZIONI COMPARATIVE TRA I PROCESSI DI RECUPERO DEL FOSFORO Molte tecnologie e processi sono stati sviluppati per recuperare prodotti come la struvite, l’idrossiapatite, l’acido fosforico, il fosforo bianco, il fosfato di potassio o di calcio mediante l’utilizzo di molteplici reagenti in schemi reattoristici tipici dell’industria chimica. Anche se il numero di installazioni è in progressivo aumento, restano da considerare gli aspetti critici comuni a tutti i processi: • la necessità di uno sviluppo normativo dell’economia circolare che favorisca la commercializzazione dei prodotti ottenuti dai fanghi. • La fattibilità economica, anche in funzione della definizione di un mercato per il prodotto finale. • La valorizzazione delle ceneri residue a valle dei processi di recupero del fosforo. • La formazione di personale specializzato in processi solitamente non legati ad impianti di trattamento delle acque reflue urbane. • Il confronto macro-economico a scala nazionale/globale del fosforo recuperato dai cicli antropici con il mercato del fosforo ottenuto dalle fonti minerali classiche. Un primo approccio metodologico comparativo da un punto di vista tecnico, ambientale ed economico di numerosi processi è stato considerato da P-Rex (2015). Successivamente Egle et al. (2016) riportano una valutazione comparativa per 18 delle tecnologie considerate in Tabella 9 rispetto ad un unico sistema di riferimento (impianto di trattamento delle acque reflue tipo) con una portata influente pari a 20.000 m3/d, e un apporto pro capite di fosforo pari a 1,8 gP/AEd ovvero una concentrazione in ingresso di fosforo pari a 9 mg/l per un impianto da 100.000 AE e apporto idrico in fognatura di 1,8/0,009 = 200 l/AE/d. In seguito, i risultati sono stati analizzati mediante approccio LCA da Amann et al. (2018). I risultati sintetizzati in Figura 9 (a pagina seguente) possono essere utilizzati per una preliminare catalogazione delle tecnologie/processi meno impattanti dal punto di vista economico, ambientale ed energetico. Occorre però segnalare che il sistema di riferimento per la valutazione dei costi preso in esame nei due studi è costituito da: una sezione biologica (con rimo-


Costo specifico [€ kgP recuperato-1]

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Carico di fosforo [kg P AE-1 anno-1]

Costo specifico [€ AE-1 anno-1]

Figura 9 – Rappresentazione grafica di 18 tecnologie precedentemente proposte in Tabella 9 in funzione del costo specifico per prodotto recuperato e per abitante equivalente trattato. La grandezza dei simboli indica il quantitativo di fosforo potenzialmente recuperabile per abitante equivalente trattato (modificato da Egle et al., 2016)

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7. POTERE FERTILIZZANTE DEI PRODOTTI FOSFORICI FINALI RECUPERATI In Figura 10 (a pagina seguente) si riportano i contenuti percentuali dei nutrienti e l’efficacia fertilizzante per le piante (% di fosforo assorbito) dei prodotti recuperati considerati da Egle et al. (2016). I risultati non includono le tecnologie che recuperano prodotti utilizzabili in processi industriali; inoltre, la valutazione della capacità di assorbimento da parte delle piante è stata considerata in funzione di prove in campo su suoli. A tale proposito si ricorda che il fosforo disponibile per le piante è funzione della frazione solubile (ad esempio H2PO4-) rispetto al totale. Il ciclo di utilizzo del fosforo da parte delle piante, semplificato in Figura 11 (a pagina seguente), è fortemente sensibile alle variazioni di pH (Moody et al., 2013) e al tipo di terreno. I metodi di estrazione convenzionali, da cui si ricavano informazioni riguardanti il fosforo disponibile per le piante, sono: estrazione in acido formico al 2% (FA-P), l’estrazione in acido citrico al 2% (CA-P) e l’estrazione in soluzione 1 M di citrato di ammonio neutro (NAC-P). I risultati di tali metodi, applicati a fertilizzanti recuperati come Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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zione biologica del fosforo o precipitazione chimica in funzione della richiesta della tecnologia di recupero del fosforo), digestione anaerobica, disidratazione fino al 30% di secco e co-incenerimento dei fanghi. I risultati non possono essere applicati tout-court alla situazione italiana per due motivi principali: 1) le concentrazioni di fosforo in ingresso agli impianti di depurazione nazionali risultano minori rispetto al quantitativo di riferimento, soprattutto per la presenza di acque parassite che portano l’afflusso in fognatura a valori di 300 l/AE/d e oltre. 2) Non viene considerato né lo scenario dello spandimento sul suolo agricolo, possibilità ancora radicata nella pratica italiana, né quello che prevede l’utilizzo del fango in processi che lo trasformino in ammendante per uso agricolo. Attualmente un mercato alternativo dei fertilizzanti in Italia è sostanzialmente assente. La normativa esistente di riferimento è il D.Lgs 75/2010 che prevede la possibilità di recupero dei fanghi come componenti per produrre ammendanti compostati e gessi e/o carbonati di defecazione, prodotti end-of-waste per ora non considerati altrove in Europa.

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Figura 10 – Contenuto di macronutrienti (P, N, Mg, Ca e P disponibile per le piante) dei prodotti recuperati, dei fanghi tal-quali, delle ceneri da mono-incenerimento e del superfosfato singolo considerato il fertilizzante commerciale di riferimento (modificato da Egle et al, 2016)

Ferilizzante

P labile

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P ORGANICO

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P stabile

Diffusione

P stabile

Psolubile

Lisciviazione

P labile

P MINERALE

Figura 11 – Frazioni del fosforo nel terreno: frazione lisciviata con P adsorbito sulla superficie di ferro, ossidi e idrossidi di Alluminio e carbonato di calcio; frazione minerale (apatiti); frazione organica (sostanza organica e masse microbiche)

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materia seconda, sono stati recentemente riconsiderati (Duboc et al., 2017) in favore di tecniche di valutazione del fosforo disponibile effettuati mediante test diretti su suoli: • CAL (calcium-acetate-lactate) (Schüller, 1969); • Metodo Olsen (Olsen, 1954); • DGT, valutazione del gradiente diffusivo in film sottile (Mason et al., 2008). Un materiale riciclato posto sul mercato deve essere registrato nella classificazione REACH (Regolamento Europeo 1907/2006) e, per essere un materiale fertilizzante deve essere normato secondo la regolamentazione dei fertilizzanti (Regolamento Europeo 2003/2003). In particolare i quantitativi dei metalli pesanti. Molte delle tecnologie di ossidazione a umido e lisciviazione permettono di ridurre al minimo il quantitativo dei metalli (fino al 98% di metalli pesanti separati nei processi Stuttgart, Gifhorn, Aqua reci). Analogamente, le rese di rimozione dei metalli pesanti superano il 90% per le tecnologie termiche (ad es: processo AshDec o Ecophos in cui i metalli vengono separati con resine scambiatrici).


La produzione nazionale di fanghi secondo le ultime stime di ISPRA è pari a circa tre milioni di tonnellate all’anno di tal quale (contenuto secco medio del 25%). Le regioni con la maggiore produzione sono la Lombardia e l’Emilia Romagna che, rispettivamente, inviano in agricoltura 448.000 ttq/a e 409.000 ttq/a. Per questo studio è stato considerato un campione di impianti che servono il distretto milanese (Città metropolitana, incluso il Comune di Milano) e alcuni impianti minori di zone lombarde limitrofe, per complessivi 4.809.500 AE serviti, ovvero circa il 44% della capacità trattata dagli impianti lombardi. La concentrazione di fosforo nei fanghi di depurazione nel campione analizzato è mediamente pari a 2,10% (come Ptot), in linea con il valore del 75° percentile del campione su scala nazionale riportato da Utilitalia (2017). La frazione media di ceneri nei fanghi dello stesso campione è di circa il 30%, il che fa stimare la percentuale di Ptot nelle ceneri mediamente pari a 2,1/0,3 = 7%. Ciò corrisponde a una percentuale di P2O5 pari a 141,84/(30,97*2) * 0,07 = circa il 16%. A titolo di confronto le rocce fosfatiche hanno un contenuto di P2O5 compreso tra il 10,9% (Florida) e il 27,1% delle miniere del Marocco (IFDC, 2010). Le concentrazioni di fosforo nei flussi surnatanti della linea fanghi variano nel range 1-70 mg/l, insufficiente per rendere economicamente convenienti processi di recupero del fosforo dalla fase liquida (Stemann et al., 2014), specie se l’impianto non deve affrontare costi di manutenzione dovuti a interventi per la prevenzione o rimozione di precipitati di struvite incontrollati nei digestori o nelle tubazioni della linea fanghi. Nel campione considerato non esistono processi di rimozione biologica del fosforo; eventi occasionali e incontrollati possono essere osservati in relazione alle caratteristiche (variabili) del liquame influente, alle condizioni climatiche e alle modalità gestionali dei flussi di ricircolo e dei cicli di aerazione di alcuni grandi impianti. Vi sono, inoltre, due ragioni che rendono meno appetibile il recupero del fosforo rispetto a realtà tipiche del Nord Europa. In primo luogo, negli impianti di depurazione considerati, le concentrazioni di fosforo in ingresso sodoi.org/10.32024/ida.v5i3.p01

no inferiori ad altre realtà europee, con concentrazioni nel liquame in ingresso di circa 4-5 mg/l, sensibilmente inferiori rispetto al sistema di riferimento considerato per le valutazioni riportate da Egle et al. (2016), pari a circa 8-9 mg/l. Di conseguenza con un limite all’effluente di 1 mg/l, la percentuale di rimozione del fosforo è inferiore a quella degli impianti che ricevono liquami con maggiori concentrazioni. In secondo luogo, l’utilizzo di sali di ferro e alluminio per la precipitazione chimica del fosforo è largamente utilizzato. Tale pratica ha la conseguenza di aumentare la frazione insolubile del fosforo nei fanghi, di abbassare, quindi, la frazione di P disciolto nelle acque di risulta provenienti dai trattamenti dei fanghi e di rendere più difficile l’estrazione del fosforo dalle ceneri, che è legato a sali di ferro e alluminio. La possibilità di recuperare prodotti dai fanghi di depurazione, recentemente definiti con l’acronimo STRUBIAS (struvite, biochar, ashes from sludges) dipende da: • direttive comunitarie e specifiche legislazioni nazionali volte a favorire/incentivare l’economia circolare e gli end-of-waste (materiali che perdono la qualifica di rifiuti e diventano prodotti commercializzabili); • rispetto delle specifiche tecniche e dei requisiti normativi del prodotto recuperato (ad es.: efficacia del potere fertilizzante); • impatti socio/economici ed ambientali, misurabili con analisi del ciclo di vita del prodotto; • capacità tecniche, migliore sfruttamento e utilizzo delle infrastrutture esistenti e modello di business dei processi e delle tecnologie di recupero; • mercato, che dipende, oltre che dal prezzo, dall’accettabilità dei prodotti recuperati da parte degli utilizzatori finali. Il costo minimo di recupero per alcuni processi riportati da Egle et al. (2016) è di 2-3 €/kg di P recuperato a fronte di circa 1-1.5 €/kg di P da fonti minerali classiche. Oggi, pertanto, un mercato di P di recupero non è dunque realizzabile senza azioni di incentivazione che agiscano sul prezzo, sui requisiti di qualità e, infine, sull’accettazione dei trasformatori/utilizzatori. In altre parole, non basta che siano state sviluppate tecnologie adeguate per effettuare il recupero del fosforo dai fanghi, ma è necessario renderlo appetibile, per prezzo e qualità, ai produttori di fertilizzanti. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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8. CONCLUSIONI: VALUTAZIONE PRELIMINARE DELLE POSSIBILITÀ DI RECUPERO APPLICATE AD UN CASO ITALIANO

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RINGRAZIAMENTI. Il lavoro è stato sviluppato nell’ambito del progetto PERFORM_WATER2030, parzialmente finanziato dalla Regione Lombardia nell’ambito del programma Open Innovation.


CARATTERIZZAZIONE E TRATTAMENTO DEI SEDIMENTI MARINI CONTAMINATI: VALUTAZIONI SUI SEDIMENTI DELLA RADA DI AUGUSTA (SR)

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Lucia Lumia1,*, Maria Gabriella Giustra1, Gaspare Viviani2, Gaetano di Bella1 Università degli Studi di Enna “Kore”, Facoltà di Ingegneria e Architettura. 2 Università degli Studi di Palermo, DICAM.

Sommario – Nel presente lavoro sono riportati i risultati ottenuti durante le attività sperimentali sviluppate nell’ambito di differenti campagne di analisi riguardanti la caratterizzazione dei sedimenti contaminati e il loro potenziale trattamento di decontaminazione. In particolare, il trattamento dei sedimenti contaminati è stato condotto a scala di laboratorio, con l’obiettivo finale di valutare la potenziale applicabilità del trattamento di lavaggio dei sedimenti provenienti dalla Rada di Augusta. La discussione analitica presenta sia i dati della caratterizzazione dei sedimenti, sia i risultati dell’efficienza di rimozione sulla base di differenti test di lavaggio in cui sono stati variate le concentrazioni degli agenti di estrazione e i tempi di contatto. Le prove di lavaggio in batch sono state effettuate esclusivamente sulla frazione fine che è risultata essere la più contaminata. Sono stati utilizzati differenti agenti, tra i quali l’acido acetico, l’acido etilendiamminotetracetico (EDTA), l’acido etilendiamminodisuccinico (EDDS) e l’acido citrico, risultato alla fine tra gli additivi più performanti. Infine, sulla base dei risultati ottenuti, si è proceduto all’analisi del possibile lay-out di trattamento, sulla base di uno schema ottimale di Sediment-Washing. Parole chiave: batch test, bonifica, dosaggio, estrazione, sediment washing.

CHARACTERIZATION AND TREATMENT OF CONTAMINATED MARINE SEDIMENTS: THE SEDIMENTS OF THE RADA DI AUGUSTA (SR) Abstract – The present work reports the results obtained during the experimental activities developed in the context of different analysis campaigns concerning the characterization of contaminated sediments and their potential decontamination treatment. In particular, the treatment of contaminated sediments, coming from the Augusta Rada, was carried out at a laboratory scale, with the final objective of assessing the potential applicability of the sediment washing treatment. The analytical discussion presents both the data of the sediment characterization and the results of treatment tests performed adopting different agents and contact time. The batch wash tests were carried out exclusively on the fine fraction which proved to be the most contaminated. Different agents have been used, among them acetic acid, ethylenediaminetetraacetic acid (EDTA), ethylenediaminodisuc* Cittadella Universitaria 94100, Enna, Italia. Tel. 0935 536359, email: lucia.lumia@unikore.it.

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cinic acid (EDDS) and citric acid, the latter resulting to be the most performing additive. Finally, on the basis of the results obtained, a possible sediment washing treatment lay-out was proposed and the related costs estimated. Keywords: batch test, dosage, reclamation, extraction, sediment washing.

Ricevuto il 19-7-2018. Correzioni richieste il 13-9-2018. Accettazione il 1-10-2018.

1. INTRODUZIONE Le attività di dragaggio di sedimenti portuali, di norma eseguite per garantire la fruibilità delle aree portuali e il mantenimento di adeguate batimetrie, possono assumere il ruolo di veri e propri interventi di risanamento ambientale a causa della consistente rimozione di materiale contaminato. In particolare, viste le ingenti quantità di materiale che vengono periodicamente dragate, risulta necessario individuare valide opzioni di gestione che ne riducano lo smaltimento in discarica, soprattutto in relazione alle recenti disposizioni normative (US EPA, 2008). Le aree portuali, sono tra le zone costiere maggiormente soggette a fenomeni di inquinamento, spesso legati alle varie attività industriali che vi si concentrano. In particolare, la Rada di Augusta (Siracusa, Italia) è sede di numerose attività industriali e di raffinazione che hanno determinato un serio stato di contaminazione, sia delle acque che dei sedimenti di fondo, tanto da far rientrare la Rada nella perimetrazione dei Siti di Interesse Nazionale (SIN) individuata dal D.M. 468/2001. Tale inquinamento è dovuto principalmente alla presenza di composti tossici, di natura organica ed inorganica, come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), i policlorobifenili (PCB), i metalli pesanti ma anche diossine, furani e pesticidi vari. Tra i parametri di maggiore rilievo in grado di influenzare il trasferimento di un inquinante dalla colonna d’acqua ai sedimenti, risultano di particolare interesse: le caratteristiche fisiche e chimiche Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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degli inquinanti (idrofobicità, coefficiente di ripartizione acqua/ottanolo, solubilità, stato di ossidazione, biodegradabilità), le proprietà superficiali delle particelle (capacità di scambio cationico/adsorbimento, superficie specifica, contenuto di sostanza organica, capacità tampone), le caratteristiche chimiche e fisiche della porzione di acqua a contatto con i sedimenti (pH, Eh, alcalinità, forza ionica, salinità, temperatura) (Gaward et al., 2008; Gomez-Gutierrez et al., 2007; Yu et al., 2006). Molti dei fenomeni e delle trasformazioni alla base del trasferimento dalla colonna d’acqua ai sedimenti sono di tipo reversibile, pertanto i sedimenti possono costituire sia il ricettore della contaminazione sia, laddove contaminati, una potenziale fonte di inquinamento per l’ecosistema acquatico (Dastoli et al., 2013). In questo contesto, esistono diverse tecnologie di trattamento aventi lo scopo di rimuovere i contaminanti presenti nei sedimenti e principalmente volte alla rimozione dei contaminanti organici e inorganici più recalcitranti. Tra le tecnologie di maggiore interesse, grazie alla grande flessibilità gestionale, vanno citate quelle di estrazione e/o lavaggio dei sedimenti. La scelta della modalità di trattamento più idonee, tuttavia, è comunque fortemente influenzata dalla natura dei sedimenti (granulometria, mineralogia), dalle caratteristiche quali-quantitative della contaminazione (presenza di metalli pesanti, di idrocarburi o co-presenza, concentrazione di sostanza organica), dai volumi di sedimenti da trattare e dalle condizioni sito-specifiche del sito quali la disponibilità delle aree di stoccaggio di destinazione finale. Bisogna inoltre tenere conto dei limiti, in termini di concentrazione residua, imposti dalla normativa vigente, dell’affidabilità della tecnologia e soprattutto dei costi. In ogni caso, gli studi riportati in letteratura dimostrano l’elevata potenzialità delle tecniche di lavaggio. che sono spesso già state utilizzate soddisfacentemente per il trattamento di terreni contaminati principalmente da metalli pesanti e idrocarburi. In particolare, il trattamento di Sediment Washing (nel seguito SW) consente di estrarre i contaminanti dalle particelle di sedimento e rimuovere gli inquinanti solubilizzabili (Rulkens e Bruning, 2005). A tale scopo, possono essere utilizzati una vasta gamma di agenti chelanti, come ad esempio tensioattivi ionici e non ionici, acidi organici ed inorganici, ma anche idrossido di sodio e metanolo. Fanno parte degli acidi inorganici l’acido solforico (H2SO4) e l’acido nitrico (HNO3) (Dermont et al., 2008), mentre tra quelli organici l’acido ciIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

trico (C6H8O7) (Di Palma et al., 2005; Di Palma e Mecozzi, 2007) e l’acido tartarico (C4H6O6) (Wuana et al., 2010). In questo contesto, lo studio condotto da Khodadoust et al. (2005) ha mostrato un’elevata efficienza di rimozione di contaminanti quali zinco, piombo e fenantrene dai suoli, utilizzando come agente chelante acido citrico (C6H8O7). Polettini et. al. (2006) e Lee et al. (2005), invece, hanno studiato la cinetica di estrazione di metalli pesanti da fanghi di depurazione, una matrice tecnicamente paragonabile ai sedimenti fini, mediante l’uso di acido citrico e di acido acetico (C2H4O2), confermandone per entrambi un incremento dell’efficienza all’aumentare del tempo di contatto. Tra gli agenti chelanti più utilizzati per la rimozione di metalli, vanno citati anche l’acido etilendiamminotetraacetico o EDTA e il l’acido dietilentriamminopentacetico o DPTA (Hong et al., 1999; Ehsan et al., 2007; Robles et al. 2015): numerosi studi in letteratura, mostrano come l’EDTA sia in grado di rimuovere gran parte dei metalli pesanti come il piombo, il cadmio, il ferro e lo zinco (Wasay et al, 2001; Finžgar e Lestan, 2008; Voglar e Lestan, 2013). Da Zhuhong et al. (2013) è stato proposto uno schema ad estrazione singola con EDTA. Tale studio è stato condotto facendo variare diversi parametri, ovvero il tempo di estrazione, i valori di pH della soluzione estraente e le diverse frazioni granulometriche. Da tale studio è emerso che la massima efficienza di rimozione sui metalli pesanti si ha per la frazione fine e per un tempo di estrazione di 24 h. Inoltre, l’estrazione decresce significativamente all’aumentare del valore del pH. Particolarmente rapida risulta essere la cinetica di complessazione dell’EDTA con il piombo (Kim et al., 2003; Sarkar et al., 2008). Per quanto riguarda l’effetto del tempo di contatto e del rapporto solido/liquido estraente, Fangueiro et al. (2002) hanno condotto uno studio in cui è emerso che per brevi tempi di estrazione è preferibile utilizzare una piccola quantità di sedimento; mentre per tempi di estrazione più elevati, a parità di rapporto di diluizione solido-liquido, si hanno efficienze di estrazione più elevate aumentando la quantità di campione. Nonostante la possibilità di ottenere elevate efficienze di rimozione, la ridotta biodegradabilità degli agenti estraenti presenti potrebbe determinare forme di contaminazione particolarmente recalcitrante. Di conseguenza, l’individuazione di ulteriori agenti ad elevata biodegradabilità, in grado di amplificare i processi estrattivi rappresenterebbe


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menta la dissoluzione dei composti metallici. D’altra parte, la solubilità dei metalli anionici aumenta all’aumentare del pH della soluzione (Ko I. et al, 2005). In particolare, l’adsorbimento delle specie anioniche del cromo Cr(VI) aumentano a pH basso. A tale proposito, Isoyama e Wada hanno studiato che l’utilizzo di HCl, come agente estraente, era relativamente efficiente per la rimozione del CrO4 dai terreni non allofonici ma era inefficiente per la rimozione del cromo trivalente Cr3+, in particolare su suolo con elevata capacità di scambio cationico e contenuto di sostanza organica (Isoyama M. et al, 2006). Corami et al. (2010) hanno, invece, studiato i sedimenti, provenienti dalla laguna di Venezia, contaminati da inquinanti organici (IPA e PCB) ed inorganici presenti in tracce (quali cromo, nichel, rame, zinco, cadmio, arsenico, mercurio e piombo). Lo studio si è focalizzato sugli idrocarburi policiclici aromatici e policlorobifenili. In seguito al trattamento di Sediment Washing, per il quale sono stati adoperati surfattanti naturali, è stata osservata una riduzione percentuale degli idrocarburi policlici aromatici del 40% e dei policlorobifeli del 57%. Inoltre, i sedimenti marini sono una componente fondamentale dei cicli biogeodinamici del mercurio e i sedimenti che si accumulano in prossimità delle aree industriali e urbane vengono considerati punti di partenza dai quali il mercurio può essere mobilizzato attraverso processi biologici e fisico-chimici verso l’ambiente acquatico circostante (Covelli et al., 2001). Nei sedimenti dei sistemi acquatici le concentrazioni di mercurio variano tra 0,01 e 500 mg kg-1. Valori inferiori a 0,1 mg kg-1 possono essere correlati alle aree naturali (non inquinate), mentre i valori superiori a 1 mg kg-1 sono generalmente riferiti a aree contaminate (Camargo, 2002). Mantenendo a mente tutte le osservazioni precedenti, storicamente ricostruite dalla letteratura del settore dell’ultimo decennio, in questa nota si descrive una dettagliata indagine sperimentale per valutare le potenzialità di trattamento dei sedimenti della Rada di Augusta, sulla base di prove in batch basate sull’utilizzo di differenti agenti estraenti e differenti condizioni al contorno (tempo di contatto, controllo del pH, concentrazione dell’agente etc.). Lo studio è stato completato dalla valutazione tecnica di alcuni aspetti ingegneristicamente rilevanti: l’effetto della distribuzione granulometrica del sedimento da trattare e l’analisi tecnico-economica di un possibile e completo layout del train treatment di SW. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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un’importante ed innovativa alternativa (Gonzáles et al., 2011). Per tale ragione, in diversi studi, l’EDDS (acido etilendiamminodisuccinico) è stato proposto come alternativa all’EDTA in quanto prodotto naturalmente da specifici microrganismi. A tale proposito, Ritschel et al. (2003) hanno condotto alcuni esperimenti al fine di determinare le cinetiche di estrazione dei metalli (Fe, Cd, Cu, Ni, Zn e Pb) e degli altri componenti del suolo (Ca e Mn) utilizzando come agenti chelanti l’EDTA e l’EDDS. Lo studio è stato condotto a pH acido e neutro, al fine di valutare l’influenza del pH sulle cinetiche di estrazione. I risultati mostrano che l’estrazione del Fe è risultata più consistente a pH acido per entrambi i chelanti. Per quanto riguarda il Pb, invece, l’estrazione da parte dell’EDTA è risultata notevolmente più alta rispetto a quella dell’EDDS in ambiente acido, mentre le due estrazioni sono state paragonabili a pH neutro. Anche Wang et al. (2007) hanno condotto numerosi studi al fine di valutare l’efficienza di estrazione di Cu, Zn, Cd e Pb dal terreno contaminato, da parte di EDTA ed EDDS a differenti valori di concentrazione. I risultati ottenuti mostrano che l’EDDS, per via della sua degradazione, è stato efficace solo per un determinato periodo di tempo, a seconda della sua concentrazione. In particolare, sono state ottenute elevate efficienze di rimozione del Cu tramite EDDS, mentre per gli altri metalli è risultato più efficiente l’EDTA. Di contro, Niinae et al. (2008) hanno riprodotto gli studi precedenti, al fine di valutare l’applicabilità dell’acido citrico, confrontando i risultati con quelli ottenuti con EDTA ed EDDS. I dati di performance ottenuti hanno mostrato efficienze di estrazione chiaramente migliori con EDTA ed EDDS di estrazione solamente per il Pb, e soprattutto in range di pH compresi tra 7 e 10. Secondo lo studio, i risultati ottenuti sono confermati dagli elevati valori delle costanti di dissociazione e di stabilità ottenute per il Pb con EDTA ed EDDS, rispetto ai valori ottenuti per il Pb con acido citrico. Tali costanti, infatti, giocano un ruolo fondamentale nelle efficienze di estrazioni dei contaminanti, in quanto, più è elevato il loro valore, più il complesso risulterà stabile e maggiore sarà l’efficienza di estrazione. Dall’altro lato, nessuna differenza rilevante è stata osservata per quanto riguarda altri contaminanti. Generalmente, l’estraibilità dei metalli pesanti più cationici aumenta quando il pH della soluzione diminuisce; infatti, a pH basso, l’adsorbimento sul suolo dei metalli pesanti cationici diminuisce e au-

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2. MATERIALI E METODI 2.1. Area di studio L’area industriale di Augusta-Priolo è una delle più grandi aree petrolchimiche in Italia e in Europa, caratterizzata dalla presenza di numerosi stabilimenti industriali il cui impatto inquinante si riversa nella Rada di Augusta (nel seguito spesso definita solamente come “Rada”), causando una notevole contaminazione dei sedimenti marini. La Rada ricade nella costa orientale della Sicilia, all’interno dell’omonima Baia; essa si sviluppa tra Capo Santa Croce e Punta Magnisi, per una lunghezza di circa 8 km e una distanza dalla linea di costa di circa 4 km, raggiungendo un’estensione superficiale di circa 23,5 km2 e una profondità media di 14,9 m s.l.m. In passato, parte dell’insenatura naturale è stata separata dal mare aperto mediante la costruzione di una diga foranea, mirata a formare un ampio bacino portuale comunicante con il mare attraverso due strette imboccature (est e sud), in corrispondenza delle quali si registra una profondità massima di circa 30 m s.l.m.. La Rada risulta pertanto suddivisa in tre zone principali: • Porto Xifonio (Rada esterna), compreso fra Punta Izzo e Punta Carcarella; • Porto Megarese (Rada interna), compreso fra la costa nord e ovest della Rada e le dighe nord, centrale e sud; • Seno del Priolo, compreso tra la diga sud e la penisola di Magnisi. Il porto di Augusta è uno dei più importanti centri costieri del Mediterraneo, per via delle ingenti operazioni di bunkeraggio, cambio equipaggio, riparazioni e manutenzione navi, carico/scarico merci che in esso hanno luogo. L’area commerciale è localizzata a Nord Ovest nella Rada. Le operazioni più frequenti in essa svolte sono: carico di zolfo in pillole, cemento e merce varia come marmo e legno, parti meccaniche e pezzi speciali che non potrebbero essere spostati via terra. A causa del ridotto ricambio delle acque, dell’intensa urbanizzazione e delle numerose attività industriali presenti nel bacino, si è determinato un notevole stato di degrado all’interno dello stesso. Inoltre, l’intera area della Rada di Augusta risulta fortemente antropizzata: sul Golfo di Augusta infatti si affaccia un polo industriale di dimensioni rilevanti, costituito da numerosi insediamenti produttivi, quali raffinerie, stabilimenti petrolchimici e cementifici. La caratterizzazione della contaminazione dei sedimenti nella Rada di Augusta è stata già affrontaIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

ta da un accurato lavoro prodotto dall’Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare nel biennio 2006-2008 (ICRAM, 2008). In particolare, la caratterizzazione ambientale, finalizzata alla bonifica, ha seguito uno sviluppo articolato in 2 fasi successive: • nella Fase I, a sua volta eseguita in due step successivi, è stata realizzata la caratterizzazione dei sedimenti marini facenti parte delle cosiddette “aree prioritarie” e del biota. Questa fase aveva lo scopo di velocizzare l’inizio delle attività di caratterizzazione nelle due aree potenzialmente più critiche, consistenti in un settore compreso tra la diga foranea e il pontile esterno e in uno più a Nord compreso tra Ponte Cantera e la foce del fiume Marcellino; • nella Fase II, sono stati caratterizzati i sedimenti ricadenti all’interno delle aree rimanenti dette “di completamento Fase I”. In questa fase sono state priorizzate le analisi rivolte alle aree residue e, al contempo, ad approfondire la caratterizzazione dei sedimenti delle aree e dei campioni “contrastanti”. L’interpretazione preliminare dei risultati analitici da parte dell’ICRAM ha mostrato un’analisi dei dati caratterizzata prevalentemente da esigenze ecotossicologiche e da uno specifico approccio di analisi che ha permesso di definire il corretto stato di qualità ambientale del sito. In tal senso, nonostante alcuni risultati ottenuti non abbiano definito un effettivo superamento dei limiti di legge, l’analisi condotta da ICRAM ha permesso di individuare dei “limiti di intervento” sulla base degli aspetti ecologici ed ecotossicologici, in linea con l’indirizzo generale definito recentemente dalla comunità Europea (Directive 2000/60/CE). In sostanza, al fine di definire la qualità dei sedimenti e la successiva gestione, i risultati analitici sono stati valutati rispetto a valori di riferimento specifici per ogni elemento strategico, sulla base del singolo aspetto caratterizzante: • Limiti di intervento: valori d’intervento ICRAM per le sostanze per le quali sono stati formulati; • Rischio ecologico sanitario: Valore limite della colonna B della Tab. 1 dell’All. 5 al Titolo V alla Parte Quarta del D.Lgs 152/06 per tutti i parametri analizzati, ai fini della gestione dei sedimenti contaminati; • Smaltimento residuale: Valore limite per la classificazione delle sostanze pericolose, in linea con l’Allegato D del D.Lgs 152/2006 Parte IV – Titolo I e II, come indicato dall’art. 1 comma


996 della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006, ai fini della gestione dei sedimenti contaminati. I risultati ottenuti evidenziano aspetti interessanti che riguardano l’applicabilità dei trattamenti di intervento e l’interpretazione generale dell’inquinamento (con l’eventuale necessità di estendere l’interesse ad altri contaminati non prioritari). In particolare: • per tutti i campioni la contaminazione risulta principalmente concentrata nella frazione fine; • i limiti di “intervento ICRAM” sono spesso superati, specialmente per il rame e lo zinco; • nel caso dell’inquinamento da cromo e da nichel, nonostante il sedimento originale non mostra contaminazioni che superino i limiti di intervento individuati da ICRAM, la frazione fine < 63µm presenta superamenti consistenti a seguito della suddivisione granulometrica; • la concentrazione di IC > 12 risulta nettamente inferiore ai limiti normativi del D.Lgs 152/2006 (750 mg/KgSS), per contro l’ICRAM non ha individuato limiti di intervento sulla base dei suoi studi. Discorso a sé merita il mercurio per il quale è stato riscontrato il superamento di tutti i limiti di rispetto: “di intervento” secondo l’ICRAM (1 mg/KgSS); “di rischio ecologico sanitario” secondo il D.Lgs 152/06 (5 mg/KgSS) e “di smaltimento” secondo

l’allegato D del suddetto decreto. Anche in questo caso, la caratterizzazione è stata condotta per tutte le matrici (tal quale, grossolana e fine) e su tutti i campioni. In sintesi, l’ICRAM ha elaborato una distribuzione geografica delle concentrazioni, evidenziando con diversi colori le zone di superamento di ogni valore di riferimento: zone viola, che identificano le aree in cui è stato riscontrato il superamento dei valori limite di classificazione per sostanza pericolose, in queste zone è stato riscontrato il livello di contaminazione più alto in assoluto; zona rosse, rappresentate dalle aree in cui le concentrazioni rilevate risultavano superiori ai valori limite del D.Lgs 152/2006 (presenza di rischio sanitario, ma concentrazioni inferiori ai valori limite di classificazione di sostanze pericolose); zone gialle: rappresentate dalle aree in cui le concentrazioni rilevate risultavano superiori ai valori di intervento ICRAM, in cui quindi è attribuibile la presenza del rischio ecologico, ma inferiori ai limiti del D.Lgs 152/2006; zone verdi: in cui le concentrazioni riscontrate sono risultate inferiori ai valori limite di intervento ICRAM. In Figura 1, sono riportate le mappe di contaminazione relative ai primi 50 cm di sedimento, per Mercurio e Idrocarburi.

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Conc. < 1 (limite di Intervento ICRAM) 1 (limite di Interv. ICRAM) < Conc. < 5 (Col. B Tab. 1 All. 5 Tit. V Parte IV D.Lgs 152/2006) 5 (Col. B Tab. 1 All. 5 Tit. V Parte IV D.Lgs 152/2006) < Conc. < 500

Conc. < 750 (Col. B Tab. 1 All. 5 Tit. V Parte IV D.Lgs 152/2006) (Col. B Tab. 1 All. 5 Tit. V Parte IV D.Lgs 152/2006) < Conc.

Conc. > 500 Substrato non campionabile

Figura 1 – Mappe di contaminazione per il mercurio e idrocarburi a numeri di atomi di carbonio maggiore di 12 (IC>12) (ri-adattato da ICRAM 2008)

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Substrato non campionabile

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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doi.org/10.32024/ida.v5i3.p02


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2.2. Preparazione dei campioni di sedimento Sulla base della caratterizzazione effettuata dall’ICRAM, a partire dal 2014 gli autori hanno condotto due nuove campagne di campionamento ed indagine dei sedimenti della Rada di Augusta, finalizzati allo studio del possibile trattamento di SW nell’ambito di un progetto Europeo condotto dall’Università di Enna “Kore” (Di Bella et al., 2014). Considerando l’estrema eterogeneità dell’area, l’attività di campionamento dei sedimenti è stata condotta laddove si sono ravvisati livelli di contaminazione tali da giustificare il trattamento dei sedimenti prelevati. In particolare, i campioni di sedimenti analizzati sono stati costituiti a partire da due differenti campagne di campionamento, realizzate in-situ nell’arco di un anno. I campionamenti, previsti a profondità modeste (in generale inferiore a 1 metro e comunque non superiore a 1,5 m), sono stati condotti da una squadra di tre operatori subacquei autorizzati e supportati da natante. Ogni prelievo è stato effettuato mediante infissione del carotiere nello strato superficiale di sedimento. Inoltre, al fine di valutare l’effetto del frazionamento granulometrico preliminare, tutti i campioni sono stati caratterizzati secondo tre frazioni differenti: • Tal Quale (TQ); • frazione fine: la matrice sedimentaria passante dallo staccio a 63 µm; • frazione grossolana: la matrice trattenuta dallo staccio a 63 µm e non superiore ai 2 mm. Per quanto riguarda lo studio sul trattamento di decontaminazione, si sono eseguiti test di lavaggio in batch per mezzo di un reattore di circa 3 litri, miscelato a 200 rpm. Ogni test, per date condizioni al contorno e per ogni campione analizzato, è stato riprodotto in almeno 3 differenti repliche. La prima campagna d’indagine ha coinvolto il prelievo e la caratterizzazione in laboratorio di campioni prelevati in due aree differenti della Rada (Figura 2), scelte sulla base dello studio preliminare basato sull’indagine dell’ICRAM (2008): • Area 1: a sud-est dei pontili ESSO ed ENEL e della foce del Torrente Canterra, che risultava affetta da un carico inquinante prevalentemente inorganico (metalli pesanti); • Area 2: ricadente leggermente più a Nord della precedente e potenzialmente caratterizzata dalla presenza di un inquinamento mediamente più marcato rispetto all’area precedente. In questa prima campagna sperimentale, le analisi di laboratorio hanno riguardato l’iniziale caratteIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

Metalli Pesanti (ICRAM 2008)

IC >12 (ICRAM 2008)

Figura 2 – Ubicazione dei sondaggi condotti durante la prima campagna di indagini

rizzazione di 4 differenti campioni di sedimenti prelevati nelle due zone di studio (S1 e S2 in Area 1, S3 ed S4 in Area 2). Su questi campioni si è proceduto alla caratterizzazione dei campioni “Tal quali” e “frazionati” previa setacciatura a 63 micrometri. Per quanto riguarda i test di lavaggio, in questo primo approccio sperimentale si sono avanzate prove in batch sulla base delle condizioni al contorno scelte sulla mera consultazione della letteratura esistente (Tessier et al., 1979; Yan et al., 2004): • campione di lavoro: costituito dalla miscela delle sole frazioni fini (< 63 micrometri) delle quattro aliquote di sedimento prelevato nell’area di indagine, al fine di ottenere un unico campione rappresentativo definito nel seguito “campione composito”; • miscela solido/Liquido (sedimento/soluzione di lavaggio): pari a 1:10 peso/peso; • agitazione del reattore in batch: 200 rpm; • tempo di contatto: si sono analizzati due scenari, il primo che prevedeva un tempo di reazione breve pari a 3h, il secondo in cui il tempo di reazione è stato prolungato a 24 h;


• miscela solido/Liquido (sedimento/soluzione di lavaggio): pari a 1:10 peso/peso; • agitazione del reattore in batch: 200 rpm; • tempo di contatto: l’analisi preliminare ha rilevato che tempi superiori a 6 ore non mostravano nessun ulteriore beneficio, conseguentemente si sono analizzati tempi di contatto relativamente brevi (0,5h; 2h; 4h; 5h); • controllo del pH: sono stati replicati tre test, in ambiente acido (pH=4), basico (pH=9) e neutro (pH=7); • agenti estraenti: si sono analizzati 3 differenti chelanti (EDTA, EDDS e Acido Citrico) tutti alla concentrazione media di 0,05M.

Figura 3 – Ubicazione dei sondaggi condotti durante la seconda campagna di indagini

• agenti estraenti: si sono analizzati 3 differenti chelanti (EDTA, Acido Acetico e Acido Citrico) a 3 differenti concentrazioni (0,05M; 0,1 M; 1M); • analisi dei dati: ogni prova è stata ripetuta tre volte al fine di valutare la ripetibilità del dato. Il secondo campionamento, eseguito circa un anno dopo, ha riguardato il prelievo di sedimenti in tre punti specifici della Rada di Augusta. In particolare, sulla scorta della caratterizzazione della precedente campagna (in cui si è evidenziato un inquinamento organico modesto, come evidenziato nel paragrafo dei risultati), sono stati volutamente ricercati campioni di sedimenti caratterizzati da una elevata concentrazioni di idrocarburi, almeno potenziale: i punti di campionamento sono ripotati in Figura 3. Tutti i campioni sono stati miscelati al fine di valutare una matrice statisticamente idonea. Si è proceduto, anche in questo caso, alla caratterizzazione dei campioni “Tal quali” e frazionati. In questa seconda campagna sperimentale, lo studio sul trattamento di decontaminazione è stato pianificato sulla base delle caratteristiche della nuova matrice (prevalentemente contaminata da materia organica, e sulla base del necessario approfondimento di alcuni aspetti precedentemente non analizzati (ad esempio lo studio a pH controllato): • campione di lavoro: costituito da un unico “campione medio composito” a granulometria fine (<63 micrometri) ottenuto dalla miscelazione di tutti i campioni di sedimento prelevati durante la seconda campagna di indagine; doi.org/10.32024/ida.v5i3.p02

2.3. Metodi analitici e strumentali per la caratterizzazione delle matrici sedimentarie La caratterizzazione chimico-fisica di tutti i campioni, tal quali e trattati, è stata basata sull’applicazione di una serie di metodiche e procedure analitiche standardizzate al fine di effettuare una caratterizzazione confrontabile con i dati riportati in letteratura. Le metodiche utilizzate ai fini della caratterizzazione dei sedimenti provenienti dall’area in esame fanno riferimento ai protocolli standard di riferimento (ASTM, 1985; APAT-IRSA, 2003; EPA 2007; US EPA, 2007) e al Manuale Tecnico “Metodologie di analisi di riferimento” dell’ICRAM (2008). La misura degli idrocarburi totali (TPH) è stata effettuata prima e dopo le prove di lavaggio in batch, mediante l’utilizzo del gascromatografo GC/FID previa estrazione attraverso l’uso del SpeedExtractor E-916® che permetteva di estrarre campioni solidi in accordo con la metodica di estrazione EPA (2007). Specificatamente, per il caso in esame e in linea con la matrice di studio, la retta di calibrazione ha previsto la standardizzazione degli idrocarburi C>10, con particolare attenzione alle catene pesanti, più o meno tutte rappresentate. La misura dei metalli è stata effettuata, previa estrazione con il digestore Discovery Cem® secondo il metodo APAT IRSA – CNR 3020 Man 29 2003 relativo, mediante spettroscopia al plasma accoppiato induttivamente (ICP-AES, OPTIMA 4300 DV della Perkin Elmer®) su campioni “in soluzione”. Tale metodo ha previsto la digestione totale del campione mediante mineralizzazione con una miscela di acidi forti (HCl, HNO3 e HF) a caldo, in un sistema chiuso, a microonde. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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IC >12 (ICRAM, 2008)

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3. RISULTATI E DISCUSSIONE

Tabella 1 – Risultati della caratterizzazione condotta durate prima campagna di indagine

3.1. Caratterizzazione dei sedimenti In accordo con le due differenti campagne di indagini e le premesse sopra discusse, i campioni caratterizzati hanno presentato due differenti tipologie di contaminazione. Nella prima campagna di indagine, le Aree 1 e 2 hanno evidenziato un inquinamento di natura tendenzialmente inorganica, caratterizzato dalla presenza di metalli pesanti piuttosto che idrocarburi (espressi come TPH). In Tabella 1, è riportata la caratterizzazione chimica di tutti i campioni: tal quali (TQ), della frazione grossolana (>63 µm) e fine (<63 µm). Quest’ultima è risultata la frazione granulometrica predominante in quanto, come rilevato dall’analisi granulometrica, i campioni sono classificabili come “limo con sabbia argillosa” costituiti dal 50% da limo, 30% da sabbia e 20% da argilla. I risultati ottenuti dalla caratterizzazione evidenziano alcuni aspetti interessanti che riguardano l’applicabilità dei trattamenti di intervento e l’interpretazione della caratterizzazione. • nel caso dei “metalli pesanti” i limiti di intervento (ICRAM, 2008) sono sempre superati: in alcuni casi, il sedimento originale mostra contaminazioni che peggiorano criticamente una volta che il sedimento viene pre-frazionato; • per quasi tutti i campioni la contaminazione risulta principalmente concentrata nella frazione fine: tale aspetto è particolarmente marcato nei campioni di sedimento presenti nell’area 2, probabilmente per la presenza di una percentuale maggiore di materiale organico sulla frazione fine (vedi anche dati di TPH); • nonostante ci sia la presenza di una modesta concentrazione di idrocarburi nel punto di campionamento “S3”, la miscelazione di tutti e 4 i campioni di sedimenti definisce un campione “medio composito” con un valore di TPH sempre inferiore ai limiti di legge (Colonna B, Tabella 1, All V, Parte IV = 750 mgTPH/kgSS). Al fine di migliorare la consultazione dei dati più significativi in tabella, nella Figura 4 (a pagina seguente) sono riassunti graficamente i dati relativi alla contaminazione osservata durante prima campagna di indagine. In definitiva, nella prima campagna di indagine è stato dimostrato che, se da un lato, la separazione granulometrica finalizzata all’eventuale recupero della frazione grossolana non contaminata consentirebbe di ridurre peso e volume, di circa il 30%, Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

FRAZIONE “TAL QUALE”

Parametro

UM

S1

S2

S3

S4

Composito

TPH

g/kgss

0,03

0,06

0,22

0,11

0,17

Ni

g/kgss

65,9

45,1

12,5

21,8

55,0

Cu

g/kgss

54,8

48,8

89,7

116,3

103,2

Zn

g/kgss

78,2

6,7

204,2 187,9

196,2

78

21,8

101,2

109,7

0,01 0,0001 0,045

0,02

Cr

g/kgss 118,1

Hg

g/kgss 0,083

Parametro

UM

TPH

FRAZIONE “TAL QUALE” S1

S2

S3

S4

Composito

g/kgss

0,03

0,07

0,42

0,17

0,25

Ni

g/kgss

70,0

47

12,0

25

58,5

Cu

g/kgss

57,3

51

82,0

134,4

129,5

Zn

g/kgss

81,9

0,9

233,3

258

245,7

Cr

g/kgss 125,3

82

18,0

140,8

133,1

Hg

g/kgss 0,006 0,005 0,008 0,032

0,015

Parametro

UM

TPH Ni

FRAZIONE “TAL QUALE” S1

S2

S3

S4

Composito

g/kgss

0,01

0,01

0,33

0,04

0,04

g/kgss

19,2

31,2

15,2

15,2

17,2

Cu

g/kgss

25,9

3,4

125,3

77,9

80,1

Zn

g/kgss

35,3

49,4

71,7

38,8

55,3

Cr

g/kgss

36,2

48,8

39,1

17,5

26,6

Hg

g/kgss 0,095 0,011 0,0001 0,013

0,008

della frazione da sottoporre a trattamento e/o smaltimento, dall’altro lato rischierebbe di aumentare il rendimento di rimozione degli inquinanti richiesto per l’eventuale trattamento (o in alternativa, il livello di protezione ambientale dell’impianto di smaltimento finale). In tal senso, la caratterizzazione chimica del solo sedimento “Tal quale” non risulterebbe esaustiva per la progettazione di interventi di bonifica ex-situ dei sedimenti eventualmente dragati. In particolare, ove si voglia ricorrere al riutilizzo dei sedimenti dragati, piuttosto che al loro smaltimento, occorre procedere alla caratterizzazione, oltre che del sedimento tal quale, anche di frazioni granulometriche di “interesse” al fine di verificarne il rispetto dei limiti previsti dalle norme in materia (D.Lgs 152/2006). In questo contesto, infatti, occorre precisare che il Sediment Washing (BIOGENISIS, 2008), necessita del pretrattamento dei sedimenti mirato alla separazione delle frazioni granulometriche che li compongono, per cui l’aspetto sopra evidenziato diventa una pre-


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Figura 4 – Risultati della caratterizzazione condotta durante la prima campagna di indagini

doi.org/10.32024/ida.v5i3.p02

Tabella 2 – Risultati della caratterizzazione condotta durante la seconda campagna di indagine (n.a. parametro non analizzato) Campione composito

Parametro

UM

TQ

< 63 µm

> 63 µm

TPH (> 12)

g/Kgss

13,5

17,8

9,5

Ni

g/Kgss

19,4

37,43

0,5

Cu

g/Kgss

0,2

0,2

0,18

Pb

g/Kgss

8,5

14,3

0,85

Cr

g/Kgss

11

19,4

0,7

Hg

g/Kgss

n.a.

n.a.

n.a.

• nel caso dell’inquinamento da idrocarburi, l’operazione di frazionamento evidenzia una equilibrata distribuzione dei TPH in entrambe le matrici, fine e grossolane, con una tendenza al concentramento nella frazione inferiore a 63 micrometri. In definitiva, la seconda campagna di indagine ha permesso, da un lato, di confermare i dati ICRAM sulle aree “critiche” di sversamento storiche di idrocarburi, poi adsorbiti nei sedimenti superficiali. Dall’altro lato, la campagna di campionamento ha permesso di costituire una matrice di studio utile per le valutazioni delle prove di decontaminazione volte all’analisi dell’inquinamento organico. Nel seguito, come osservato in precedenza, la matrice di “sedimento composito” e i relativi dati di caratterizzazione della prima e della seconda camIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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scrizione fondamentale nella pianificazione e nella progettazione dell’impianto di trattamento. Il frazionamento preliminare riduce la quantità di sedimenti da sottoporre a trattamento, che può essere limitato solamente alla frazione più fine (limo e argilla), in cui tende a concentrarsi la maggior parte degli inquinanti; di contro, la frazione più grossolana (sabbia, ghiaia) può risultare non contaminata e quindi riutilizzabile senza alcun trattamento. Come premesso, la seconda campagna di indagine ha riguardato la caratterizzazione di un solo campione, ottenuto miscelando campioni puntuali prelevati in Rada, lungo transetti e zone in cui ICRAM precedentemente aveva rilevato un’alta presenza di idrocarburi adsorbiti sul sedimento superficiale. In Tabella 2 sono riassunti i dati di caratterizzazione secondo i contaminanti di interesse. I risultati ottenuti dalla caratterizzazione evidenziano che: • la contaminazione dei metalli pesanti, per quanto eccedente i limiti di legge, risulta tendenzialmente minore a quella rilevata nei campioni della prima indagine (Area 1 e 2); • la contaminazione “inorganica” si concentra anche in questo caso nella frazione fine; • confermando la corretta scelta dei punti di misura, la concentrazione di TPH risulta elevata, con superamenti anche di 1-2 ordini di grandezza rispetto ai valori limite della colonna B della Tab. 1 dell’All. 5 al Titolo V Parte IV del D.Lgs 152/2006;

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pagna, sono stati utilizzati per l’analisi del potenziale rendimento di “Sediment Washing” nei confronti dei metalli pesanti e degli idrocarburi pesanti, rispettivamente.

IdA

3.2. Performance di rimozione dei metalli pesanti con Sediment Washing

180

La valutazione delle potenziali capacità di trattamento del “Sediment washing” in termini di rimozione di metalli pesanti è stato inizialmente eseguito sulla base dei risultati della prima campagna di indagine sperimentale. In questo caso, le prove di lavaggio dei sedimenti sono state effettuate con test in batch a scala di laboratorio sulla frazione fine di sedimento preventivamente setacciato (< 63 µm). I test di lavaggio in batch sono stati condotti con (Di Bella et al., 2015; Di Bella e Viviani, 2015): • EDTA, agente diffusamente studiato per le applicazioni su sedimenti contaminati, che ha dimostrato una buona efficienza di estrazione per molti metalli pesanti; • acido citrico, per la sua elevata biodegradabilità, trattandosi di un prodotto naturale, derivante dal metabolismo di gran parte degli organismi viventi; • acido acetico, composto più degradabile e meno tossico dell’EDTA, ma avente proprietà estrattive e a minor costo; • acqua, che ha permesso di valutare il solo effetto “washing” della componente più facilmente separabile. Dal confronto tra i diversi agenti estraenti selezionati (Figura 5, a pagina seguente) si rileva che l’agente più performante, in termini di efficienza di rimozione, risulta essere l’acido citrico. Per quanto riguarda invece l’influenza della concentrazione, essa varia in funzione dell’agente e della specie da complessare. In generale, confrontando le performance in funzione della molarità dell’agente migliore (che risulta talaltro alquanto economico), si evince che già a 0,05 M le efficienze risultano più che soddisfacenti anche sulla base della riduzione dell’uso di additivi. Di contro, l’analisi parallela sul tempo di contatto ha evidenziato che: • solamente nel caso della concentrazione 1 M di acido citrico, si è riscontrato un aumento significativo delle performance con un tempo di contatto (tC) pari a 24 h; • nel caso del Mercurio, neanche l’aumento di concentrazioni e tempo di contatto, sembra favorire una soddisfacente decontaminazione. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

Al fine di completare gli scenari di indagine, la Figura 6 (a pagina 182) riporta i valori più significativi di rendimento di rimozione per i metalli pesanti, utilizzando anche EDDS (oltre ad EDTA e acido citrico) e il controllo di pH, sulla base delle prove effettuati sul “campione composito” della seconda campagna di indagini. Il confronto con i dati riportati nel paragrafo precedente confermano le osservazioni generali precedentemente già discusse: • l’acido citrico, in generale, ha garantito per i metalli pesanti efficienze di rimozione tendenzialmente maggiori, ancor più in ambiente acido e un tempo di contatto di 5h. In particolare, le maggiori efficienze di rimozione sono state raggiunte per il piombo (70%), nichel (50%) e rame (56%); • nel caso dell’utilizzo di EDTA, le efficienze di rimozione dei contaminanti inorganici hanno mostrato valori più elevati in ambiente basico e al tempo di contatto di 5h. Elevate efficienze di rimozione sono state raggiunte per il Pb (96%), il Cr (72%), e il Ni (66%); • nel caso dell’EDDS sono state ottenute delle buone efficienze di rimozioni in ambiente basico ma minori rispetto agli agenti chelanti precedentemente descritti. I risultati globalmente ottenuti, sono in accordo con studi riportati in letteratura e le performance osservate sono confrontabili con le efficienze di rimozione dedotte dai valori delle costanti di stabilità. In particolare, nel caso della seconda campagna di caratterizzazione, è stato valutato anche il Pb: quest’ultimo è risultato essere il contaminante inorganico maggiormente estraibile, con EDTA a pH basico. Un’ulteriore indagine è stata effettuata sull’effetto di mobilizzazione esercitato dagli agenti chelanti nei confronti dei macroelementi (Ca, Mg e Fe) presenti nei sedimenti al fine di verificare l’esistenza di eventuali fenomeni di competizione per la formazione di complessi metallo-chelante. Gli agenti chelanti EDTA, EDDS e acido citrico hanno mostrato una grande affinità nei confronti del Ca e del Mg dando luogo ad elevate efficienze di estrazione dopo 5h del trattamento. Tali agenti chelanti hanno dimostrato una buona capacità di mobilizzazione anche nei confronti del Fe e del Na, benché le cinetiche di estrazione siano risultate più lente rispetto a quelle osservate per il Ca e per il Mg. In base ai risultati ottenuti, la capacità estraente dimostrata da tali agenti chelanti nei confronti del Fe e del Na è da associare alla loro capacità di dar luogo alla dissoluzione degli ossidi di tali metalli, confermata anche da precedenti autori (Nowack et al. 2001), seb-


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bene altri studi abbiano indicato cinetiche di dissoluzione degli ossidi di Fe e Na piÚ lente. Concludendo, dagli ulteriori risultati di approfondimento sulla base del campione medio composito della seconda campagna di indagini, è emerso doi.org/10.32024/ida.v5i3.p02

che, sebbene le osservazioni generali della prima campagna risultino essere globalmente confermate, la scelta del tempo di contatto (comunque inferiore a 5h) e delle condizioni operative (acide o basiche), possono notevolmente influenzare le effiIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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Figura 5 – Efficienza di rimozione degli inquinanti inorganici nelle prove di washing sui sedimenti della prima campagna di indagini

181


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Figura 6 –Efficienza di rimozione dei metalli pesanti con i test di lavaggio a pH controllato sui sedimenti della seconda campagna di indagini. Concentrazioni di agenti estraenti pari a 0,05 M

182

cienze di rimozione dei contaminanti e quindi l’ottimizzazione gestionale impiantistica. Una discussione a parte merita il mercurio. In generale, è stato riscontrato il superamento in tutte le frazioni dei campioni analizzati (TQ, grossolana e fine) sia dei limiti di intervento fissati dall’ICRAM (1 mg/kgSS), sia del valore tabellare di colonna B fissato dal D.Lgs 152/06 (5 mg/kgSS), sia infine “di smaltimentoâ€? secondo l’allegato D del suddetto decreto, riferito proprio allo smaltimento in discarica per rifiuti non pericolosi. In particolare, nel caso dei risultati relativi alla prima campagna sperimentale, i campioni TQ presentano differenze di concentrazione di mercurio abbastanza rilevanti, anche se tutte ricadenti nel range di concentrazione riportate dall’analisi ICRAM (2008). A differenza del comportamento medio degli altri inquinanti, specialmente inorganici, non esiste un’evidente concentrazione nella frazione fine dell’inquinante; addirittura in alcuni campioni il mercurio si è ritrovato quasi tutto nella frazione grossolana (Orecchio e Polizzotto, 2013). Questa estrema variabilità è stata addebitata alla differente forma in cui il mercurio si trova legato: solubile, debolmente o fortemente legato. In questo contesto, poichĂŠ il problema della variabilitĂ del mercurio non è stato oggetto di una ricerca approfondita in questa fase di sperimentazione, si può solo ipotizzare che: • le differenti forme di mercurio presenti nei sedimenti interagiscono diversamente con le differenti frazioni granulometriche dei sedimenti; Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

• dato che le metodiche utilizzate per le analisi sui metalli pesanti riguardano una quantitĂ esigua di campione (0,5 g), è probabile che la natura estremamente variabile del mercurio (rispetto ad altri metalli) sia condizionata maggiormente da una non perfetta omogeneizzazione; • è possibile che i risultati siano stati influenzati da una differente movimentazione pregressa del sedimento in situ: alla luce delle analisi e delle ricerche svolte, è possibile ipotizzare anche che la porzione solubile del mercurio è presente solamente quando le concentrazioni di questo nel campione TQ superano qualche decina di mg/kgSS. Infine per quanto riguarda il potenziale trattamento per mezzo di SW, i test effettuati (tutti relativi alla prima campagna di indagine) non hanno mostrato particolari e soddisfacenti risultati. L’efficienza di trattamento migliore si è registrata con Acido Acetico e Acido Citrico alla concentrazione di 1M: in ogni caso, l’efficienza di rimozione si è attestata al massimo a circa il 30%. 3.3. Efficienza di rimozione TPH con Sediment Washing La valutazione delle potenziali capacitĂ di trattamento del “Sediment washingâ€? in termini di rimozione di idrocarburi è stata eseguita solamente nella seconda campagna di indagine sperimentale e sull’unico campione “medio compositoâ€?. In tal senso, occorre precisare che l’analisi in questa seconda fase sperimentale (seconda campagna


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Si evidenzia che i migliori rendimenti si sono ottenuti con acido citrico a pH=4 e tc maggiore o uguale a 4 ore: in generale l’ambiente basico favorisce la dissoluzione degli inquinanti solamente con EDDS ed EDTA; di contro, l’acido citrico sembra poco influenzato dall’ambiente alcalino, anzi favorito dall’ulteriore abbassamento di pH. Ăˆ importante notare che anche in questo caso l’acido citrico risulta essere soddisfacente, anche a pH neutro: solamente il batch test condotto in ambiente fortemente alcalino con EDTA ha mostrato un incremento di prestazioni rispetto all’acido citrico alle stesse condizioni al contorno. In tal senso, un’analisi costi-benefici (multicriteria) risulterebbe utile per integrare l’indagine, con lo scopo di valutare sia la semplificazione gestionale derivante da un trattamento a pH neutro, quindi senza correzioni di pH, sia il risparmio economico legato all’utilizzazione dell’acido citrico. Inoltre i risultati ottenuti per la rimozione dei contaminanti organici (TPH) mostrano che per tutti e tre gli agenti estraenti analizzati, le efficienze di estrazione sono aumentate all’aumentare del tempo di contatto e ad eccezione del caso in cui si è utilizzato EDTA in ambiente acido. A pH acido, il migliore agente estraente è risultato essere l’acido citrico, in quanto ha raggiunto un’efficienza di rimozione del 99%, mentre l’EDTA ha mostrato una efficienza costante e pari al del 92% e l’EDDS del 93%. A pH neutro, acido citrico ed EDTA hanno raggiunto entrambi efficienze di estrazione di circa il 93-94%, piĂš elevate rispetto l’EDDS. Infine, a pH basico, l’EDTA è risultato essere il migliore agente estraente raggiungendo un’efficienza di estrazione del 95%.

Figura 7 – Concentrazione residua di TPH dopo i test di lavaggio a pH controllato

3.4. Possibile configurazione dell’impianto di “Sediment Washing�

di indagine) è stata preceduta da una serie di test preliminari atti alla valutazione e validazione delle osservazioni rilevate in precedenza (compreso per i metalli pesanti, giĂ discussi in precedenza). In questo contesto, per queste prove è stata adottata la concentrazione pari a 0,05 M e, come riportato nel paragrafo dei “Materiali e Metodiâ€?, oltre all’EDTA e all’acido citrico, è stato investigato anche l’effetto dell’EDDS. Per quanto riguarda i risultati, ottenuti a pH controllato, in Figura 7 sono riportate le concentrazioni residue di idrocarburi dopo i relativi test di lavaggio.

Dai risultati ottenuti nei test descritti, l’acido citrico si è mostrato essere il miglior agente per la rimozione dei contaminanti organici e inorganici, mentre l’EDTA efficace per la rimozione dei contaminanti inorganici. Inoltre, sulla base dell’indagini di mercato, i due chelanti sembrano essere anche piĂš economici rispetto ad altri: in media, l’acido citrico costa 19 â‚Ź/kg, contro gli 82 â‚Ź/kg per l’EDTA e addirittura i 920 â‚Ź/kg per l’EDDS. Pertanto, la scelta di utilizzare l’acido citrico come agente per la rimozione dei contaminanti nei sedimenti in studio appare il piĂš vantaggioso dal punto di vista tecnico-economico.

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Figura 8 – Schematizzazione del trattamento proposto

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In tal senso, la Figura 8 propone un “Schema generaleâ€? di train treatment, per il trattamento dei sedimenti indagati. Lo schema prevede il lavaggio con acido citrico e la successiva estrazione del residuo inorganico con EDTA; in alternativa si potrebbe sostituire l’EDTA con l’ulteriore dosaggio di acido citrico a pH=4. L’impianto di Sediment Washing, proposto e schematizzato in linea generale in Figura 8, deve operare alle seguenti condizioni: • pezzatura massima dei sedimenti lavorabili: 50 mm; • caratteristiche materiale: materiale sciolto (granulare) di tipo non coesivo/adesivo (plastico), palabile, con umiditĂ massima 25%, in grado di passare attraverso una griglia orizzontale di luce 90 mm e che consenta l’impiego di un gruppo di alimentazione dotato di nastro estrattore; • prodotti finale: limi – argille < 0,063 mm, 0,063-2 mm, scarto > 2 mm (ghiaietto 4-25 mm, ghiaia 25-90 mm), materiale organico 0-90 mm, materiale ferroso 0-90 mm; • eventuale recupero e/o trattamento soluzione di lavaggio. Sulla base di queste ipotesi e dello schema generale ipotizzato, si è valutato (grossolanamente) un costo di trattamento variabile tra 75 â‚Ź/m3 (grande scaIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

la, ≈300.000 m3) a 128 â‚Ź/m3 (piccola scala, ≈50.000 m3); questa stima la quantitĂ di sedimenti eventualmente riutilizzata è stata considerata semplicemente come una voce di “risparmioâ€? per mancato smaltimento, piuttosto che una voce di “guadagnoâ€? per vendita e valorizzazione. Le ipotesi del computo hanno inoltre previsto: • impianti omnicomprensivi “chiavi in manoâ€?, con uso di chelanti “economiciâ€? (quali l’Acido Citrico) per il trattamento di composti sia organici che inorganici, con una doppia filiera di trattamento in parallelo per la frazione fine (70%) e grossolana (30%, utile per il residuo di mercurio e idrocarburi); • nonostante tutti i costi siano stati normalizzati per m3 di matrice trattata, sono state avanzate una serie di ipotesi di lavoro che prevedevano l’effetto scala, impiantistico e gestionale, legato soprattutto ai costi CAPital EXpenditure, validati anche sulla scorta di dati di letteratura; • i costi di ammortamento hanno previsto un “tasso costante al 6%â€? e una vita utile dell’impianto di 15 anni; • la valutazione dei costi Operating EXpenditure è stata fatta su base analitica, con riferimento a test pilota e di laboratorio effettuati nell’ambito di un approfondimento sperimentale da effettuare.


4. CONCLUSIONI La caratterizzazione dei sedimenti ha evidenziato la differente capacità di interazione degli inquinanti, in funzione delle caratteristiche granulometriche. Ciò risulta di particolare interesse nelle fasi preliminari di valutazione dei possibili interventi di trattamento, recupero o smaltimento a cui sottoporre i sedimenti stessi; infatti, anche nei casi in cui sia possibile separare una frazione grossolana non contaminata da avviare al recupero, potrebbe essere comunque utile trattare la frazione fine (ai fini del recupero o della riduzione della tariffa di smaltimento). In tal senso, la caratterizzazione dei sedimenti “Tal quale” è finalizzata alla valutazione della necessità di intervento ma non risulta “completa” ai fini dell’intervento successivo e alla gestione del “sotto-prodotto recuperato” o del “Rifiuto prodotto”. Dal punto di vista del trattamento atto alla bonifica dei sedimenti, i processi di lavaggio basati sull’utilizzo di agenti chelanti sono considerati promettenti ai fini di una decontaminazione di sedimenti, per quanto riguarda l’inquinamento sia organico che inorganico. L’ottimizzazione del processo, ovviamente, richiede in ogni caso una preventiva fase di analisi e approfondimento di numerosi aspetti: scelta dell’agente estraente e della sua concentrazione, influenza del tempo di contatto e del pH; rapporto doi.org/10.32024/ida.v5i3.p02

solido-liquido; pre-trattamento e separazione granulometrica iniziale. Nel caso dei sedimenti contaminati prelevati nella Rada di Augusta, si è evidenziato che la bonifica può essere condotta soddisfacentemente con tecniche di Sediment Washing, pre-frazionando la frazione fine (< 63 micrometri) e sottoponendola a lavaggio sequenziale (rapporto solido-liquido pari a 0,1 in peso) con acido citrico in ambiente neutro e successivamente in ambiente acido, o in alternativa co acido citrico prima e EDTA a pH non controllato.

5. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI APAT IRSA – CNR 3020 Man 29 (2003) Metodi analitici per le acque. ASTM (1985) – Test designation D 421 Standard Practice for Dry Preparation of Soil Samples for Particle-size Analysis and Determination of Soil Constants. Vol. 04.08. ASTM Philadelphia, USA. BIOGENESIS (2008) Sediment washing technology – BenchScale Treatability Study Report; D.Lgs 152/2006 “Norme in materia Ambientale”, G.U. n. 88 del 14 aprile 2006, Supplemento ordinario n. 96 e s.m.i. Camargo J.A. (2002) Contribution of Spanish–American silver mines (1570-1820) to the present high mercury concentrations in the global environment:a review. Chemosphere 48, 51-57. Corami F., Cairus W.R.I., Rigo C., Vecchiato M., Piazza R., Cescon P. (2010) “Sediment washing” dei sedimenti fortemente contaminati della Laguna di Venezia: un approccio sstenibile. Covelli S., Faganelli J., Horvat M., Brambati A. (2001) Mercury contamination of coastal sediments as the result of long-term cinnabar mining activity (Gulf of Trieste, northern Adriatic sea). Appl. Geochem. 16, 541-548. D.M. 468/2001. Decreto Ministeriale 18/09/2001 n°468 “ Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale” e s.m.i. Dastoli S., De Gioannis G., Morelli M., Muntoni A., Peretti R., Polettini A., Pomi R., Romano E., Serci A., Stramazzo A., Villani B., Zucca A. (2013a). Individuazione di una strategia per la gestione sostenibile dei sedimenti provenienti dal dragaggio di porti a rilevanza locale. In: Atti workshop “Siti Contaminati: Esperienze negli interventi di risanamento”, pp. 305-322. Dermont G., Bergeron M., Mercier G., Richer-Lafl M. (2008) Soil washing for metal removal: a review of physical/chemical technologies and field applications, Hazard J. Mater, 152, pp. 1-31. Di Bella G., De Marchis M., Freni G., Giustra M.G., Mancini G., Viviani G. (2014). “Caratterizzazione dei sedimenti marini contaminati della rada di Augusta”. SiCon 2014 Workshop su: Siti Contaminati. Esperienze negli interventi di risanamento. Brescia (Italia). 6-8 Febbraio 2014. Di Bella G. e Viviani G. (2015). Caratterizzazione e lavaggio in batch di sedimenti contaminati. RECOVER Magazine N°32, 2015. Di Bella G., Di Prima N., Giustra M.G., Viviani G. (2015). “Trattamento di sedimenti marini contaminati nella Rada di Augusta: prove di lavaggio in batch”. SiCon 2015 Work-

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In estrema sintesi, si potrebbe prevedere: • un impianto pilota a piccola scala, del costo complessivo di 1.000.000 – 1.500.000 di euro per il trattamento di circa 10-15 t/h; • un impianto pilota scala medio-grande, del costo complessivo di 1.750.000 – 2.500.000 di euro per il trattamento di circa 25-30 t/h; • un impianto a scala reale, del costo complessivo di 5.000.000 – 8.000.000 di euro per il trattamento superiore a 60 t/h. In tutti i casi la distribuzione delle voci prioritarie di costo prevede: circa il 50% per macchine e carpenterie zincate; circa il 35% per l’intera sezione di trattamento di acque e fanghi residuali; circa il 15% impianti e servizi di completamento. Il costo complessivo di “bonifica” dovrebbe, comunque, essere confrontato con i costi di gestione di tali “matrici”, facendo riferimento alle reali condizioni sito-specifiche siciliane. In ogni caso, occorre sottolineare che l’analisi non tiene conto dei “benefici ambientali” e della flessibilità che questo tipo di filiera può garantire.

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RINGRAZIAMENTI Si ringrazia la Ditta B.S.I. srl (2008) Società Brescia Impianti, per i preventivi e il supporto nella fase di definizione dei costi di investimento del Sediment Washing.


LIVELLI E TOSSICITÀ DI DIOSSINE, FURANI E PCB DIOXIN LIKE IN ARIA AMBIENTE NEL VENETO

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Luca Zagolin1,*, Giovanna Marson1, Salvatore Patti1 ARPA Veneto, Osservatorio Regionale Aria, Mestre-Venezia ,Italy.

Sommario – I livelli di diossine (PCDD) furani (PCDF) e policlorobifenili dioxin like (PCB-DL) sono stati determinati in aria ambiente nei 7 capoluoghi di provincia del Veneto, in siti di fondo urbano. Il campionamento è stato effettuato in diversi periodi dell’anno, per tenere conto delle variazioni meteoclimatiche stagionali. Le concentrazioni totali di diossine e furani (Σ PCDD/F) si sono attestate in un range di 34-1420 fg m-3, mentre quelle dei PCB-DL in un range di 1210-9790 fg m-3, mostrando una marcata variabilità stagionale, con picchi di PCDD/F in inverno e PCB-DL in estate. La tossicità equivalente dei campioni si è collocata in un range di 4-95 fg m-3 WHO TEQ 2005, con massimi nel semestre invernale, in periodi caratterizzati da elevata stabilità atmosferica. La tossicità equivalente è confrontabile in tutti i siti di pianura, mentre risulta inferiore, soprattutto nei periodi invernali, a Belluno, unico sito al di fuori della Pianura Padana. Il contributo maggiore alla tossicità equivalente dei campioni è da imputare ai furani, mentre quello dei PCB-DL è sostanzialmente trascurabile, specialmente durante i mesi invernali. Parole chiave: inquinamento atmosferico, microinquinanti organici, POPs, PCDD/F, fondo urbano.

PCDD/F AND PCB-DL LEVELS AND TOXICITY IN AMBIENT AIR IN VENETO, ITALY Abstract – Levels of polychlorinated dibenzo-p-dioxins (PCDD), polychlorinated dibenzofurans (PCDF) and polychlorinated biphenyls dioxin-like (PCB-DL) in air ambient were measured at urban background sites, located in 7 main cities of Veneto Region. In order to assess the seasonal concentration variation, for each site 5 sampling campaigns were planned, 3 in winter and 2 in summer. The campaigns (7-14 days long), were executed concurrently in each site with high volume samplers (225 l/min), equipped with TSP quartz filter (100 mm Ø) and PUF (polyurethane foam), collecting both particulate and gas phases. The duration of each sample was planned to collect an adequate amount of analytes, in order to minimize the number of congeners under the limit of detection (LOD). Analytical procedure was performed according to EPA 1613B/94 and TO-9A methods, using a High Resolution Gas Chromatography (HRGC), coupled with High Resolution Mass Spectrometry (HRMS), after extraction and clean up processes. To-

* Per contatti: Via Lissa 6, 30174 Mestre-Venezia, Italy. Tel. 041.5445588; fax 041.5445671. E-mail: luca.zagolin@arpa.veneto.it

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tal concentrations of PCDDs and PCDFs (Σ PCDD/F) were found to be in a range of 34-1420 fg m-3, whereas PCBs-DL levels range from 1210 to 9790 fg m-3, showing a clear seasonal variation. Maximum levels of PCDD/Fs were recorded during winter campaigns, characterized mainly by low dispersive meteorological conditions, whereas PCBs-DL highest concentrations were found during summer campaigns. Concerning the relative abundance of congeners, PCDD/Fs samples are characterized by a prevalence of Octachlorodibenzodioxin, followed by 1,2,3,4,6,7, 8-HpCDD, contributing together to 30-50% of total concentration. The high chlorinated furans congeners are more abundant than low chlorinated ones. PCBsDL pattern is characterized mainly by presence of PCB118 and PCB105, as widely shown in literature for North of Italy. The equivalent toxicity was calculated according to WHO TEF 2005 method, using the upper bound approach for substituting concentrations under LOD. Anyway the difference between equivalent toxicities calculated with lower bound and upper bound approaches was negligible in all samples due to the small number of congeners under LOD. The equivalent toxicity of all samples ranges from 4 to 95 fg m-3 WHO TEQ 2005. Similarly to concentration levels, equivalent toxicity shows significant seasonal variations, from few fg m-3 WHO TEQ 2005 in summer, to tens fg m-3 WHO TEQ 2005 in winter. Equivalent toxicity levels are comparable in all sites located in Po Valley, whereas Belluno, the only city located in an alpine valley, shows equivalent toxicity levels significantly lower, especially during the winter period. The higher equivalent toxicity recorded in Po Valley sites should be related to the atmospheric conditions of this zone in winter, when frequent thermal inversion episodes, low-wind speed conditions and persistent dry periods promote the accumulation of pollutants in the lower atmosphere layers. PCDFs are the congeners that contribute mainly to the total equivalent toxicity, while the PCB-DL contribute is generally negligible. According to the literature, the equivalent toxicity levels calculated for this study are comparable to the values found in the North of Italy. Equivalent toxicity levels found in this study are lower than 150 fg WHO-TEQ m-3, adopted in Germany as conservative threshold for dioxins and furans in ambient air. Moreover these values are lower than 300 fg WHO-TEQ m-3 suggested by WHO as indicative threshold for possible presence of local emitting sources. Keywords: air pollution, organic micropollutants, POPs, urban background, dioxins and furans.

Ricevuto il 4-9-2018; Correzioni richieste il 19-9-2018; Accettazione finale il 26-9-2018. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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1. INTRODUZIONE

2. MATERIALI E METODI

I livelli di diossine, furani e policlorobifenili dioxin-like vengono di norma determinati in aria ambiente in caso di eventi incidentali, specialmente in concomitanza di incendi che interessano attività produttive, o nell’ambito di specifiche campagne di monitoraggio finalizzate a valutare l’impatto di sorgenti puntuali su una determinata area. Per contro l’analisi di questi composti in aria ambiente al di fuori di situazioni emergenziali o puntuali è poco diffusa, sia per la mancanza di limiti normativi imposti dalla legislazione, sia per gli elevati costi analitici legati a questo tipo di determinazioni. È importante tuttavia conoscere i livelli di questi composti al di fuori delle di situazioni emergenziali ed in siti non immediatamente interessati da possibili sorgenti emissive, anche per avere un metro di confronto con i valori registrati durante gli eventi incidentali. Lo scopo del presente studio è quello di riportare i risultati in termini di concentrazione e di tossicità equivalente del monitoraggio di diossine, furani e policlorobifenili dioxin-like effettuato in contemporanea in sette siti di fondo urbano ubicati nei capoluoghi di provincia del Veneto.

Il monitoraggio di diossine, furani e PCB-DL è stato condotto tra il 2015 e il 2016 presso 7 centraline fisse di fondo urbano della rete di monitoraggio della qualità dell’aria (Figura 1), ubicate in zone prevalentemente residenziali dei comuni capoluogo della Regione. Tale scelta è stata fatta perché, grazie alla serie storica di dati di qualità dell’aria disponibile per queste stazioni, i siti erano già ben caratterizzati dal punto di vista dell’inquinamento atmosferico. Il campionamento è stato condotto esclusivamente con campionatori ad alto volume, in grado di aspirare un flusso di aria di 250-500 l/min, con testa di campionamento dotata di filtro TSP (Total Suspended Particle) in fibra di vetro del diametro di 100 mm, e di supporto adsorbente in schiuma poliuretanica (PUF – PolyUrethane Foam), immediatamente al di sotto del filtro, per poter campionare gli analiti sia sul particolato che in fase gassosa. La scelta dei campionatori ad alto volume è stata dettata dalla necessità di raccogliere un quantitativo minimo di composti necessario per essere adeguatamente rilevato a livello analitico, evitando campioni caratterizzati da un elevato numero di

Figura 1 – Ubicazione dei punti di campionamento

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Tabella 1 – Schema delle campagne di campionamento Periodo

Rappresentatività

Tempo di prelievo

1° Campagna

2-9 febbraio 2015

Semestre invernale

168 h

2° Campagna

10-17 febbraio 2015

Semestre invernale

168 h

3° Campagna

23-30 giugno 2015

Semestre estivo

168 h

4° Campagna

15-29 settembre 2015

Semestre estivo

336 h

5° Campagna

19-26 gennaio 2016

Semestre invernale

168 h

congeneri al di sotto del limite di quantificazione, problema già evidenziato in precedenti studi effettuati a livello locale in Veneto (ARPAV, 2009, 2014). Il monitoraggio è stato effettuato dal febbraio 2015 al gennaio 2016 pianificando cinque campagne, realizzate in contemporanea nei sette siti, e ripartite tra i mesi estivi e quelli invernali. La durata di ciascuna delle campagne, variabile da una a due settimane a seconda della stagione, è stata progettata per garantire allo stesso tempo sia il corretto funzionamento dei campionatori senza perdite di carico, specialmente durante i mesi invernali, sia la raccolta di un quantitativo di campione adeguato per determinare analiticamente il maggior numero di congeneri possibile, impostando un flusso di campionamento nominale di 225 l/min. Il periodo e la durata delle campagne, tre durante il semestre invernale (ottobre-marzo) e due durante il semestre estivo (aprile-settembre), sono riassunte in Tabella 1. La determinazione analitica ha riguardato i 29 composti utilizzati per il calcolo della tossicità equivalente del sistema WHO-TEQ 2005 (Van den Berg et al., 2006), comprendente 12 PCB-DL, 7 diossine e 10 furani, quantificati contestualmente nei PUF e nel particolato depositato sul filtro per ogni campione raccolto. La procedura analitica è stata condotta in riferimento ai metodi EPA 1613B/94 e TO-9A (EPA, 1994, 1996). L’estrazione degli analiti dai filtri e dai PUF è avvenuta mediante estrazione con solvente accelerata ad alta pressione e temperatura. Per ogni campione gli estratti del PUF e del relativo filtro sono stati uniti e purificati utilizzando un sistema automatico a colonne sequenziali di silice multistrato (acida/basica), allumina e carbone attivo. I campioni sono stati analizzati utilizzando un gascromatografo ad alta risoluzione accoppiato ad uno spettrometro di massa ad alta risoluzione, impiegando per la quantificazione standard marcati 13C12. La tossicità equivalente dei campioni è stata calcolata sia come somma delle tossicità equivalenti doi.org/10.32024/ida.v5i3.p03

dei soli PCDD/F, secondo lo schema ponderale i-TEQ (NATO/CCMS,1988), sia come somma delle tossicità equivalenti dei PCDD/F e dei PCB-DL, secondo lo schema ponderale WHO-TEQ 2005 (Van den Berg et al., 2006). L’esigenza di riportare le tossicità secondo i due schemi ponderali è collegata alla maggiore possibilità di confrontare i dati ottenuti con i diversi studi di letteratura, che utilizzano l’uno o l’altro sistema a seconda dei composti determinati. Nel calcolo della tossicità equivalente si deve prestare particolare attenzione alla trattazione dei dati analitici con concentrazioni inferiori al limite di quantificazione. Gli approcci più comunemente utilizzati per la trattazione dei dati inferiori al limite di quantificazione prevedono la sostituzione del dato con lo zero (approccio lower bound) o con il limite di quantificazione stesso (approccio upper bound). In via cautelativa in questo studio è stato utilizzato l’approccio upper bound per sostituire i congeneri non quantificabili, avendo ben presente che, dato il basso numero di congeneri al di sotto del limite di rivelabilità in tutti i campioni, non sono state registrate significative differenze tra le tossicità ottenute con l’uno o l’altro approccio di sostituzione. Per verificare statisticamente una possibile differenza nella tossicità tra i siti di misura è stato effettuato il test non parametrico di KolmogorovSmirnov.

3. RISULTATI E DISCUSSIONE 3.1. Caratterizzazione meteorologica delle campagne Le cinque campagne di campionamento pianificate per il presente studio sono state distribuite in un arco temporale di circa un anno. Ciò ha permesso di indagare i livelli di diossine, furani e PCB-DL non soltanto nel corso di diverse stagioni, ma anche in condizioni meteorologiche differenti nell’ambito dello stesso periodo dell’anno. L’espeIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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Campagna

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Aria

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Tabella 2 – Caratterizzazione meteorologica sintetica delle campagne di campionamento

Campagna

Piovosità Velocità del vento media (in mm) a 10 metri (in m s-1)

Caratterizzazione sintetica

1° campagna Febbraio 2015 Settimana invernale instabile e piovosa

34

4.1

2° campagna Febbraio 2015 Settimana invernale stabile ma senza fenomeni di accumulo

1

2.5

3° campagna Giugno 2015

23

1.9

4° campagna Settembre 2015 Settimane tardo estive con condizioni variabili

11

2.4

Settimana invernale con elevata stabilità, assenza di 5° campagna Gennaio 2016 piogge e marcati fenomeni di ristagno delle masse d’aria

0

1

Settimana estiva medio-calda con condizioni stabili

rienza maturata nello studio dei livelli degli inquinanti convenzionali ha infatti evidenziato il ruolo significativo delle condizioni meteorologiche nell’influenzare l’inquinamento atmosferico. Di seguito in Tabella 2 è inserita una caratterizzazione sintetica delle condizioni meteorologiche a scala regionale durante le cinque campagne di misura. 3.2. Dati di concentrazione di PCDD/F e PCB-DL Una prima generale informazione sui livelli di PCDD/F e di PCB-DL rilevati durante l’intero progetto deriva dall’analisi complessiva dei dati e dalle concentrazioni medie rilevate in ogni punto di campionamento. Successivamente è stata analizzata la variazione stagionale delle concentrazioni degli inquinanti, evidenziando possibili differenze dovute ai diversi periodi di campionamento. Infine è stata analizzata l’abbondanza relativa dei congeneri di ogni singolo campione, verificando possibili distribuzioni caratteristiche dei composti nei diversi punti di misura. 3.2.1. Concentrazioni medie

L’analisi delle concentrazioni medie dei microinquinanti rilevati nei 7 punti di misura fornisce una prima informazione di massima sull’ordine di grandezza dei livelli di PCDD/F e PCB-DL nelle aree urbane di fondo del Veneto. Inoltre tale approccio

consente un primo elementare confronto tra le concentrazioni misurate nei diversi capoluoghi di provincia. In Tabella 3 sono mostrate le concentrazioni medie e le relative deviazioni standard di PCDD/F e PCBDL calcolate per i capoluoghi di provincia del Veneto, espresse come media dei valori registrati durante le 5 campagne in ogni sito monitorato. Per quanto riguarda la somma dei congeneri di diossine i furani si può osservare che i livelli medi rilevati in tutti i punti di campionamento sono dell’ordine delle centinaia di femtogrammi per metro cubo (fg m-3). I valori medi più bassi si rilevano a Belluno (attorno ai 200 fg m-3) ed i massimi a Venezia (poco più di 600 fg m-3), mentre le altre province fanno registrare concentrazioni comprese tra i 350 e i 500 fg m-3. Le medie calcolate mostrano una deviazione standard piuttosto elevata, che rende conto della marcata variabilità tra le diverse campagne di misura. Tale dato è confermato dai range di variazione delle concentrazioni: in ciascuna stazione la differenza tra il livello minimo e il livello massimo registrato è piuttosto elevata. Come si potrà verificare nel successivo paragrafo tale variabilità è da imputare in massima parte alle fluttuazioni stagionali di questi inquinanti, piuttosto che a picchi misurati nelle singole campagne che possano aver influenzato significativamente la media. Per quanto riguarda la somma dei PCB-dioxin like si può osservare che i livelli di concentrazione me-

Tabella 3 – Concentrazioni medie di PCDD/F e PCB-DL (come somma dei singoli congeneri) calcolate per le 5 campagne in ogni capoluogo di provincia del Veneto Punti di campionamento Belluno

Padova

Rovigo

Treviso

Venezia

Verona

Vicenza

197 ± 137

479 ± 408

382 ± 324

404 ± 327

618 ± 602

432 ± 419

354 ± 249

34 – 361

53 – 753

62 – 436

54 – 605

63 – 1420

72 – 432

62 – 548

Concentrazione [fg m-3] Σ Diossine/furani

IdA

range

190

Σ PCB-Dioxin like

2230 ± 1280 5160 ± 2050 6580 ± 2100 4250 ± 1730 4440 ± 1650 2840 ± 1000 5040 ± 1330

range

1210 – 3790 2640 – 7700 4370 – 9790 2960 – 6550 2250 – 6610 1520 – 4120 4090 – 7040

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15

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Verona

Verona 1500

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10

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5

Vicenza 15

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10

500

5

Concentrazione [pg·m-3 ]

Padova 1500 1000 500

Rovigo

Padova 15 10 5

Rovigo

1500

15

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Venezia

Venezia 1500

15

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5

Treviso

Treviso 1500

15

1000

10

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5

CAMPAGNA 2 10-17 febbraio 2015

CAMPAGNA 3 23-30 giugno 2015

Campagna invernale

CAMPAGNA 4 15-29 settembre 2015

CAMPAGNA 5 19-26 gennaio 2016

Campagna Estiva

CAMPAGNA 1 2-9 febbraio 2015

CAMPAGNA 2 10-17 febbraio 2015

Campagna invernale

CAMPAGNA 3 23-30 giugno 2015

CAMPAGNA 4 15-29 settembre 2015

CAMPAGNA 5 19-26 gennaio 2016

Campagna Estiva

Figura 2 – Andamento delle concentrazioni di PCDD/F durante le campagne di monitoraggio

Figura 3 – Andamento delle concentrazioni di PCBDL durante le campagne di monitoraggio

di rilevati in tutti i punti di campionamento sono dell’ordine delle migliaia di fg m-3. I valori più bassi si rilevano a Belluno e Verona (rispettivamente 2230 e i 2840 fg m-3), mentre Rovigo fa registrare i valori medi più elevati (circa 6500 fg m-3). Il resto delle province si attesta tra i 4000 e i 5200 fg m-3. Così come per le diossine e i furani, il range di concentrazione di questi composti è piuttosto ampio ed è da attribuirsi in massima parte alla variazione stagionale dei livelli di questi inquinanti in atmosfera.

tare a mettere in relazione la variazione dei livelli di questi composti in atmosfera con sorgenti emissive tipicamente stagionali (ad esempio le combustioni legate al riscaldamento domestico). Gli studi di letteratura, sia a livello europeo che nazionale, evidenziano una variazione stagionale delle concentrazioni di PCDD/F e di PCB-DL in aria ambiente (Lohmann et al., 1998; Viviano et al., 2006; Gasser et al., 2008). I grafici in Figura 2 e 3, mostrano rispettivamente le concentrazioni totali di PCDD/F (come somma di PCDD e PCDF) e di PCB-DL, registrate nelle cinque campagne di campionamento, suddivise per capoluogo di provincia. Per quanto riguarda le diossine e i furani, i dati raccolti mostrano una evidente differenza di concentrazioni tra le campagne effettuate nel semestre invernale e quelle condotte nel semestre estivo. In particolare le concentrazioni di questi microinquinanti raggiungono i massimi durante i mesi freddi, con livelli tipici nell’ordine delle centinaia di fg m-3 e pic-

3.2.2. Variazioni stagionali delle concentrazioni

Lo studio della variazione stagionale delle concentrazioni di microinquinanti organici persistenti è importante perché può fornire, in via preliminare, degli indizi sul ruolo dei fattori meteorologici e della diversa capacità dispersiva dell’atmosfera nell’influenzare l’inquinamento legato a questi composti. In secondo luogo questo tipo di indagine, specialmente per le diossine e i furani, può aiudoi.org/10.32024/ida.v5i3.p03

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Concentrazione [fg·m-3 ]

Vicenza 1500

CAMPAGNA 1 2-9 febbraio 2015

Aria

Belluno

Belluno 1500

191


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Aria

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192

chi oltre i 1000 fg m-3, mentre in estate le concentrazioni scendono a valori minimi, nell’ordine di qualche decina di fg m-3. Se si osservano i dati relativi alle sole misure invernali si può osservare una certa differenza tra le diverse campagne. Ad eccezione di Venezia e Belluno, la concentrazione massima di diossine e furani viene registrata durante la 5° campagna di campionamento, caratterizzata da persistenti fenomeni di inversione termica e di stagnazione degli inquinanti al suolo in tutta la pianura veneta. Il sito di Venezia, per quanto mostri una concentrazione piuttosto elevata e comparabile con quella degli altri capoluoghi durante la 5° campagna, ha fatto registrare la concentrazione massima di diossine e furani durante la 2° campagna di campionamento. Per quanto riguarda invece Belluno, i dati delle campagne invernali risultano comparabili tra loro, senza nessun picco di rilievo. Tale dato è coerente con l’ipotesi che le condizioni orografiche e meteo climatiche possano avere un importante ruolo per le concentrazioni di diossine e furani: Belluno infatti, oltre ad avere una minore densità emissiva rispetto ad altre province, è collocato al di fuori del Bacino Padano, e sembra essere l’unico punto di campionamento a non risentire dei fenomeni di stagnazione nei mesi freddi, mostrando concentrazioni invernali di PCDD/F tendenzialmente più basse di tutti gli altri capoluoghi di provincia. Per quanto riguarda i PCB-DL, si riscontra una differenza di concentrazione tra i campioni invernali e quelli estivi. Contrariamente alle diossine e furani, i PCB tendono ad mostrare livelli massimi durante i mesi caldi, e concentrazioni minime nel semestre invernale. L’ordine di grandezza delle concentrazioni rilevate è di qualche pg m-3, mentre la concentrazione massima è stata registrata a Rovigo (circa 10 pg m-3). La tendenza di questi composti a mostrare variazioni di concentrazione nell’anno, per quanto contenute, non è di immediata comprensione, dato che non dovrebbe sussistere per essi una significativa componente emissiva primaria, essendo composti banditi dal mercato. Tuttavia la variazione stagionale dei PCB con picchi massimi in estate è documentata in letteratura. Le fonti attribuiscono l’aumento dei PCB in aria durante i mesi più caldi ad una maggiore volatilizzazione di questi composti dal suolo, dovuta essenzialmente all’aumento delle temperature (Castro-Jiménez et al., 2008; Gasser et al., 2008). Se si analizzano i dati racIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

colti, si può osservare che la maggiore concentrazione di PCB in aria si è avuta in tutti i siti durante la campagna di Giugno 2015 (3° Campagna), caratterizzata dalle temperature massime registrate tra tutti i periodi di monitoraggio, con valori fino a 32 °C. 3.2.3. Abbondanza dei singoli congeneri Lo studio dell’abbondanza dei singoli congeneri nei campioni è importante per caratterizzare i punti di misura rispetto a differenti sorgenti emissive. Nel caso dei punti di misura utilizzati per il presente studio, la scelta di una tipologia omogenea di punti di campionamento, tutti di fondo urbano, per quanto ubicati in diverse zone del territorio, farebbe ipotizzare un’abbondanza dei singoli congeneri piuttosto simile tra i diversi siti. L’analisi dei dati evidenzia che il congenere più abbondante risulta essere la OctaCloroDibenzoDiossina (OCDD). Infatti tale analita, salvo un campione di Vicenza, mostra abbondanze relative comprese tra il 25 e il 45% in tutti i capoluoghi di pianura. Per quanto riguarda l’area alpina si segnala invece a Belluno un contributo tendenzialmente più alto rispetto alla pianura della OCDD dove l’abbondanza relativa di questo congenere rimane in tutte le campagne tra il 40 e il 50%, a scapito dei furani, specialmente i più clorurati, che sono meno presenti rispetto agli altri siti. Il dato di Belluno è sostanzialmente in accordo con quanto riportato in letteratura (Lohmann et al., 1998), dove si segnala un tendenziale aumento della OCDD quando si passa dagli agglomerati urbani principali ad aree a meno intensamente antropizzate e con minore densità emissiva. Dopo la OCDD, i due congeneri più abbondanti sono 1,2,3,4,6,7,8-HpCDD e 1,2,3,4,6,7,8-HpCDF. L’ordine di abbondanza: OCDD > 1,2,3,4,6,7,8-HpCDD > 1,2,3,4,6,7,8-HpCDF

viene mantenuto in tutti i campioni dello studio, con isolate eccezioni (Venezia – seconda campagna, Padova e Vicenza – quinta campagna). L’abbondanza di congeneri di PCDD/F ad elevato grado di clorurazione nei campioni di aria ambiente era stato verificato a livello locale con lo studio condotto nel 2009 da ARPAV in Provincia di Venezia (ARPAV, 2009), che aveva riscontrato questi stessi tre congeneri come i più abbondanti. Nello stesso documento era stata messa in evidenza l’abbondanza relativa piuttosto elevata del OctaCloroDibenzoFurano (OCDF), che in molti campioni era


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45 40

Abbondanza relaƟva percentuale

35 30 25 20 15 10 5 0

risultato il congenere più presente dopo i tre riportati sopra. Dai dati della campagna regionale, l’OCDF è risultato il quarto composto più abbondante nel 65% dei casi, confermando sostanzialmente i dati dello studio di Venezia. Il grafico in Figura 4 mostra il profilo delle abbondanze relative medie dei congeneri di PCDD/F calcolate dalle campagne del presente studio ed evidenzia quanto riportato finora. Se si compara questo profilo con quelli presenti in altri studi di letteratura condotti nel Nord Italia (Caserini et al., 2004; Piazzalunga et al., 2013; Ragazzi et al., 2014) si possono osservare profili sovrapponibili a quelli riscontrati nel presente studio per i siti di fondo urbano. In assenza di ulteriori approfondimenti in siti specifici, la prevalenza in tutti i siti di diossine ad alto grado di clorurazione, e la relativa scarsità di furani a basso grado di clorurazione, potrebbe essere collegata prevalentemente a processi di combustione diffusi (Lohmann et al., 1998), in particolare alla combustione di biomassa legnosa per il riscaldamento domestico, piuttosto che a sorgenti industriali puntuali. Per quanto riguarda i PCB-DL, dai dati raccolti sulle abbondanze relative si può evincere innanzitutto che l’impronta dei PCB-DL non varia in maniera sensibile tra estate e inverno, essendo caratterizzata da percentuali piuttosto simili dei congeneri tra le diverse campagne di campionamento. Ricordandoi.org/10.32024/ida.v5i3.p03

do quanto è stato detto nel paragrafo della stagionalità, si può quindi affermare che nelle stazioni indagate i PCB-DL presentano una variazione tra estate e inverno di concentrazione, con massimi nella stagione calda, senza però far registrare una significativa modifica delle abbondanze relative di ciascun congenere. Infine i profili non variano in maniera significativa da stazione a stazione. Il grafico in Figura 5 (a pagina seguente) traccia un profilo medio dell’abbondanza dei PCB-DL, calcolato dalla totalità dei campioni esaminati nel presente studio. I due composti dominanti sono il PCB 118, con abbondanze variabili tra il 55 e il 65 %, ed il PCB 105, con contributi relativi dal 18 al 25%. Si può quindi osservare che questi due composti, da soli, costituiscono sempre oltre il 60% dei PCB-DL totali, mentre gli altri 10 congeneri hanno un peso sempre inferiore al 10%. Tra di essi si segnalano il PCB 77 e il PCB 156, con un peso medio del 3-10%. Il profilo medio di abbondanza dei congeneri di PCB-DL è confrontabile sia con gli studi condotti nelle province venete di Treviso (ARPAV, 2014) e di Venezia (ARPAV, 2009), sia con altri studi di letteratura (Cleverly et al., 2004; EPA, 2013), confermando la natura ubiquitaria e piuttosto standardizzata della diffusione di questi composti legati a produzioni industriali del passato, piuttosto che ad emissioni locali dei giorni nostri. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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Figura 4 – Abbondanza relativa di PCDD/F: valori medi e deviazioni standard calcolati su tutti i campioni dello studio

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Abbondanza rela va percentuale

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20

10

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Figura 5 – Abbondanza relativa di PCB-DL: valori medi e deviazioni standard calcolati su tutti i campioni dello studio

3.3. Dati di tossicità di PCDD/F e PCB-DL La Tabella 4 elenca i valori di tossicità equivalente calcolati per ogni campione, secondo i due schemi ponderali sopra menzionati. Poiché nel presente studio sono stati determinati anche i PCB-DL, per l’analisi dei dati di tossicità e nei grafici ci si

riferirà sempre allo schema ponderale WHO-TEQ 2005. Da una prima analisi dei dati si può osservare che in tutti i siti monitorati la tossicità equivalente oscilla tra le unità e le decine di femtogrammi WHO-TEQ per metro cubo (fg WHO-TEQ m-3). In analogia con quanto già visto per i dati di concentrazione di PCDD/F e PCB-DL, anche i dati di

Tabella 4 – Concentrazioni di PCDD/Fs in atmosfera calcolate in termini di tossicità equivalente secondo il sistema ponderale WHO-TEQ 2005 e I-TEQ Campagna

TEQ WHO2005 (fg m-3)

TEQ I-TEF (fg m-3)

Belluno

1

12

12

Belluno

2

15

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Sito

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Campagna

TEQ WHO2005 (fg m-3)

TEQ I-TEF (fg m-3)

Treviso

4

6

5

15

Treviso

5

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57

Sito

Belluno

3

4

2

Venezia

1

24

26

Belluno

4

4

2

Venezia

2

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Belluno

5

15

15

Venezia

3

7

5

Padova

1

25

27

Venezia

4

8

7

Padova

2

47

49

Venezia

5

95

95

Padova

3

6

3

Verona

1

20

21

Padova

4

9

7

Verona

2

29

30

Padova

5

74

74

Verona

3

5

3

Rovigo

1

29

29

Verona

4

10

9

Rovigo

2

30

31

Verona

5

60

61

Rovigo

3

8

4

Vicenza

1

26

29

Rovigo

4

9

7

Vicenza

2

27

28

Rovigo

5

71

73

Vicenza

3

7

5

Treviso

1

27

28

Vicenza

4

9

7

Treviso

2

39

40

Vicenza

5

46

46

Treviso

3

6

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Belluno 100 80 60 40 20 0 Verona 100 80 60 40 20 0 Vicenza 100 80 60 40 20 0 Padova 100 80 60 40 20 0 Rovigo 100 80 60 40 20 0 Venezia 100 80 60 40 20 0 Treviso 100 80 60 40 20 0 CAMPAGNA 1 2-9 febbraio 2015

Diossine

CAMPAGNA 2 10-17 febbraio 2015

Furani

CAMPAGNA 3 23-30 giugno 2015

CAMPAGNA 4 15-29 settembre 2015

CAMPAGNA 5 19-26 gennaio 2016

PCB-DL

Figura 6 – Ripartizione della tossicità equivalente totale tra PCB-DL, diossine e furani durante le campagne di monitoraggio

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zioni di diossine, in cui si evidenzia una sostanziale sovrapponibilità tra i dati delle stazioni di pianura, che presentano livelli di diossine e tossicità equivalenti confrontabili. In questo contesto di scarsa differenziazione tra i siti planiziali, si rafforza l’ipotesi di un significativo “effetto pianura”, cioè di un importante ruolo delle condizioni meteorologiche a livello di area vasta nell’influenzare i livelli degli inquinanti. Nel grafico in Figura 6 si analizza il contributo di diossine, furani e PCB-DL alla tossicità equivalente totale di ogni campione. Si può osservare che nei mesi estivi, quando le diossine e i furani raggiungono i livelli minimi in aria, il contributo alla esigua tossicità totale è sostanzialmente ripartito equamente tra le tre classi di sostanze. Viceversa nelle campagne invernali il contributo predominante alla tossicità è quello dei furani, in particolare del 2,3,4,7,8-PeCDF, che mediamente contribuisce da solo al 20-30% della tos-

Tossicità equivalente [fg·m-3 WHO-TEQ]

tossicità mostrano delle significative variazioni stagionali. Dai dati in Tabella 4 si osserva una evidente minore tossicità dei campioni estivi (campagne 3 e 4) rispetto a quelli invernali (Campagne 1, 2 e 5). In particolare, eccezion fatta per Belluno, i dati di tossicità relativi ai mesi freddi sono dalle 5 alle 10 volte più elevati rispetto a quelli dei mesi caldi. Inoltre nei mesi estivi la differenza tra i diversi punti di campionamento si riduce al minimo, mostrando valori di tossicità estremamente confrontabili. A Belluno la tossicità equivalente dei campioni presenta un ridotto range di variabilità e si attesta sempre sotto i 20 fg WHO-TEQ m-3, mostrando valori tendenzialmente più bassi rispetto agli altri capoluoghi di provincia, specialmente in inverno. Al contrario nei centri urbani di pianura si può osservare una certa differenza tra le campagne invernali. In particolare si può osservare che durante la prima campagna, caratterizzata da una diffusa instabilità meteorologica, la tossicità equivalente si attesta su valori più bassi rispetto alla seconda campagna, contraddistinta da assenza di precipitazioni e tempo stabile. Inoltre in tutti i capoluoghi di pianura, la tossicità equivalente massima dei campioni viene registrata durante l’ultima campagna, caratterizzata da una marcata stabilità atmosferica, con prolungati fenomeni di inversione termica e ristagno al suolo degli inquinanti. Tale risultato mette ulteriormente in evidenza, coerentemente con i dati di concentrazione, che la tossicità legata a PCDD/F e PCB-DL è influenzata in maniera significativa, non solo dalle sorgenti emissive, ma anche dalle condizioni meteorologiche, in analogia con altri inquinanti convenzionali, come evidenziato dai dati di letteratura (Lohmann et al., 1998; Castro-Jiménez et al., 2008; Piazzalunga et al. 2013). I livelli e le variazioni della tossicità nelle cinque campagne non sembrano presentare una evidente diversità tra i diversi punti di monitoraggio, ad esclusione di Belluno, di cui si è già discusso. I risultati hanno evidenziato una differenza statisticamente significativa tra la serie dei dati di tossicità di Belluno e quella di tutti gli altri capoluoghi di provincia (p-value sempre molto minori di 0.05). Al contrario lo stesso test applicato tra tutte le possibili combinazioni di siti di monitoraggio della pianura non ha rilevato differenze significative in nessuna coppia di stazioni (p-value sempre maggiori di 0.05). Tale dato conferma ulteriormente le considerazioni di tipo qualitativo fatte anche per le concentra-

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Tabella 5 – Concentrazioni di PCDD/Fs calcolate in termini di tossicità equivalente secondo il sistema ponderale WHO-TEQ 2005 e I-TEQ. Media e range di variazione nei capoluoghi di provincia del Veneto

Tossicità equivalente [fg m-3] WHO-TEQ 2005 range I-TEQ range

Belluno

Padova

Punti di campionamento Rovigo Treviso Venezia

10 ± 6 4-15 9±7 2-15

32 ± 29 6-74 32 ± 30 3-74

29 ± 26 8-71 29 ± 28 4-73

27 ± 22 6-56 26 ± 23 3-57

41 ± 40 7-95 41 ± 40 5-95

Verona

Vicenza

25 ± 22 5-60 25 ± 23 3-61

23 ± 16 7-46 23 ± 17 5-46

Tabella 6 – Livelli di tossicità equivalente da letteratura per PCDD/PCDF/PCB-DL riferiti a siti urbani in Europa Sistema TEQ

TEQ [fg m-3]

Riferimento

Semestre invernale

I-TEQ

61

Piazzalunga et al., 2013

Semestre invernale

I-TEQ

81

Piazzalunga et al., 2013

Roma

Urbano Semestre invernale

I-TEQ

48-87

Turrio-Baldassarri et al., 1994

Italia

Roma

Fondo Urbano

Annuale

I-TEQ

11-38

Turrio-Baldassarri et al., 2001

Italia

Roma

Fondo Urbano

Annuale

WHO-TEQ 2005

65

Menichini et al., 2007

Luxemburg City

Urbano

Annuale

I-TEQ

54-77

EU Commission, 1999

London

Urbano

Annuale

I-TEQ

1-108

Gioia et al., 2010

Netherlands Wijnandsrade Urbano

Annuale

I-TEQ

4-99

EU Commission, 1999

Annuale

I-TEQ

80

Abad et al., 2004

Località

Italia

Torino

Fondo urbano

Italia

Susa

Fondo urbano

Italia

Luxemburg United Kingdom

IdA

Spain

196

Periodo di Tipo sito campionamento

Paese

Catalonia Region

Fondo Urbano

sicità totale. Tra le diossine il congenere che pesa di più sulla tossicità è la 1,2,3,7,8-PeCDD, con contributi medi attorno al 15-20%. I PCB-DL contribuiscono in maniera marginale alla tossicità dei campioni nei mesi invernali. Il profilo dei contributi di PCDD, PCDF e PCB-DL alla tossicità totale riscontrato per il presente studio, conferma quanto registrato in provincia di Venezia nel 2009 (ARPAV, 2009) e riportato in letteratura (Lohmann et al., 1998). I dati riassuntivi sulla tossicità equivalente registrati nei sette capoluoghi di provincia sono riportati in Tabella 5. In Tabella 6 viene riportata una breve rassegna di alcuni dati di letteratura riferiti a valori di tossicità equivalente registrati in aree urbane di diversi paesi d’Europa. Si osserva che i livelli di tossicità equivalente registrati in ambito urbano in diversi paesi europei sono comparabili con quelli riportati nel presente studio. Il range di tossicità calcolato per tutti i camIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

pioni in Veneto (4-95 fg WHO-TEQ m-3), risulta visibilmente inferiore alla soglia dei 150 fg WHOTEQ m-3, adottato in Germania come limite cautelativo per la tossicità di diossine, furani e PCB-DL (LAI, 2004), e molto lontano dai 300 fg WHOTEQ m-3 indicati dal WHO come segnale di presenza di sorgenti locali emissive da identificare e su cui indagare (WHO, 2000).

4. CONCLUSIONI Il presente studio ha voluto fornire un quadro conoscitivo dei livelli in aria ambiente di alcuni microinquinanti organici persistenti: diossine (PCDD), furani (PCDF) e policlorobifenili dioxin like (PCB-DL), monitorati nelle sette stazioni di fondo urbano di riferimento dei capoluoghi di provincia del Veneto. La campagna, condotta in contemporanea nei diversi siti, ha previsto cinque campionamenti per ciascun sito, due nei mesi estivi e tre nei mesi invernali, tutti effettuati con campionatori ad alto volu-


doi.org/10.32024/ida.v5i3.p03

Il profilo medio di abbondanza relativa dei PCBDL, dominato dai congeneri 118 e 105, è estremamente simile tra i punti di campionamento e confrontabile con i profili riportati in letteratura per il nord Italia. L’analisi della tossicità equivalente dei campioni, in analogia con quanto visto per le concentrazioni, fa registrare una significativa variazione stagionale dei dati. I valori caratteristici di tossicità sono di alcuni fg WHO-TEQ m-3 durante l’estate e di alcune decine di fg WHO-TEQ m-3 in inverno. Si segnala inoltre una sostanziale confrontabilità tra i valori di tossicità rilevati nelle stazioni di pianura, mentre risulta significativamente diversa la stazione di Belluno, con livelli di tossicità visibilmente più bassi rispetto agli altri punti di prelievo, probabilmente dovuti anche alla minore densità emissiva della zona. Il comune di Belluno è caratterizzato anche da condizioni meteo climatiche diverse rispetto al resto della pianura padana essendo situato a 390 m slm e beneficiando di una diversa circolazione delle masse d’aria, generalmente migliore rispetto alla pianura, oltre che da una densità emissiva inferiore rispetto agli altri capoluoghi. Analogamente a quanto riportato per i dati di concentrazione, la tossicità dei campioni invernali risulta tendenzialmente più alta in condizioni di stabilità atmosferica, confermando il ruolo significativo della forzante meteorologica nell’accumulo di diossine al suolo. Per tutti i siti il contributo maggiore alla tossicità dei campioni viene dai furani, in particolare dal 2,3,4,7,8-PeCDF, che mediamente contribuisce da solo al 20-30% della tossicità totale, mentre risulta tendenzialmente trascurabile il contributo dei PCB-DL. Infine si evidenzia che i dati di tossicità calcolati nel presente studio sono confrontabili con quelli registrati in ambito urbano in altre città d’Italia e d’Europa, e inferiori sia al valore cautelativo in aria utilizzato in Germania (150 fg WHO-TEQ m-3), sia alla concentrazione di 300 fg WHO-TEQ m-3 indicati dal WHO come segnale di presenza di sorgenti locali emissive.

5. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Abad E., Caixach J., Rivera J., Gustems L., Massagué G., Puig O. (2004) Temporal trends of PCDDs/PCDFs in ambient air in Catalonia (Spain), Sci Total Environ 334-335, 279285. ARPAV (2009) Microinquinanti organici in Provincia di Venezia: livelli in aria ambiente ed emissioni in atmosfera,

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

me per la raccolta di microinquinanti sia in fase particellare che in fase gassosa. I dati di concentrazione rilevati durante le diverse campagne di misura hanno evidenziato significative variazioni stagionali degli inquinanti in esame. In particolare per le diossine e i furani sono stati registrati livelli massimi durante i mesi invernali e minimi durante i mesi estivi, con differenze di concentrazione molto accentuate tra le due stagioni. Al contrario per i policlorobifenili diossina simili (PCBDL), sono stati riscontrati livelli più alti durante la stagione estiva rispetto a quella invernale. È stata inoltre osservata una variabilità di concentrazione tra le diverse campagne condotte nei mesi invernali. In particolare si sono riscontrati livelli mediamente più bassi di diossine e furani in tutte le stazioni di misura, in corrispondenza di settimane caratterizzate da marcata instabilità atmosferica e diffuse precipitazioni. Al contrario, i livelli massimi di concentrazione sono stati registrati durante l’ultima settimana di campionamento, caratterizzata da condizioni meteorologiche sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti, con frequenti episodi di inversione termica e marcata stabilità atmosferica. Si osserva inoltre che le variazioni di concentrazione tra le campagne invernali sono state più marcate nei sei capoluoghi di pianura del Veneto, e molto meno accentuate a Belluno, che fa registrare mediamente le concentrazioni più basse di PCDD/F e PCB-DL. Questo risultato si deve probabilmente collegare all’effetto significativo delle condizioni meteorologiche nell’area di pianura, dove le frequenti inversioni termiche e la scarsità di precipitazioni e vento, favoriscono l’accumulo di diossine al suolo, analogamente a quanto accade per altri inquinanti convenzionali. Per quanto riguarda l’abbondanza relativa dei diversi congeneri, per i PCDD/F si evidenzia in tutti i campioni una prevalenza delle diossine ad alto grado di clorurazione, con la dominanza della OctaClorodibenzodiossina, seguita dalla 1,2,3,4, 6,7,8-HpCDD, che contribuiscono da sole al 3050% della concentrazione totale. Da segnalare anche il peso significativo dei furani ad alto grado di clorurazione (sette e otto clori), rispetto a quelli basso clorurati. Il profilo medio di diossine e furani rilevato nei punti di campionamento è compatibile con la caratterizzazione delle stazioni di fondo segnalate in letteratura ed è associabile generalmente a processi di combustione diffusa, in particolare alla combustione di biomassa legnosa per il riscaldamento domestico, piuttosto che a sorgenti industriali puntuali di tipo industriale, caratterizzate da abbondanze più elevate di furani.

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disponibile su: http://www.arpa.veneto.it/arpav/chi-earpav/file-e-allegati/dap-venezia. ARPAV (2014) Diossine, furani e PCB diossina-simili in Provincia di Treviso, disponibile su: http://www.arpa.veneto.it/arpav/chi-e-arpav/file-e-allegati/dap-treviso/aria. Caserini S., Cernuschi S., Giugliano M., Grosso M., Lonati G., Mattaini P. (2004) Air and soil dioxin levels at three sites in Italy in proximity to MSW incineration plants, Chemosphere, 54 1279-1287. Castro-Jiménez J., Eisenreich S.J., Mariani G., Skejo H., Umlauf G. (2008) Polychlorinated biphenyls (PCBs) at the JRC Ispra Site: Air Concentrations, Congener Patterns and Seasonal variation, JRC ISPRA, Report EUR 23258 EN. Cleverly D., Winters D., Ferrario J., Riggs K., Hartford P., Joseph D., Wisbith T., Dupuy A., Byrne C. (2004) Atmospheric measurements of CDDs, CDFs and coplanar PCBs in rural and remote locations of the united states in the year 2001 from the national dioxin air monitoring network (NDAMN), Organohalogen Compounds, volume 66. EPA – Environmental Protection Agency (2013) Report of the Results of Atmospheric Measurements of Polychlorinated Dibenzo-p-Dioxins (PCDDs), Polychlorinated Dibenzofurans (PCDFs), and Dioxin-Like Polychlorinated Biphenyls (PCBs) in Rural and Remote Areas of the United States from June 1998 through November 2004, EPA/600/R-13/183F. EPA, United States Environmental Protection Agency (1994) Method 1613: Tetra-Through Octa-Chlorinated Dioxins and Furans by Isotope Dilution HRGC/HRMS, disponibile su: https://nepis.epa.gov/. EPA, United States Environmental Protection Agency (1996) Method TO-9A: Determination of Polychlorinated, Polybrominated and Brominated/Chlorinated Dibenzo-p-Dioxins and Dibenzofurans in ambient air, in: Compendium of Methods for the Determination of Toxic Organic Compounds in Ambient Air, Second Edition, disponibile su: https://nepis.epa.gov/. EU Commission DG Environment (1999), Compilation of EU Dioxin Exposure and Health Data – Task 2: Environmental Levels, disponibile su: http://ec.europa.eu/environment/archives/dioxin/pdf/task2.pdf. Gasser M, Martí R, Montaña MJ, Díaz-Ferrero J (2008) Dioxins, furans and dioxin-like pcbs in ambient air from Camp de Tarragona (Catalonia, Spain). Seasonal variation, Organohalogen Compounds, 70, 594-597. Gioia R., Sweetman A., and Jones K. (2010) Annual Report for 2009 on the UK Toxic Organic Micro-pollutants (TOMPs) Air Monitoring and Analysis Network, Lancaster Environment Centre, disponibile su: https://uk-air.defra.gov.uk/assets/documents/reports/cat13/1006220914_TOMPs_report_2009.pdf.

IdA

LAI (2004) – Länderausschusses für Immissionsschutz – Bericht des Länderausschusses für Immissionsschutz Bewertung von Schadstoffen, für die keine Immissionswerte festgelegt sind Orientierungswerte für die Sonder fallprüfung und für die Anlagenüber- wachung sowie Zielwerte für die langfristige Luf treinhalteplanung unter besonderer Berücksichtigung der Beurteilung krebserzeugender Luft schadstoffe. Länderausschuss für Immissionsschutz.. Disponibile su: http://www.lanuv.nrw.de/fileadmin/lanuv/gesundheit/pdf/LAI2 004.pdf.

198

Lohmann R., Jones K.C. (1998) Dioxins and furans in air and deposition: A review of levels, behaviour and processes, The Science of the Total Environment, 219, 53-81.

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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RINGRAZIAMENTI Gli autori ringraziano i gestori provinciali della rete aria di ARPA Veneto per il supporto nelle operazioni di campionamento, in particolare Massimo Simionato, Riccardo Tormen, Antonio Uguaglianza, Daniele Suman, Claudia Iuzzolino, Federico Steffan, Gabriele Pick, Ermes Zanella, Giuliana Romanin, Andrea Salomoni, Antonio Carollo, Enzo Tarabotti, Luca Coraluppi. Un particolare riconoscimento va inoltre a Luciana Menegus, Alessandro Ragazzo, Valentina Pengo e Gabriele Vedovato, del Dipartimento Regionale Laboratori di ARPAV, Servizio Laboratorio di Venezia, Unità Operativa Microinquinanti e Diossine, per il contributo nelle determinazioni analitiche dei composti organici.


ANALISI SPERIMENTALE DI UN IMPIANTO DI SELEZIONE AVANZATA DEI RIFIUTI PLASTICI DA RACCOLTA DIFFERENZIATA

Rifiuti

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Caterina Conte1, Pietro Navarotto2, Mario Grosso1 Politecnico di Milano, Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Milano 2 STADLER® Italia S.r.l.

Sommario – La gestione dei rifiuti solidi urbani rappresenta un argomento importante nelle politiche dei paesi sviluppati da quando la ripresa economica del dopoguerra ne ha favorito l’aumento delle quantità prodotte. Ciò ha avuto come conseguenza la crescita dei rifiuti da imballaggio e la maturazione di nuovi sistemi che puntano alla gestione sostenibile delle risorse. Il riciclaggio, infatti, è ormai diventato una pratica fondamentale nel processo di gestione dei rifiuti, in quanto risolve problemi economici ed ambientali legati alla discarica e all’utilizzo di nuova materia prima. In particolare il riciclo degli imballaggi in plastica, materiali estremamente eterogenei in quanto a composizione polimerica, si basa su una complessa catena di attività che comprende generalmente tre fasi principali: la raccolta differenziata, la selezione dei diversi polimeri plastici, e infine il riciclo meccanico dei diversi prodotti. Questo lavoro si focalizza soprattutto sulla fase di selezione, in cui i rifiuti plastici vengono suddivisi nei diversi polimeri grazie all’utilizzo di tecnologie in continua evoluzione. Nel contesto italiano è presente il Consorzio Corepla che si occupa della gestione dei rifiuti da imballaggio in plastica ed ha il fine di promuovere la raccolta differenziata, lo smistamento, il recupero e il riciclaggio. Uno studio approfondito del processo di selezione della plastica è stato possibile attraverso l’analisi del nuovo Centro di Selezione Secondario per gli imballaggi in plastica del circuito Corepla situato a Bedonia (PR). L’impianto ha lo scopo di suddividere la plastica mista in arrivo dalla raccolta differenziata in diverse tipologie di polimeri e colori. L’impianto analizzato presenta degli elementi innovativi per quanto riguarda macchinari e layout, rendendolo unico nel suo genere in Italia; la caratteristica principale è rappresentata dalla linea di separatori ottici (NIR) per il flusso bidimensionale: si tratta del primo impianto in Italia ad essere munito della tecnologia automatica di separazione con due NIR in serie anche per il prodotto bidimensionale. Lo studio descrive ed analizza l’impianto e la relativa efficienza di selezione delle plastiche attraverso il calcolo di due Indici (Indice di Purezza I.P. e Indice di Recupero I.R.) le cui espressioni empiriche sono state definite nell’ambito del collaudo. Per il calcolo dei suddetti indici è stato necessario svolgere l’analisi merceologica, facendo la cernita manuale di ogni campione nelle diverse frazioni individuate e pesando i rifiuti appartenenti alle differenti classi. Ciò ha permesso di constatare che del materiale totale in ingresso all’impianto, circa il 44,1% è rappresentato da PRODOTTI * Per contatti: Piazza Leonardo da Vinci 32, 20133 Milano. Tel. 02.23996415; mario.grosso@polimi.it.

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bidimensionali e tridimensionali pronti per essere inviati al recupero e circa il 32,5% è rappresentato da materiale non destinato al processo di recupero e riciclaggio. Parole Chiave: polimeri plastici, NIR (Near Infrared Spectroscopy), selezione, rifiuti da imballaggi.

EXPERIMENTAL ANALYSIS OF AN ADVANCED SORTING PLANT FOR PLASTIC PACKAGING WASTE Abstract – The management of municipal solid waste is an important issue in the policies of developed countries since the post-war economic progress has favored its increase in quantity. This has encouraged the diffusion of packaging waste and the development of new systems aimed to the sustainable resource management. In fact, recycling has now become a fundamental practice in the waste management process, as it solves economic and environmental problems related to landfill, reducing the need for new raw materials. The recycling of plastic packaging is based on a complex chain of activities that generally includes three main phases: the separate collection, the selection of various plastic polymers, and finally, the mechanical recycling of different products. This work is mainly focused on the selection phase, in which plastic waste is divided into the different polymers through the use of evolving technologies. In the Italian context, the responsibility for the management of plastic packaging waste is transferred to the Corepla Consortium, an organization with the aim of promoting the separate collection, sorting and recycling. A detailed study was possible through the testing of the new Secondary Selection Center Corepla for plastic packaging located in Bedonia (PR). The purpose of the plant is to divide the mixed plastic coming from the separate collection into different types of polymers and colors. The plant analyzed features innovative elements with regard to machinery and layout, making it unique in its kind in Italy. The main feature is represented by the use of optical separators (NIR) on the bi-dimensional stream: it is the first plant in Italy to be equipped with the automatic separation technology with two NIRs in series for the two-dimensional products. The study describes and analyzes the plant and the relative efficiency of plastics selection through the calculation of two Indices (Purity Index I.P. and I.R. Recovery Index) whose empirical expressions have been defined during the test. For the calculation of the aforementioned indices it was necessary to carry out the product analysis, making the manual sorting of each sample in the different fractions identified and weighing the waste belonging to the different classes. This showed that Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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the total material entering the plant, about 44.1% is represented by two-dimensional and three-dimensional products ready for recovery and about 32.5% is represented by material not destined to recovery and recycling. Keywords: plastic polymers, NIR (Near Infrared Spectroscopy), separate collection, packaging waste.

Ricevuto il 16-5-2018; Correzioni richieste il 18-9-2018; Accettazione finale il 4-10-2018.

1. INTRODUZIONE

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1.1. Inquadramento della tematica

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I rifiuti solidi urbani rappresentano un argomento importante nelle politiche dei paesi sviluppati da quando la ripresa e la prosperità economica del dopoguerra ne hanno favorito l’aumento delle quantità. Ciò ha incoraggiato la diffusione di oggetti multi-materiale e l’incremento dei rifiuti da imballaggio, portando alla maturazione di nuovi sistemi che puntano alla gestione sostenibile delle risorse. Il riciclaggio, infatti, è ormai diventato una pratica fondamentale nel processo di gestione dei rifiuti, in quanto consente di risolvere i problemi economici ed ambientali legati alla discarica e promuove il recupero di materiali evitando l’utilizzo di nuova materia prima. Di conseguenza c’è una crescente domanda di impianti automatizzati che permettano la suddivisione e la classificazione di rifiuti differenziati nelle diverse frazioni che lo compongono. Nel contesto italiano, la responsabilità della gestione dei rifiuti da imballaggio è trasferita al Consorzio Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi), un’organizzazione privata senza scopo di lucro fondata nel 1997 con il fine di promuovere la raccolta differenziata, lo smistamento, il recupero e il riciclaggio dei rifiuti di imballaggio in Italia. Per quanto riguarda i rifiuti di imballaggio in plastica, il Consorzio Corepla si pone l’obiettivo di assicurare la copertura dei maggiori oneri sostenuti dagli Enti Locali per l’effettuazione della raccolta differenziata e di svolgere un ruolo sussidiario al mercato per quanto concerne il ritiro dei rifiuti di imballaggi in plastica provenienti dalle attività industriali, commerciali ed artigianali, non conferiti al servizio pubblico di raccolta. Corepla collabora con le Amministrazioni locali, sulla base dell’Accordo quadro ANCI-Conai, che determina, con appositi allegati tecnici, le specifiche condizioni di conferimento e i corrispettivi unitari in base al livello qualitativo delle raccolte. Il Consorzio, inoltre, si fa carico delle operazioni di selezione, attraverso una rete di Centri di Selezione Secondari (CSS) distriIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

buiti sul territorio nazionale. Questi ultimi sono aziende che effettuano la selezione dei flussi di imballaggio in ingresso sulla base di requisiti impiantistici e criteri prestabiliti e, a seguito di contratti-tipo, possono operare anche per il Consorzio, ricevendo un corrispettivo per ogni tonnellata di materiale processato. Al fine di promuovere il buon funzionamento, il corrispettivo è nettamente maggiore per i materiali avviabili a riciclo rispetto a quelli destinati a recupero energetico. Negli ultimi anni il forte incremento della raccolta differenziata della plastica, i cui quantitativi sono quasi raddoppiati dal 2010 al 2015, raggiungendo 1.178.000 tonnellate nell’anno 2015 (Ispra, Rapporto Rifiuti 2016), ha portato ancor di più alla ribalta il tema della qualità delle raccolte e dell’importante ruolo della selezione di questo flusso di materiali, destinato a diventare sempre più eterogeneo. 1.2. Tecnologie di smistamento e selezione in letteratura Negli ultimi anni si è osservata una forte crescita nell’uso di materie plastiche in quasi ogni aspetto della vita moderna. Il recupero dei polimeri plastici come alternativa alla discarica e al loro incenerimento è una soluzione a questo problema. La loro identificazione e classificazione sono le prime fasi del riciclo dei rifiuti di plastica; quindi, sono necessarie attrezzature idonee per la rapida rilevazione dei diversi polimeri. I ricercatori di tutto il mondo stanno esplorando attivamente le tecniche di selezione automatica dei rifiuti solidi urbani portando ad una grande varietà di tecnologie nella fase di smistamento automatizzato. Le tecniche di selezione automatizzate possono essere classificate in due tipi: smistamento diretto e indiretto. Le tecniche di smistamento diretto utilizzano le proprietà intrinseche del materiale, come la suscettibilità magnetica, la conducibilità elettrica e la densità, per operare la separazione di materiali, applicando rispettivamente forze esterne come campi magnetici, correnti parassite e gravità. Lo smistamento indiretto, invece, utilizza sensori per rilevare la presenza e la posizione dei materiali riciclabili nei rifiuti in modo che le macchine automatizzate possano essere impiegate per ordinare e separare i materiali riciclabili identificati (Gundupalli et al., 2017). Di maggiore importanza sono i metodi di selezione indiretti in cui sono utilizzati dei sensori per la rilevazione di materiali riciclabili presenti nei ri-


1.3. I Separatori Ottici (NIR) I separatori ottici o NIR (Near Infrared Spectroscopy) sono il cuore del trattamento di ogni impianto di selezione delle plastiche e sono i soggetti principali di questo studio. Sono costituiti da un sensore Infra-rosso che scansiona l’intera larghezza del nastro trasportatore e invia gli spettri dei differenti materiali analizzati ad un processore; i segnali vengono quindi confrontati con un database ed i risultati sono riportati in un tempo molto breve (frazioni di secondo). Se il materiale in esame viene riconosciuto come materiale da separare, il processore invia un segnale ad un compressore d’aria che sparerà un flusso di aria compressa sull’oggetto e che sarà quindi separato dal resto del flusso. doi.org/10.32024/ida.v5i3.p04

Nell’impianto analizzato in questo studio ci sono in totale otto separatori ottici con una velocità del nastro di circa 3 m/s: • due sono destinati alla selezione del materiale bidimensionale (FIL/S in PE e PP); • sei sono destinati alla selezione del flusso tridimensionale in base al polimero e in base al colore di cui sono costituiti gli oggetti (PET incolore, azzurrato e colorato, HDPE, PP). 1.4. Scopo del lavoro Il presente lavoro descrive l’analisi delle prestazioni di un Centro di Selezione Secondario del circuito Corepla, situato a Bedonia (PR) per studiare la tematica della gestione dei rifiuti da imballaggio in plastica nel sistema italiano e le tecnologie utilizzate nella loro separazione. L’analisi dell’impianto è stato possibile grazie alla stretta collaborazione con l’impresa costruttrice, la Stadler Italia. L’impianto analizzato ha lo scopo di suddividere la plastica mista in arrivo dalla raccolta differenziata della Comunità Montana delle Valli del Taro e del Ceno in diverse tipologie di polimeri e colori attraverso una filiera di macchinari. Lo studio si concentra sulla verifica delle efficienze di selezione della catena di macchinari presenti nel Centro di Selezione, grazie al confronto della composizione dei flussi in ingresso e in uscita. Il CSS in oggetto presenta degli elementi innovativi per quanto riguarda macchinari e layout. La caratteristica principale è rappresentata dalla linea di separatori ottici per il flusso bidimensionale: si tratta del primo impianto in Italia ad essere munito della tecnologia automatica di separazione con due NIR in serie anche per il prodotto bidimensionale FIL/S (dimensione minore del formato A3); dal 2017, infatti, Corepla impone come obbligatoria la separazione automatica del materiale 2D. Durante lo svolgimento del lavoro, sono stati raccolti i dati utilizzati nell’analisi dell’impianto attraverso il calcolo dell’efficienza di selezione. Per far ciò, sono stati utilizzati due indici: l’Indice di Purezza I.P. e l’Indice di Recupero I.R., le cui formule empiriche sono state delineate durante la fase di collaudo. In seguito, attraverso lo studio del bilancio di massa, è stato infine possibile valutare il rendimento dell’impianto dal punto di vista quantitativo ed economico: ovvero, la valutazione dei corrispettivi ricevuti in cambio da COREPLA, sulla base delle percentuali di polimeri plastici suddivisi correttamente dall’impianto. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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fiuti in ingresso e grazie ai quali è possibile una successiva selezione. Qui di seguito sono riassunte alcune tra le tecnologie più utilizzate ed emergenti: • Laser Induced Breakdown Spectroscopy o LIBS (Noll et al. 2001): è una tecnica di analisi elementare che si basa sulla misurazione delle emissioni atomiche generate da una superficie del campione sottoposta a raggi laser; (Lasheras et al., 2010); • X-ray transmission (XRT): tecnica basata sulla trasmissione di un fascio ad alta intensità di raggi X (Mesina et al., 2007; Rahman et al. 2011). Quando i raggi X penetrano nel materiale, parte della loro energia viene assorbita e la radiazione successivamente emanata e rilevata può essere analizzata per fornire informazioni sulla densità atomica del materiale, permettendo la sua identificazione; • Selezione Ottica: tecnica che utilizza sensori (fotocamere) basati sull’identificazione delle frazioni di rifiuti attraverso segnali visivi/tattili come il colore, forme, consistenza e dimensione dei materiali; • Spectral imaging based sorting: questa tecnologia combina sia il metodo di riflessione spettrale sia il metodo di elaborazione di immagini spettrali (Tatzer, Wolf, Panner 2005). Tra queste tecniche ricordiamo i NIR (Near Infrared Radation), VIS (Visual Image Spectroscopy) e HSI (Hyperspectral Imaging) (Bonifazi and Serranti 2006; Jansen, Feil, Pretz ; Serranti et al., 2011). Tra le tecnologie sopra descritte, i metodi indiretti di selezione sono quelli che meglio si prestano al riconoscimento dei polimeri plastici.

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2. MATERIALI E METODI 2.1. Presentazione delle campagne di analisi Il Centro di Selezione Secondario per gli imballaggi in plastica situato a Bedonia, in provincia di Parma è stato realizzato dall’impresa locale Oppimitti, che da oltre vent’anni è presente nel settore dell’ecologia con diverse attività orientate al conseguimento della massima qualità dell’ambiente. Il materiale in ingresso all’impianto di selezione (CSS) proviene dalla raccolta differenziata della Comunità Montana delle Valli del Taro e del Ceno e può essere conferito sia sfuso, e quindi direttamente da raccolta differenziata “porta a porta”, sia compresso, in quanto proveniente dal Centro Comprensoriale situato in Borgo Val di Taro. Le prove di caratterizzazione e di valutazione dell’efficienza dell’impianto sono state concentrate in due momenti: la prima analisi è avvenuta agli inizi di settembre (5/09/2016 – 9/09/2016), mentre la seconda è stata effettuata ad ottobre (26/10/2016 – 28/10/2016). In queste due occasioni sono state svolte le prove di portata e le verifiche di purezza dei flussi di prodotto in uscita mediante due Indici (Indice di Purezza I.P. e Indice di Recupero I.R.) le cui espressioni sono state definite nell’ambito del collaudo. Per il calcolo dei suddetti indici è stato necessario svolgere l’analisi merceologica, facendo la cernita manuale di ogni campione nelle diverse frazioni individuate e pesando i rifiuti appartenenti alle differenti categorie di prodotto.

IdA

2.2. Descrizione generale dell’impianto

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L’impianto di selezione plastiche occupa una superficie di 6500 metri quadrati e comprende le migliori tecnologie allo stato dell’arte, integrando opportunatamente selezione automatica e selezione manuale per la buona separazione dei rifiuti di imballaggi in plastica. L’impianto ha lo scopo di suddividere la plastica mista in arrivo dalla raccolta differenziata monomateriale dalla Comunità Montana delle Valli del Taro e del Ceno in diverse tipologie di polimeri e colori e precisamente in: • contenitori in PET trasparente incolore; • contenitori in PET trasparente azzurrato; • contenitori in PET trasparente colorato; • contenitori in HDPE; • contenitori in PP (Imballaggi in Polipropilene); • FIL/M in PP e PE (materiale bidimensionale e shoppers con dimensioni maggiori del formato A3); Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

• FIL/S in PP e PE (imballaggi flessibili in plastica con dimensioni minori del formato A3); • MPO (Imballaggi rigidi misti di Poliolefine). Come sottoprodotti si ritrovano il Plasmix, il Plasmix fine e il materiale ingombrante; vengono inoltre separate piccole quantità di ferro e alluminio che possono ritrovarsi nei flussi di raccolta monomateriale a causa degli errati conferimenti da parte dei cittadini. Il layout dell’impianto e la dinamica dei vari flussi in uscita è rappresentata in Figura 1. Il rifiuto subisce i seguenti trattamenti: 1) carico dell’impianto: il materiale viene accolto nella zona di ricezione e da qui, dopo i controlli e la pesatura in ingresso, viene avviato attraverso una pala meccanica al primo macchinario della filiera; 2) apertura sacchetti; 3) prima selezione per dimensione del materiale attraverso Vaglio Rotante Stadler®. I flussi in uscita sono: • sottovaglio, rappresentato da tutti gli oggetti tridimensionali e bidimensionali che saranno l’oggetto di selezione dei macchinari successivi; • sopravaglio, formato da materiale ingombrante come ad esempio il FIL/M da imballaggio con dimensioni maggiori del formato A3, cassette, tessuti ed intrecci di materiali; 4) separazione del materiale valorizzabile mediante Separatore Balistico Stadler® in tre frazioni: • materiali 3D rotolanti e pesanti (bottiglie, lattine, etc.), condotti alla zona di separazione plastiche nella linea 3D; • materiali 2D piatti e leggeri (FIL/S, carta, cartone, materiali tessili e fibrosi), condotti alla zona di separazione plastiche nella linea 2D; • materiali fini vagliati, raccolti alla base del Separatore Balistico in un container metallico; 5) separazione automatica con tecnologia NIR per linea 3D e per linea 2D; 6) separatore magnetico e separatore a correnti indotte (Eddy Current Separator – ECS) posizionati lungo la linea di selezione del materiale tridimensionale. Il separatore magnetico separa il materiale ferroso dal flusso totale, mentre l’ECS separa tutti gli altri metalli non ferrosi, come ad esempio l’alluminio; 7) controllo qualità dei prodotti selezionati attraverso cernita manuale nella cabina di controllo; 8) pressatura dei prodotti. L’impianto analizzato presenta: • Linea di separatori ottici per il flusso bidimensionale: si tratta del primo impianto in Italia ad


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essere dotato di separazione automatica con due NIR in serie anche per il prodotto bidimensionale FIL/S (dimensioni <A3); • Windshifter (Valvola Stellare o Aspiratore): è costituito da due strumenti a forma di bocchettone e permette di migliorare ulteriormente le efficienze di separazione del separatore balistico; doi.org/10.32024/ida.v5i3.p04

• Ricircolo Automatico: è effettuato attraverso un Separatore Ottico doppio posizionato in fondo alla successione di NIR della linea 3D. Lo scopo di questo NIR è separare il materiale tridimensionale selezionabile in PET/HDPE/PP finito erroneamente tra gli scarti, e riportarlo in cima alla cascata di NIR della linea 3D; Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

Figura 1 – Layout dell’impianto

203


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• Ricircolo Manuale: è effettuato dal personale presente nella cabina di controllo, in cui avviene una selezione manuale di tipo frontale. Gli addetti hanno il compito di selezionare, all’interno di ciascun flusso, tutti i contenitori in PET/HDPE/PP che sono estranei al flusso di quel prodotto, e di mandarli in una buca per il ricircolo che li riporterà, attraverso un nastro trasportatore, in cima alla cascata di NIR della linea 3D. Ricircolo automatico e manuale favoriscono l’aumento dell’efficienza di selezione dell’intero impianto; • Bunker di accumulo materiale: sono dei container che si trovano al di sotto della cabina di controllo e ricevono i diversi flussi di prodotto precedentemente selezionato; • Sistema elettronico di controllo per i bunker, automatico o manuale: ogni bunker ha un rilevatore di livello per poter visionare cosa sta scorrendo al suo interno; tutto è visibile su di uno schermo posizionato in impianto accanto alla pressa; • Buffer (o Bunker) per lo scarto: serve per “accumulare” ciò che è stato mandato in ricircolo dalla cabina di controllo. Tutto quello che viene accumulato nel bunker viene poi rimandato a monte della cascata dei separatori ottici per la selezione del materiale tridimensionale. La quantità di materiale in esso presente indica quanto viene cariato l’impianto: se il buffer si riempie troppo velocemente, vuol dire che l’impianto è sovraccaricato, con conseguente mal funzionamento di tutti i macchinari.

IdA

2.3. Metodologia e Indici utilizzati

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Durante le due fasi di analisi, le procedure di campionamento ed analisi hanno seguito la pratica riconosciuta dal consorzio Corepla cercando di ottenere un’alta affidabilità dei risultati; quindi è stato utilizzato lo stesso metodo in entrambe le prove effettuate. La procedura utilizzata nelle due prove può essere riassunta nelle seguenti fasi: 1) ricezione del materiale e pesatura; 2) avvio impianto e acquisizione tempistiche della prova di carico; 3) arresto impianto; 4) scelta delle balle di prodotto; 5) quartatura; 6) caratterizzazione; 7) pesatura ed acquisizione dati. Le fasi sopra elencate sono state effettuate sui flussi in arrivo all’impianto nei giorni 26/09/2016 – Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

30/11/2016, costituiti dai rifiuti da imballaggi in plastica provenienti della raccolta differenziata della Comunità Montana delle Valli del Taro e del Ceno. Le verifiche sull’adeguato rendimento dei separatori ottici e sui relativi livelli di purezza raggiunti nei flussi dei prodotti vengono effettuate attraverso il calcolo di due indici di seguito presentati, ricavati empiricamente prima della fase di analisi: Indice di Purezza, I.P.: ‫ܫ‬Ǥ ܲǤ஺ǡ௑

஺ ሺ௞௚ሻ ௑ ሺ௞௚ሻ

A = peso del prodotto effettivamente presente nel campione analizzato; X = peso totale del campione analizzato. I.P. esprime, quindi, quanto di un determinato materiale è presente nella totalità del campione consentendo di capire la purezza del flusso relativamente ad un determinato prodotto. Per fare un esempio, viene preso in considerazione il prodotto PET incolore: in questo caso: ‫ܫ‬Ǥ ܲǤ௉ா் ூ௡௖௢௟௢௥௘

௉ா் ூ௡௖௢௟௢௥௘ ሺ௞௚ሻ

஼௔௠௣௜௢௡௘ ௗ௘௟ ௙௟௨௦௦௢ ሺ௞௚ሻ

sarà dato dal rapporto tra il peso dei contenitori in PET Incolore presenti nel campione analizzato, e il peso del campione stesso, prelevato dal flusso proveniente dal separatore ottico addetto alla selezione di questo determinato prodotto; Indice di Recupero, I.R.: ௑ ሺ௞௚ሻ‫כ‬ூǤ௉Ǥಲǡ೉ ‫ܫ‬Ǥ ܴǤ஺ ೙ σ೔సభ ௑೔ ሺ௞௚ሻ‫כ‬ூǤ௉Ǥಲǡ೉೔

X = peso del campione del flusso di prodotto preso in considerazione; I.P. A, X = indice di purezza del flusso X del prodotto A; Xi= peso del campione del flusso i; n = numero totale dei flussi da cui è stato prelevato il campione per l’analisi di purezza. Il numeratore esprime la quantità di quel prodotto presente nel campione prelevato dal flusso separato dal NIR addetto alla selezione di quel determinato materiale; il denominatore invece rappresenta la quantità totale di quel materiale in uscita dall’impianto, dato quindi dalla somma delle diverse quantità di esso presenti nei singoli flussi. Quindi, l’I.R. esprime quanto si recupera di quel determinato materiale preso in considerazione, e cioè diventa prodotto pronto per la vendita e suc-


2.4. Bilancio di Massa Infine, attraverso il bilancio di massa, è stato possibile valutare i risultati anche dal punto di vista economico. È stato utilizzato il software STAN (abbreviazione di subSTance flow ANalysis), un freeware che aiuta ad eseguire l’analisi del flusso dei materiali in base a norme austriache (Austrian standard ÖNorm S 2096). STAN costruisce il modello grafico sulla base di parametri impostati dall’operatore; alcuni di essi sono noti ed inseriti manualmente, mentre i parametri incogniti vengono calcolati dal software. Tutti i flussi possono essere visualizzati in “Sankey Style”, cioè la larghezza di un flusso è proporzionale al suo valore. STAN, permette inoltre la valutazione di fattori di incertezza presenti nel sistema analizzato, utilizzando strumenti matematici statistici. Nello studio effettuato, il software è stato determinante nel calcolo dei flussi di massa dei passaggi intermedi di processo; ciò è stato possibile attraverso l’utilizzo dei coefficienti di scambio, calcolati in impianto durante le fasi di analisi. Più precisamente, in ogni componente di processo (rappresentato mediante un rettangolo) può essere inserito un “Transfer Coefficient”, che rappresenta la quantità di materiale del flusso analizzato in uscita dal singolo processo considerato, espresso in percentuale rispetto al flusso totale in ingresso. Considerando il sistema globale e conoscendo i dati di input (Peso materiale alimentato) e i dati di output (Pesi prodotti ottenuti), è stato possibile estrapolare i Transfer Coefficient relativi ad ogni fase e quindi i relativi flussi intermedi.

3. RISULTATI E DISCUSSIONE 3.1. Analisi del materiale in ingresso Il materiale in ingresso all’impianto di selezione proviene dalla raccolta differenziata della Comunità Montana delle Valli del Taro e del Ceno e può doi.org/10.32024/ida.v5i3.p04

essere conferito sia sfuso, e quindi direttamente da raccolta differenziata “porta a porta”, sia compresso, in quanto proveniente dal Centro Comprensoriale (CC) situato in Borgo Val di Taro. Una precisazione deve essere fatta relativamente alla tipologia di rifiuti che arrivano dalla raccolta, a cui corrispondono i diversi codici CER: – il codice 150102 indica rifiuti da imballaggi in plastica; – il codice 191204 indica materiale prodotto dal trattamento meccanico di rifiuti (ad esempio selezione, triturazione, compattazione, ecc.) in plastica e gomma. La valutazione del contributo separato di ciascuna delle categorie è stata effettuata dal consorzio Corepla e in questo studio sono stati analizzati i flussi in ingresso all’impianto nel periodo: 26/09/2016 – 30/11/2016. Grazie ai dati resi disponibili da Corepla, si è potuto procedere con un’analisi delle diverse frazioni presenti nel materiale in ingresso all’impianto. Si è ipotizzata la stessa composizione per ciascun carico di una determinata tipologia (CER) di rifiuto in ingresso dal 26/09/2016 al 30/11/2016 e, attraverso una media pesata, si è ricavata la composizione media in frazioni della totalità del rifiuto in ingresso. Considerando i seguenti elementi: – CPL = Bottiglie e flaconi di PET/PE/PP di capacità compresa tra 0,33 e 5 litri; – Traccianti = FIL/M d’imballaggio e altri imballaggi flessibili con dimensioni maggiori di un foglio di dimensione A3, Big Bags, Imballaggi Rigidi; – Imballaggi Vari = tutti gli imballaggi in plastica del circuito Corepla non inclusi nei CPL, come ad esempio contenitori per liquidi con dimensioni maggiori di 5 litri o minori di 0,33 litri, contenitori in PVC (Cloruro di Polivinile) e PLA (acido polilattico), ecc. – Frazione Neutra = cassette per prodotti ortofrutticoli e alimentari appartenenti al circuito CONIP, imballaggi riconducibili ad altri sistemi autonomi di gestione riconosciuti nelle forme di legge; – Frazioni Estranee = qualsiasi manufatto non in plastica, giocattoli, videocassette, articoli per irrigazione, imballaggi non vuoti con un residuo di contenuto in peso superiore al peso dello stesso contenitore vuoto (per le bottigliette è tollerato un residuo del contenuto minore o uguale al 5% della sua capacità), rifiuti ospedalieri e/o pericolosi; Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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cessivo al riciclo, rispetto alla totalità in ingresso. Per rendere tutto più chiaro, può essere considerato ancora una volta il prodotto PET incolore: in questo caso il numeratore è costituito dal peso del PET incolore effettivamente presente nel campione prelevato dal flusso del NIR addetto alla selezione di esso, mentre il denominatore rappresenta il peso complessivo del PET in ingresso all’impianto.

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FRAZIONE ESTRANEA 10%

Composizione Media Pesata

pione considerato; tramite questo parametro è possibile quantificare la purezza del flusso relativa all’efficienza di separazione della cascata di NIR a cui il campione analizzato è stato sottoposto. I metodi e i materiali utilizzati durante le due analisi (6 – 9 Settembre e 28 – 29 Ottobre) sono gli stessi, anche se per la prima (Settembre) sono stati analizzati solo alcuni flussi di prodotti in quanto, essendo stato avviato per la prima volta da poco tempo, l’impianto doveva ancora essere calibrato al meglio. Gli I.P. si riferiscono ai materiali in uscita dai rispettivi separatori ottici: i flussi di FIL/S sono due in quanto i NIR dedicati alla selezione del 2D sono due, disposti uno di seguito all’altro: il primo è il separatore ottico 5050 e il secondo è il separatore ottico 5060 (Figura 1). Di conseguenza è stata testata la capacità di separazione di entrambi. Si può notare (Figura 3) come non sia stato possibile stimare gli I.P. di alcuni flussi durante la prima analisi (Settembre) per incompletezza nella raccolta dati. I risultati raggiunti mostrano un netto miglioramento dell’efficienza durante la seconda analisi (Ottobre) grazie ad un perfezionamento nella programmazione dei separatori ottici; più nello specifico gli incrementi rilevati sono riportati in Tabella 1.

FRAZIONE FINE NEUTRA 1%

CPL 32%

IMBALLAGGI VARI 54%

TRACCIANTI 3%

Figura 2 – Composizione Media Pesata del rifiuto in ingresso dal 26/09/2016 al 30/11/2016, da elaborazioni dati di analisi Corepla

si può valutare la composizione media pesata del rifiuto in ingresso (Figura 2). 3.2. Indici di Purezza Le verifiche riguardo il rendimento dei separatori ottici vengono effettuate attraverso il calcolo dell’Indice di Purezza (I.P.) la cui formula è già stata illustrata precedentemente. Come già accennato, l’Indice di Purezza esprime la quantità di un determinato polimero/colore nella totalità del cam-

Tabella 1 – Miglioramento per punti percentuali del livello di purezza dei diversi flussi tra I e II Analisi I.P.

Flusso PET TOT

Flusso PET incolore

Flusso PET azzurrato

Flusso PET colorato

Flusso HDPE

Flusso FIL/S 5050

3,4%

8,2%

12,6%

8,5%

8,2%

10,8%

Increm.

INDICI DI PUREZZA 100%

96%

95%

94%

91%

90%

84%

87%

83%

79%

76%

80%

79%

71%

74%

82%

78% 68%

70%

90%

65%

60% 50% 40% 30% 20% 10% 0%

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PET TOTALE

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PET INCOLORE

PET PET AZZURRO COLORATO I.P. I prova

Figura 3 – Indici di Purezza (I.P.)

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

HDPE

PP

FIL/S 5050 FIL/S 5060 RICIRCOLO RICIRCOLO 3D 2D I.P. II prova

MPO


3.3. Indici di Recupero

alla somma dei materiali non selezionati quali l’MPO e il Plasmix.

Le verifiche del rendimento dell’impianto nel suo complesso vengono effettuate attraverso il calcolo dell’Indice di Recupero (I.R.), le cui formule sono già state illustrate precedentemente. L’Indice di Recupero esprime quanto materiale si recupera a valle dell’intero trattamento, cioè quanto dell’ingresso diventa prodotto pronto per la vendita e successivamente per il riciclo (polimero o colore). Quindi, a differenza dell’I.P., l’I.R. esprime l’efficienza di recupero del materiale di tutto l’impianto, permettendo di fare anche dei bilanci di massa complessivi sull’ingresso e sull’uscita del centro di selezione secondario in analisi. Nella Figura 4 sono rappresentati gli Indici di Recupero calcolati durante la Seconda Analisi. Ogni flusso di prodotto uscente è dipendente dall’efficienza di selezione di tutta la filiera di separatori ottici, considerando le quantità totali di prodotto “perso” negli altri flussi. Quindi si rileva che, dei materiali totali in ingresso, si recupera il 44% di PET Incolore, il 64% di PET Azzurrato, il 63% di PET Colorato, il 64% di HDPE, il 78% di PP, il 42% di FIL/S (19% FIL/S dal NIR 5060 e il 23% dal NIR 5050). Il calcolo dell’I.R di impianto dell’MPO si compie in modo diverso rispetto agli altri prodotti, in quanto esso si ottiene come materiale “residuo” di prodotti potenzialmente selezionabili ma erroneamente separati. L’Indice di Recupero dell’MPO risulta allora calcolato rispetto

3.4. Osservazioni sulle potenzialità dell’impianto

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Grazie alle analisi effettuate, è stato possibile evidenziare alcune potenzialità dell’impianto, attraverso elaborazioni più approfondite: A) del materiale in uscita dall’impianto, il 46,5% è rappresentato da prodotti quali PET incolore, PET azzurrato, PET colorato, HDPE, PP e FIL/S, FILM e MPR e MPO, mentre il 53,5% è rappresentato da sottoprodotti, costituiti per la maggior parte dal PLASMIX e in piccola parte anche da Ferro, Alluminio, dallo Scarto Ingombrante e dalla Frazione Fine. B) È stato già sottolineato nei paragrafi precedenti che l’impianto analizzato è il primo in Italia ad avere una linea di separatori ottici per il flusso bidimensionale con due NIR in serie anche per il prodotto FIL/S (quindi materiale bidimensionale con dimensioni minori del formato A3). Quantificando il vantaggio di questa innovazione, risulta che viene selezionato ben il 42% di solo FIL/S in PP e PE e il 52% considerando anche il FIL/M (dimensioni maggiori di A3) rispetto al materiale bidimensionale totale in ingresso all’impianto. C) Il funzionamento dei separatori ottici si basa esclusivamente sul riconoscimento del polimero e/o del colore per cui è stato programmato,

INDICE DI RECUPERO DELL'IMPIANTO MPO 43,52%

PET COLORE 63,23% PET INCOLORE 44,01%

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

HDPE 63,58%

PP 78,12%

PET AZZURRO 63,90% PET TOTALE 61,92%

50,00%

60,00%

70,00%

80,00%

Figura 4 – Indici di Recupero (I.R.) dell'impianto, ricavati dall’analisi dei flussi in uscita (Seconda Analisi)

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FIL/S 5060 25,00% FIL/S 5050 23,18%

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senza distinguere tra un materiale bi- o tri- dimensionale, compito questo del separatore balistico. Di conseguenza, grazie agli Indici di Purezza dei flussi uscenti, è stato possibile valutare l’efficienza di separazione del balistico e la sua percentuale di errore nella selezione del materiale 3D e 2D. È risultato che nei flussi dei prodotti tridimensionali, solo il 2,9% è costituito da FIL/S, mentre nei flussi di prodotto bidimensionali (quindi nei FIL/S) il 6,8% è rappresentato da oggetti tridimensionali. In realtà, ci si aspetta un margine di errore maggiore per la separazione del materiale 2D che per il 3D: i FIL/S infatti possono rimanere bloccati e conficcati con più facilità tra gli oggetti 3D, venendo poi trasportati nel flusso tridimensionale, mentre gli oggetti 3D come le bottiglie in PET o HDPE, essendo più pensanti e con una forma più arrotondata, rotolano con facilità verso il basso, con minore rischio di essere trascinati nel flusso bidimensionale. Infatti, confrontando le percentuali di errore ottenute con la quantità totale in ingresso rispettivamente di FIL/S e di materiale tridimensionale, si osserva che l’errore di separazione per il 3D è pari al 2% e per il 2D pari al 4%, entrambe le percentuali calcolate sul totale 3D e 2D. D) Attraverso gli Indici di Purezza e gli Indici di Recupero è stato possibile calcolare la quantità di materiale non separato correttamente e che quindi viene ritrovato nei flussi di polimeri/colori non corrispondenti a quello in questione; questi materiali quindi non saranno diretti al recupero e riciclaggio e vanno visti come “persi”. Le percentuali dei prodotti “persi” sono illustrate nella Figura 5.

17%

22%

38%

57%

PRODOT TI "PERSI"

IdA

PET "PERSO"

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HDPE "PERSO"

PP "PERSO"

FIL/S "PERSO"

Figura 5 – Prodotti “Persi” in uscita dall’impianto rispetto ai totali selezionabili in ingresso

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

Tabella 2 – PET Perso e Recuperato in chilogrammi e in numero di bottiglie da 1,5 litri (Seconda Analisi) Bottiglia PET da 1,5 litri

0,038

kg

PET perso

3030

kg

Bottiglie PET perse

79733

/

5181

kg

136353

/

PET recuperato Bottiglie PET recuperate

Da ciò, conoscendo il peso del PET “perso” in chilogrammi e il peso di una bottiglia vuota di PET da 1,5 litri, si può fare una stima delle bottigliette “perse”. I valori esposti nella Tabella 2 si rifanno al materiale in ingresso e selezionato durante la seconda fase di analisi (Ottobre), e quindi ad una quantità totale di rifiuto in ingresso pari a 33,5 tonnellate, selezionato in circa 4 ore di funzionamento dell’impianto (portata pari a 8 t/h). Ne deriva quindi un riciclo di circa 136353 bottiglie PET (5181 kg di PET), contro le 79733 bottiglie non recuperate (3030 kg di PET). 3.5. Bilancio di massa Per calcolare i risultati, i rendimenti complessivi e lo schema dei costi, è necessaria l’analisi del bilancio di massa: esso mostra il flusso di massa del materiale alimentato all’impianto di selezione secondario e i flussi di massa di ogni frazione in uscita durante il processo di smistamento, compreso lo scarto formatosi. Questo ha fornito una descrizione tecnica e logistica del flusso di materiale passante attraverso il sistema, dei volumi e delle rese di trasformazione. La purezza e la composizione di ogni flusso in uscita sono state valutate mediante il prelievo di campioni da ciascun flusso, come descritto ed analizzato precedentemente. Per impostare quindi il bilancio di massa, si sono tenuti in considerazione: 1) i turni lavorativi, le ore lavorative per ciascun turno, i giorni lavorativi in un anno; 2) le tonnellate di rifiuto trattate all’ora; 3) la composizione merceologica del materiale in ingresso; 4) l’unica ipotesi di ripartizione dei materiali tridimensionali e bidimensionali: il 60% del contenuto proviene dalla linea addetta alla separazione degli oggetti tridimensionali e il 40% dalla linea per gli oggetti bidimensionali. Questa ipotesi è basata sull’esperienza e tiene presente


– l’impianto è in funzione per 263 giorni all’anno; – in ogni ora l’impianto seleziona circa 8 tonnellate di rifiuto. Con ciò si può ottenere la stima della quantità totale di materiale in ingresso all’impianto in un anno: Materiale INPUT = ʹ ‫ כ‬ͺ

௧௢௡௡௘௟௟௔௧௘ ௢௥௔

௧௨௥௡௜ ௚௜௢௥௡௢

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௢௥௘ ௧௨௥௡௢

‫ʹ כ‬͸͵

௚௜௢௥௡௜ ௔௡௡௢

‫כ‬

= 29456 ௧௢௡௡௘௟௟௔௧௘ ௔௡௡௢

Di seguito è riportato il diagramma del bilancio di massa annuale con i relativi flussi (Figura 6).

Figura 6 – Bilancio di massa dell’impianto (tonnellate/anno); con i = input, materiale in ingresso all’impianto ed e = exit, materiale in uscita dall’impianto

IdA

che, avendo in totale una quantità maggiore di materiale 3D, più della metà del materiale ritrovato nei flussi MPO e Plasmix deriverà dalla linea tridimensionale e non da quella bidimensionale. Il bilancio di massa è stato effettuato considerando un intervallo temporale di un anno; quindi la quantità totale di materiale trattata è stata stimata sapendo che: – i turni lavorativi sono 2 al giorno con 7 ore lavorative ciascuno;

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I flussi in uscita ricavati e rappresentati nel grafico in Figura 6 raffigurano le quantità totali di prodotti e sottoprodotti che l’impianto genera in un anno; non si considerano quindi le purezze di ciascun flusso di prodotto, valutandoli in questo caso, solo dal punto di vista quantitativo e “commerciale”.

Tabella 3 – Percentuali di Prodotti, MPO, Sottoprodotti in uscita annualmente

3.6. Valutazioni Economiche

stione degli imballaggi in plastica. Le autorità locali che intendono aderire al sistema Conai devono firmare un contratto con il Consorzio Corepla; ciò consentirà alle autorità locali di ricevere i corrispettivi, pagati dal Consorzio, per ogni tonnellata di materiale selezionato e consegnato. Le varie procedure sono dettate dall’accordo ANCI-Conai aggiornato ogni cinque anni. Si ricorda brevemente che esso sancisce le spese di raccolta per ciascun materiale di imballaggio trattato e i corrispettivi remunerati; essi si basano sulla qualità del materiale raccolto, e quindi sulle impurità in esso contenute. Nessuna tassa di raccolta è dovuta se la percentuale di impurità è superiore alla soglia massima, e il Consorzio Corepla potrebbe decidere di non ritirate il materiale. Inoltre, l’accordo stabilisce anche eventuali altri oneri dovuti alle autorità locali a seconda dei costi di distanza e di trasporto, o altri costi aggiuntivi (pressatura, pulizia, ecc.). Quindi, per calcolare i ricavi ottenuti dal processo di selezione, si considerano: – il CSS in questione tratti solo plastica per conto Corepla. – I corrispettivi riconosciuti da Corepla per ogni tipologia di materiale in uscita dall’impianto e dettati dall’accordo ANCI-CONAI, aggiornato

L’analisi economica di seguito riportata è riferita alla gestione annuale del Centro di Selezione Secondario, con riferimento ai flussi di materiali in uscita dall’impianto calcolati con il bilancio di massa esposto nel precedente paragrafo. La valutazione effettuata riguarda l’anno zero di avviamento dell’impianto. Per la stima dei costi sostenuti, sono state considerate le seguenti componenti: – i costi di investimento (€/anno). In questo caso sono stati presi in considerazione solo i costi dei macchinari acquistati e del sistema elettrico installato, senza considerare i costi per l’acquisto del terreno, per le licenze, per l’allacciamento elettrico; – la rata annuale degli investimenti. Il costo totale di investimento sopra citato è suddiviso in rate annuali funzione del periodo di ammortamento (20 anni) e del tasso di interesse annuo considerato (5%); – il costo di manutenzione dell’impianto. Si considera, annualmente, il 4% del costo totale delle macchine e del sistema elettrico; – il costo del personale. Rappresenta le remunerazioni degli operatori dell’impianto quali il capo impianto, il responsabile di turno, il meccanico ed elettricista, i conduttori dei veicoli, il responsabile della pressa imballatrice e gli operai; – i costi variabili. Essi comprendono: a) il costo dell’elettricità annuale; si considera un costo dell’energia di 0,1 €/kWh, una potenza nominale installata di 480 kW, le 3682 ore lavorative annuali e il fattore di utilizzo della potenza installata pari a 0,6; b) il costo del gasolio consumato dai veicoli utilizzati per il trasporto dei materiali, considerando il fabbisogno di 60 litri/giorno per veicolo e il costo di 1 €/litro diesel; c) costi di imballaggio (effettuato con filo di ferro), stimati in circa 4 € per balla. L’allegato tecnico imballaggi in plastica riporta i corrispettivi riconosciuti da Corepla durante la geIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

Prodotti

39,4%

MPO

7,1%

Sottoprodotti

53,5%

Tabella 4/a – Parametri e valori considerati nella valutazione economica Turni lavorativi e Materiale INPUT Ore per turno

7

Turni

2

Ore giorno

14

Giorni lavorativi

263

Tonnellate ora

8

Tonnellate trattate per anno

29.456

Parametri Funzionamento Potenza Installata (kW)

480

Litri/giorno per veicolo (1 pala meccanica)

60

Euro per filo di ferro di una balla (circa 1 tonnellata)

4


Rifiuti

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Tabella 4/b – Parametri e valori considerati nella valutazione economica 1.Costo Investimento (€/anno) Macchine e sistema elettrico

€ 6.000.000

Macchine e sistema elettrico

Interesse

Periodo

Annualità

5%

7

€ 1.036.919

Percentuale

Annualità

4,0%

€ 240.000

3. Costo manutenzione impianto anno 1* Macchine e sistema elettrico 4. Costo personale

Quantità

N°turni

Stipendi (€/anno)

Capo impianto

1

1

60.000

€ 60.000

Responsabile di Turno

1

2

45.000

€ 90.000

Meccanico ed elettrico

2

2

40.000

€ 160.000

Conduttore elevatore/pala/camion

2

2

40.000

€ 160.000

Responsabile pressa

1

2

40.000

€ 80.000

Operaio semplice

10

2

35.000

€ 700.000

Sostituzioni

20%

€ 250.000

TOTALE

€ 1.500.000

5. Costi variabili

Costi Specifici

Annualità

€/kWh

0,100

€ 106.042

Diesel

€/l

1,00

€ 220.920

Costo imballaggio

€/t

4,00

€ 117.824

Elettricità

TOTALE 6. Ricavi

€ 444.786 Corrispettivi (€/anno)

Quantità (t/anno)

Annualità

PRODOTTI

210

11605,7

€ 2.437.189

MPO

176

2091,4

€ 368.082

SOTTOPRODOTTI (Plasmix)

75

15759,0

€ 1.181.922

TOTALE BILANCIO TOTALE

ogni 5 anni; essi sono di 210 €/t per i Prodotti, di 176 €/t per MPO, di 75 €/t per i Sottoprodotti, ovvero per il Plasmix. – Le diverse quantità di Prodotti e Sottoprodotti in uscita dall’impianto, calcolati attraverso il Bilancio di Massa (Tabella 3). Nei Prodotti sono compresi i quantitativi di PET incolore, PET azzurrato, PET colorato, HDPE, PP e FIL/S, FILM e MPR, mentre nei Sottoprodotti sono inclusi il Plasmix, la Frazione Fine, il Ferro, l’Alluminio e lo Scarto Ingombrante. Nella Tabella 4 sono illustrati i parametri presi in considerazione e tutti i costi e i ricavi stimati.

4. CONCLUSIONI Il presente lavoro ha riguardato la tematica della gestione dei rifiuti da imballaggio in plastica nel sistema italiano e le tecnologie utilizzate nella loro doi.org/10.32024/ida.v5i3.p04

€ 3.987.194 Specifico

Annuale

€/t 25,99

€ 765.489

separazione, attraverso l’analisi di un nuovo Centro di Selezione Secondario del circuito Corepla. L’impianto analizzato presenta degli elementi innovativi rendendolo unico nel suo genere in Italia, nello specifico la linea di separatori ottici per il flusso di materiale bidimensionale, trattato con due separatori NIR posti in serie per il prodotto FIL/S (dimensioni <A3). Lo studio si è concentrato sul calcolo dei rendimenti di separazione della tecnologia NIR dei rifiuti nelle categorie più comuni di polimeri. È stato dimostrato, infatti, che la selezione dei rifiuti di imballaggio in plastica è soggetta a molte incertezze a causa di variabili quali la composizione merceologica del materiale in ingresso, la portata di trattamento dell’intero impianto, la distribuzione del materiale sui nastri, la presenza di oggetti idonei al riconoscimento ottico ma non riciclabili e la concentrazione di imballaggi flessibili (FIL/S e FILM) nel materiale in ingresso. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

2. Rata annuale per investimenti (€/anno)

211


IdA

Rifiuti

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212

Le prove di caratterizzazione e di valutazione dell’efficienza dell’impianto sono state concentrate nei mesi di settembre ed ottobre 2016. In queste due occasioni sono state svolte le seguenti analisi: • Le prove di portata e le verifiche di purezza dei flussi di prodotto in uscita mediante il calcolo di due indici (Indice di Purezza I.P. e Indice di Recupero I.R.) le cui espressioni sono state definite durante le fasi di analisi effettuate. Per il calcolo dei suddetti indici è stato necessario svolgere l’analisi merceologica, facendo la cernita manuale di ogni campione nelle diverse frazioni individuate e pesando i rifiuti appartenenti alle differenti classi. Dalle analisi è stato rilevato che: a) il campione del PET incolore risulta costituito per il 64% da bottiglie e contenitori per liquidi e per il 20% da vaschette PET incolore per alimenti; il campione del PET colorato, risulta costituito per il 68% da bottiglie e contenitori per liquidi, per il 7% da PET opaco e per il 5% da contenitori PET ricoperti da etichetta colorata (per più dell’85%); b) il prodotto MPO è costituito da imballaggi misti di poliolefine derivanti da tutta la filiera di selezione e come tutti gli altri prodotti COREPLA. In questo caso, il campione è costituito dal 24% di HDPE, dal 12% di PP, dal 55% di FIL/S, dal 6% di PET (2% incolore, 2% azzurrato, 2% colorato); c) il campione del flusso PP, si è prestata attenzione risulta costituito dal 74% da PP e dal 10% da FIL/S di cui il 3% di PP, l’1% di PE e il restante 6% di FIL/S risulta non marcato, ossia non è stato possibile riconoscere la tipologia di materiale attraverso la semplice cernita manuale. d) il PLASMIX rappresenta il materiale residuo proveniente dalla selezione delle plastiche; in esso sono contenuti sia materiali di scarto, sia oggetti potenzialmente selezionabili, ma sfuggiti alla separazione. In questo caso il campione risulta costituito per il 53% da “Altro” ovvero materiali di scarto come carta, cartoni, tessuti, vetro, metalli, polistirene espanso (EPS); il resto è composto dal 21% di FIL/S in PP e PE, dal 24% da PET (6% incolore, 12% azzurrato, 5% colorato e 1% opaco). • Il calcolo del bilancio di massa, con cui è stato possibile valutare i risultati dal punto di vista quantitativo. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

È stata stimata della massa totale di materiale in ingresso all’impianto in un anno (circa 29456 tonnellate/anno) e le percentuali dei vari flussi in uscita: – Il 46,5% di polimeri inviati a riciclo; – Il 53,5% di sottoprodotti inviati a recupero energetico o a smaltimento. • Analisi economica. Il bilancio economico totale risulta dalla differenza tra i ricavi e i costi totali; esso è positivo, con un guadagno pari a 26 € per tonnellata trattata.

5. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Bonifazi G. and Serranti S. (2006) Imaging spectroscopy based strategies for ceramic glass contaminants removal in glass recycling. Waste Management, 26, 6, 62739. Corepla 2. 2010. Utilizzo a fini energetici chimici dei residui dei processi di selezione di imballaggi in plastica provenienti da raccolta differenziata. Gundupalli S.P., Hait S., Thakur A. (2017) A review on automated sorting of source-separated municipal solid waste for recycling. Waste Management, 60, 56-74. Lasheras R.J., Bello-Gálvez C., Anzano J. (2010) Identification of polymers by libs using methods of correlation and normalized coordinates. Polym Test, 29, 8, 105764. Mesina M.B., de Jong T.P.R., Dalmijn W.L. (2007) Automatic sorting of scrap metals with a combined electromagnetic and dual energy X-ray transmission sensor. Int J Miner Process 82, 4, 222-32 Noll R., Bette H., Brysch A., Kraushaar M., Mönch I., Peter L., Sturm V. (2001) Laser-induced breakdown spectrometry – applications for production control and quality assurance in the steel industry. Spectrochimica Acta Part B: Atomic Spectroscopy 56, 6, 637-49 Tatzer P, Wolf M, Panner T. (2005) Industrial application for inline material sorting using hyperspectral imaging in the NIR range. Real Time Imaging, 11, 2, 99107. Serranti S., Gargiulo A., Bonifazi G. (2011) Characterization of post-consumer polyolefin wastes by hyperspectral imaging for quality control in recycling processes. Waste Management 31, 11, 2217-27.

RINGRAZIAMENTI Si ringraziano l’azienda Stadler Italia s.r.l. e la ditta Oppimitti che hanno contribuito alla raccolta dati e alla realizzazione di questo lavoro.


CRITERI PER LA DEFINIZIONE DI INDICATORI PRIORITARI DI IMPATTO DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI: VERSO UN SET A LIVELLO NAZIONALE Francesca Giordano1,*, Claudia Sebbio1, Gabriele Antolini2, Lucio Botarelli2, Federica Flapp3, Veronica Bonati4, Luca Onorato4, Nicola Loglisci5, Graziella Priod5, Renata Pelosini5, Andrea Motroni6, Umberto Morra di Cella7 1

Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna. 3 Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Friuli Venezia Giulia. 4 Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente ligure. 5 Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Piemonte. 6 Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Sardegna. 7 Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Valle d’Aosta.

Sommario – Come evidenziato nella Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici (MATTM, 2015), in Italia si stanno già manifestando i cambiamenti climatici ed i relativi impatti, con differente intensità e disomogenea distribuzione sul territorio. In questo contesto di cambiamento, emergeranno con ogni probabilità nuove problematiche, mentre alcuni fenomeni già esistenti potranno subire un’amplificazione. La comunità scientifica sarà quindi chiamata ad affrontare nuove sfide, che richiederanno nuovi strumenti conoscitivi, nonché sistemi innovativi di supporto alle decisioni. Nel 2016 il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), costituito dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale e dalle Agenzie Regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano per la Protezione dell’Ambiente, ha avviato un’iniziativa finalizzata a definire un set di indicatori di impatto dei cambiamenti climatici a livello nazionale. L’obiettivo è quello di migliorare il quadro conoscitivo sulle conseguenze ambientali, sociali ed economiche dei cambiamenti climatici, favorire i processi di comunicazione per aumentare la consapevolezza dei cittadini su tali temi, supportare i processi decisionali ed, infine, contribuire a stabilire uno scenario di riferimento rispetto al quale poter monitorare l’efficacia delle future azioni di adattamento. Ad oggi sono stati individuati circa 150 “potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici” appartenenti ai seguenti settori: a) risorse idriche; b) desertificazione, degrado del territorio e siccità; c) dissesto idrogeologico; d) biodiversità ed ecosistemi terrestri, marini e di acque interne e di transizione; e) salute; f) foreste e produttività forestale; g) agricoltura e produzione alimentare; h) pesca marittima; i) acquacoltura; j) energia; k) zone costiere; l) turismo; m) insediamenti urbani; n) patrimonio culturale; o) trasporti e infrastrutture; p) industrie pericolose; q) aree alpine e appenniniche; r) bacino fluviale del Po. Essi costituiscono un portfolio di indicatori molto ampio, necessario al fine di mettere a sistema un monitoraggio ottimale degli impatti. Nel breve termine, soltanto un numero limitato di indica* Per contatti: Viale Cesare Pavese 305, 00144 Roma. Tel. 06.50072547; e-mail: francesca.giordano@isprambiente.it.

doi.org/10.32024/ida.v5i3.tsc01

tori verrà selezionato sulla base di opportuni criteri e successivamente popolato, con l’obiettivo di stabilire una prima baseline di riferimento su scala nazionale. Parole chiave: cambiamenti climatici, impatti chiave, criteri, indicatori di impatto dei cambiamenti climatici, adattamento.

CRITERIA FOR THE PRIORITIZATION OF CLIMATE CHANGE IMPACT INDICATORS: TOWARDS A NATIONAL SET OF INDICATORS Abstract – As highlighted by the National Adaptation Strategy (MATTM, 2015), climate change and its impacts are already ongoing in Italy, even with different intensity and uneven distribution in space. In this context, new problems will arise and existing phenomena will be exacerbated. The scientific community will be therefore required to face new challenges, which will call for new know-how and decision support systems. In 2016, the National System for Environmental Protection, which includes the Institute for Environmental Protection and Research and the Regional/Provincial Agencies for Environmental Protection, launched an initiative aiming at the definition of a climate change impact indicators set with the purpose: i. to improve knowledge on the current climate change impacts in Italy; ii. to facilitate communication and awareness raising processes on such themes; iii. to support the decision processes; and finally iv. to establish a reference scenario for the future monitoring of effectiveness of adaptation measures. The National System has therefore worked in order to establish a wide portfolio of climate change impact indicators. For the purpose of the work, an impact indicator has been intended as an observed measure that indicates a “relevant” environmental, social, economic impact, and whose causes can be linked – in some way – to the interaction between changes in climate and the system it portrays (Costa et al., 2016). To date, about 150 “potential climate impact indicators” have been identified, based on existing literature and guided by an expert judgement. The indicators belong to different sectors, such as: a) water resources; b) desertification, land degradation and drought; c) hydrogeological risk; d) biodiversity and terrestrial, marine and freshwater ecosystems; e) health; f) forestry; g) agriculture; Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

2

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h) fisheries; i) aquaculture; j) energy; k) coastal areas; l) tourism; m) urban settlements; n) cultural heritage; o) transport and infrastructure; p) hazardous industries; q) Alpine and Apennines; r) Po river basin. These indicators constitute a very broad portfolio, finalised at the optimal monitoring of the impacts of climate change. In the short term, the objective will be to calculate a limited number of these indicators and to provide a first baseline reference. For this purpose, criteria for the prioritization of key impacts of climate change as well as criteria for the evaluation and selection of the most appropriate indicators have been defined. Among the first category of criteria are: i. the cause-effect link and the attribution of a phenomenon to climate change; ii. the magnitude; iii. the timing; iv. the occurrence rate; v. the persistence/reversibility; vi. the likelihood; vii. the value of the potentially affected resource. Among the criteria for the evaluation and selection of key indicators there are general criteria, such as the SMART approach criteria (specific, measurable, achievable, relevant, time-bounded), and specific criteria, such as: i. link with the impact; ii. feasibility; iii. sensitivity; iv. timeliness; v. uncertainties description; vi. data availability; vii. use in the European context; viii. reliability of methodology; ix. policy relevance; x. costs; xi. measure of the effectiveness of adaptation. Existing barriers for the implementation of this activity are various. Lack of scientific evidence about the cause-effect link, limited availability of data in term of time and spatial coverage, lack of adequate monitoring systems, and uncertainties affecting the evaluation are among the main examples. For this reason, there is an obvious need to continue scientific research that could establish and better understand the links between the phenomena and climatic factors. Keywords: climate change, key impacts, criteria, climate change impact indicators, adaptation.

Ricevuto il 14-11-2017. Modifiche sostanziali richieste il 13-12-2018. Accettato il 2-10-2018.

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1. INTRODUZIONE

214

Il clima della Terra sta cambiando e gli effetti sono visibili sia in Italia sia nel resto del mondo: aumento delle temperature, modifica dei regimi delle precipitazioni, eventi climatici estremi sempre più violenti – come precipitazioni intense, siccità e ondate di calore –, riscaldamento degli oceani, fusione dei ghiacciai, sono tra i fenomeni più evidenti. Gli impatti dei cambiamenti climatici, definiti come “gli effetti degli eventi meteorologici e climatici estremi e dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali ed umani” si riferiscono generalmente agli effetti su persone, mezzi di sussistenza, salute, ecosistemi, beni e risorse economiche, sociali e culturali, servizi e infrastrutture dovuti all’interazione dei cambiamenti climatici o degli eventi climatici pericolosi che si presentano entro uno specifico periodo di tempo, con la vulnerabilità di una società Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

o di un sistema esposti ai cambiamenti climatici stessi (IPCC, 2014). In questo contesto di cambiamento, probabilmente molti fenomeni già esistenti potranno subire un’accelerazione e potranno emergere problematiche ambientali fino ad oggi sconosciute, rendendo necessari nuovi strumenti di osservazione, nonché sistemi innovativi di supporto alle decisioni. Questa crescente esigenza conoscitiva richiederà quindi capacità diagnostiche e di monitoraggio assai più adeguate di quelle attuali: una buona comprensione dei fenomeni rappresenta, infatti, il primo passo verso l’individuazione delle migliori azioni finalizzate a ridurre gli impatti e la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, assicurandone in questo modo appropriatezza e tempestività. Come sottolinea la Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici (MATTM, 2015), in Italia vi è una necessità crescente di sviluppare e mettere a sistema un set di indicatori di impatto dei cambiamenti climatici a livello nazionale, al fine di migliorare il quadro conoscitivo alla base dei processi di implementazione dell’adattamento. Per poter essere efficaci, infatti, le azioni di adattamento dovranno essere basate su elementi scientifici solidi che consentano di agire nella maniera più opportuna e tempestiva sugli effetti dei cambiamenti climatici con l’obiettivo di ridurre la vulnerabilità dei sistemi ambientali e dei settori socioeconomici e limitare gli eventuali danni associati. Quindi, se gli indicatori climatici hanno l’obiettivo di favorire la comprensione dei cambiamenti del clima nel tempo, quelli di impatto e vulnerabilità mirano a valutarne le conseguenze e a determinare la capacità dei sistemi ambientali e dei settori socio-economici di far fronte ad essi. La Strategia stessa individua nel Sistema delle Agenzie per la Protezione dell’Ambiente il possibile responsabile “per norma della valutazione integrata di indicatori per la stima degli impatti, per misurare l’efficacia delle misure di adattamento e di mitigazione” (MATTM, 2015). In questo contesto, il Sistema Nazionale di Protezione dell’Ambiente (SNPA) che include l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente (ARPA), ha avviato nel 2016 un’iniziativa finalizzata a definire un set di indicatori di impatto dei cambiamenti climatici a livello nazionale, con l’obiettivo di: a) contribuire a colmare le lacune conoscitive in tema di impatti dei cambiamenti climatici, definendo tipologie ed entità degli impatti, su cui


2. MATERIALI E METODI Nell’ambito del presente studio, con il termine “indicatore di impatto dei cambiamenti climatici” si intende uno strumento atto a misurare una conseguenza negativa o positiva ambientale, sociale o anche economica, le cui cause possono essere messe in una qualche relazione ad un cambiamento nel clima (Costa et al., 2016). Il lavoro, svolto tra la fine del 2016 e la prima metà del 2017, ha preso avvio a partire dal patrimonio conoscitivo messo a disposizione dai documenti propedeutici della Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici (Castellari et al., 2014a; Castellari et al., 2014b; Castellari et al., 2015c), ed in particolare dal Rapporto sullo stato delle conoscenze scientifiche su impatti, vulnerabilità ed adattamento ai cambiamenti climatici in Italia (Castellari et al., 2014a). Con l’obiettivo di individuare un set di indicatori di impatto dei cambiamenti climatici a livello nazionale, che fosse coerente con quanto emerso nei documenti citati, sono state individuate quindi due differenti fasi: • selezione di un portfolio di “potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici”, che prevede un’esaustiva individuazione degli impatti dei cambiamenti climatici in corso e dei relativi potenziali indicatori di impatto; • identificazione di criteri per la valutazione e la selezione di indicatori prioritari, finalizzata a definire un set più ristretto di indicatori chiave da popolare prioritariamente. doi.org/10.32024/ida.v5i3.tsc01

2.1. Selezione di un portfolio di “potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici” L’implementazione della prima fase ha previsto dapprima la definizione dei principali impatti dei cambiamenti climatici in atto o previsti sul territorio italiano sui più sensibili sistemi ambientali e settori socio-economici, così come individuati e descritti nell’ambito del Rapporto sullo stato delle conoscenze scientifiche su impatti, vulnerabilità ed adattamento ai cambiamenti climatici in Italia (Castellari et al., 2014): • risorse idriche; • desertificazione, degrado del territorio e siccità; • dissesto idrogeologico; • biodiversità ed ecosistemi (terrestri, marini, acque di transizione); • salute; • foreste; • agricoltura e produzione alimentare; • pesca marittima; • acquacoltura; • energia; • aree costiere; • turismo; • insediamenti urbani; • patrimonio culturale; • trasporti; • industrie e infrastrutture pericolose; • area alpina e appenninica; • distretto idrografico padano. In coerenza con i principali set di indicatori di impatto definiti a livello nazionale da parte di alcuni paesi europei nei rispettivi processi di pianificazione dell’adattamento ai cambiamenti climatici (EEA, 2017; Castellari et al., 2014; OECC, 2012; ONERC 2010; OFEV, 2007; Umweltbundesamt, 2015; Flanders Environmental Agency, 2015) (Tabella 1, a pagina seguente), e con il supporto di un approccio basato sul giudizio sia di esperti interni al Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente che esterni, a ciascun impatto settoriale è stato associato uno o più possibili indicatori di impatto, indicatori cioè di potenziale interesse e rilevanza ai fini del monitoraggio del relativo impatto a cui si riferiscono. L’identificazione dei potenziali indicatori di impatto è stata effettuata, in questa prima fase, sulla base della frequenza di utilizzo dell’indicatore nell’ambito dei processi di adattamento dei paesi europei analizzati, nonché tenendo in considerazione l’attuale impiego di indicatori in ambito SNPA e la potenzialità di nuovi indicatori nel supportare il monitoraggio di fenomeni emergenti. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

dovranno essere calibrate strategie e piani di adattamento; b) favorire i processi di comunicazione e aumentare la consapevolezza dei cittadini sulle tendenze in atto e sul significato di tali cambiamenti per le persone, l’ambiente e l’economia; c) supportare i processi decisionali con elementi scientifici solidi, chiari e comprensibili; d) concorrere a stabilire uno scenario attuale di riferimento rispetto al quale poter monitorare l’efficacia delle future azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nel ridurre vulnerabilità e rischi. Lo scopo finale del lavoro sarà quello di popolare un numero limitato di indicatori di impatto chiave, selezionati sulla base di opportuni criteri ed in grado di fornire un adeguato quadro conoscitivo dei principali effetti che i cambiamenti climatici stanno determinando sul contesto ambientale e socioeconomico italiano.

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Tabella 1 – Esempi di indicatori di impatto utilizzati in ambito europeo (su un campione di paesi: Germania, Belgio, Francia, Spagna, Svizzera ed Europa) Settore

Indicatore

Ambiente alpino e appenninico

Bilancio di massa dei ghiacciai

EEA, Francia, Spagna, Svizzera

Ecosistemi marini

Temperature superficiale del mare

EEA, Francia, Germania, Spagna

Zone costiere

Innalzamento del livello del mare

EEA, Belgio, Francia, Germania

Risorse idriche

Portata dei fiumi

EEA, Belgio

Ecosistemi terrestri

Fenologia animale

EEA, Spagna

Degrado del suolo

Contenuto in humus del terreno arabile

Germania

Dissesto idrogeologico

Eventi alluvionali

Belgio

Agricoltura

Fabbisogno idrico per l’irrigazione

EEA, Germania

Foreste e produttività forestale

Incendi boschivi

EEA, Francia, Germania, Spagna

Ecosistemi di acque interne e di Presenza di specie termofile nelle acque interne transizione

Germania, Spagna

Salute

Ondate di calore e mortalità

EEA, Belgio, Germania, Spagna

Energia

Interruzioni di fornitura elettrica dovuta a cause meteorologiche

Germania

Trasporti e infrastrutture

Incidenti stradali dovuti a cause meteorologiche

Germania

Turismo

Preferenze delle destinazioni di vacanza

Germania

Al fine di evitare ridondanze e duplicati, gli indicatori afferenti ai settori interdisciplinari e rappresentativi di ambiti territoriali, come “Insediamenti urbani”, “Aree alpine e appenniniche”, “Distretto idrografico del Po”, sono stati coerentemente ridistribuiti all’interno dei settori tematici di competenza, in particolare: i. gli indicatori relativi agli “Insediamenti urbani” sono stati redistribuiti in “Risorse idriche”, “Dissesto idrogeologico”, “Salute”, “Energia”, “Zone costiere” e “Trasporti e infrastrutture”; ii. gli indicatori di “Aree alpine e appenniniche” sono confluiti in “Risorse idriche”, “Dissesto idrogeologico”, “Ecosistemi terrestri”, “Ecosistemi di acque interne e di transizione”, “Energia”, “Turismo”; iii. gli indicatori relativi al “Distretto idrografico del Po” sono stati inclusi in “Risorse idriche”. Si precisa, inoltre, che nel caso di alcuni particolari settori quali “Ecosistemi terrestri”, “Ecosistemi marini” e “Ecosistemi di acque interne e di transizione”, per i quali i documenti consultati e le esperienze in corso nell’ambito SNPA non hanno fornito un supporto sufficiente ad operare un’adeguata selezione di veri e propri indicatori, si è optato per l’individuazione di macro-categorie di indicatori.

IdA

2.2. Identificazione di criteri per la valutazione e la selezione di indicatori di impatto prioritari

216

Utilizzo in ambito europeo

Sebbene popolare completamente il set di indicatori individuato potrebbe rappresentare un impreIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

scindibile obiettivo di lungo termine, nell’orizzonte temporale più immediato appare chiara l’esigenza di restringere il campo di analisi ad un sistema di indicatori più limitato: l’applicazione di opportuni criteri risulta necessaria per far sì che l’attenzione venga posta prioritariamente su pochi indicatori, altamente significativi. L’approccio per la definizione dei criteri di selezione degli “indicatori prioritari” ha previsto essenzialmente due fasi consequenziali: a) definizione di criteri per l’individuazione degli impatti chiave; b) definizione di criteri per la selezione degli indicatori prioritari. 2.2.1. Criteri per l’individuazione degli impatti chiave

Prima di chiedersi quale indicatore selezionare prioritariamente ai fini della definizione di un set di indicatori di impatto a scala nazionale, è necessario stabilire un ordine di importanza anche tra gli impatti. Infatti, non tutti gli impatti sono uguali, equamente distribuiti sul territorio, similmente correlati al cambiamento climatico, contemporanei nel manifestarsi sul territorio, omogeneamente probabili, ecc. L’urgenza e la priorità nel trattare dapprima un impatto piuttosto che un altro viene quindi definita sulla base di una combinazione di criteri, da valutare con il supporto della letteratura scientifica disponibile in materia. a) Relazione causa-effetto (EEA, 2017). Questo criterio mira a verificare quanto sia conosciuta e documentata la relazione causa-effetto tra cambia-


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po una opportuna capacità di adattamento (Schneider et al., 2007). I ghiacciai alpini, ad esempio, si stanno significativamente già ritirando ovvero estinguendo nel caso dei ghiacciai più piccoli (Castellari et al., 2014). La scala temporale con cui i cambiamenti climatici modificano l’ecosistema può variare, invece, dai giorni, per quanto riguarda ad esempio l’attività microbica del suolo, all’anno qualora si consideri il flusso di carbonio nell’ecosistema, alle decine di anni relativamente alla modifica della composizione di una comunità, alle centinaia o addirittura migliaia di anni, nel caso dell’adattamento ed evoluzione di una o più specie o associazioni vegetale (Huntley e Baxter, 2003). d) Tasso di accadimento. A seconda del tasso di accadimento si considereranno chiave gli impatti improvvisi piuttosto che quelli destinati a manifestarsi gradualmente, poiché la potenziale capacità di adattamento, sia per i sistemi umani che per quelli naturali, sarà più limitata. Cambiamenti molto rapidi e imprevisti potranno intensificare altre vulnerabilità ed innescare reazioni a catena inaspettate (IPCC, 2007). Ad esempio, impatti improvvisi associati ai cambiamenti climatici sono quelli conseguenti agli eventi meteorologici estremi come le alluvioni, le frane, le valanghe, le inondazioni costiere che possono determinare importanti conseguenze economiche e per la salute umana (SNAC, 2015). e) Persistenza/Reversibilità. Un impatto persistente e, soprattutto, potenzialmente irreversibile (es. fusione di un ghiacciaio, estinzione di una specie, perdita di una cultura unica al mondo) richiederà un’attenzione prioritaria rispetto ad un impatto transitorio e reversibile (es. danni ad infrastrutture ed immobili, interruzione dei servizi di distribuzione energetica e idrica, ecc.), che potrà regredire nel tempo o a seguito di opportune e semplici misure di adattamento (IPCC, 2014). f) Probabilità. Sulla base degli output di modelli in grado di prevedere il manifestarsi di determinati fenomeni, si potrà ipotizzare una maggiore o minore probabilità di accadimento di un determinato impatto, nel caso in cui esso non si sia già verificato. Poiché la probabilità è una componente del rischio, maggiore sarà la probabilità di accadimento dell’impatto, più elevato sarà il rischio ad esso associato e maggiore sarà la necessità di considerarlo tra le priorità. A livello globale, ad esempio, i cambiamenti climatici produrranno con elevata probabilità un incremento del rischio di mortalità e morbilità dovute ad onIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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mento climatico e suo (eventuale) effetto: la relazione può essere scientificamente dimostrata, inconfutabile e talmente forte che specifici cambiamenti climatici vengono chiaramente riflessi nel relativo impatto, cui verrà data massima priorità. In altri casi, la relazione causa-effetto potrà essere meno consolidata dal punto di vista scientifico: alcuni fenomeni, infatti, sebbene innescati da forzanti climatiche, sono la conseguenza di una combinazione complessa di più fattori ambientali, sociali, economici, culturali di cui non sempre è chiara l’interazione. In tal caso, di fatto, non essendo stata ancora riscontrata un’esatta correlazione tra i cambiamenti climatici ed il presunto impatto, saranno necessarie ulteriori azioni di approfondimento. Ad esempio, gli impatti sugli ecosistemi glaciali sono strettamente legati al cambiamento climatico, dal momento che su tali ecosistemi agiscono solo dinamiche naturali: è stato mostrato che le aree proglaciali delle Alpi italiane presentano una risposta analoga e praticamente sincrona del ghiacciaio e della vegetazione, con una notevole accelerazione delle dinamiche nell’ultimo decennio. In particolare, le dinamiche di colonizzazione sono quasi sincrone al trend di ritiro dei ghiacciai (Cannone et al., 2008). Meno chiara è, invece, la relazione in termini di tipologia, intensità, collocazione e frequenza dei fenomeni franosi in risposta al cambiamento del clima (Gariano e Guzzetti, 2016). Tali fenomeni risultano, infatti, dalla combinazione complessa di più fattori non esclusivamente climatici. b) Intensità dell’impatto. Più rilevante sarà l’intensità dell’impatto, maggiore sarà l’urgenza con cui esso dovrà essere trattato. L’intensità di un impatto potrà avere differenti unità di misura a seconda che venga considerato, ad esempio, in termini di potenziale danno economico (es. danni alle infrastrutture di trasporto, agli immobili, ai servizi di distribuzione di energetica e idrica, ecc.), numero di persone colpite (es. morti e feriti per ondate di calore, fenomeni franosi e alluvionali, ecc.), specie a rischio di estinzione (es. specie non in grado di adattarsi ai cambiamenti), risorse perse (es. suolo, acqua, ecc.) (Oppenheimer, 2014; IPCC 2012a). c) Orizzonte temporale. Gli impatti dei cambiamenti climatici non avvengono simultaneamente. Vanno pertanto distinti gli impatti già in corso o che si manifesteranno nel breve termine, e quindi più urgenti, da quelli che potrebbero accadere in un lasso di tempo più lungo, consentendo l’opportunità di costruire nel tem-

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date di calore, ad incendi più intensi e a patologie trasmesse da cibo e acqua (IPCC, 2014). g) Valore delle risorse potenzialmente a rischio. Sebbene non di facile stima, il valore della risorsa potenzialmente a rischio è un ulteriore elemento da considerare qualora risulti necessario stabilire delle priorità: per esempio un habitat unico in cui vivono specie endemiche, rare o minacciate sarà considerato un ecosistema ad elevato valore; oppure, se dalle risorse di un sistema dipende la vita e la sopravvivenza di molte persone, rispetto ad uno stesso sistema collocato in un’area isolata, esso sarà considerato di cruciale importanza (IPCC, 2007).

2.2.2. Criteri per la selezione degli indicatori prioritari

Stabilito il contesto per l’individuazione degli impatti chiave, anche la selezione degli indicatori prioritari dovrà essere effettuata sulla base di opportuni criteri, siano essi generali e specifici. Tra i primi si considerano quelli ormai ampiamente condivisi e previsti dall’approccio SMART (Doran, 1981) che propone la seguente lista di criteri: • S (specific), cioè concreti; • M (measurable), cioè associati a chiari criteri e unità di misura; • A (achievable), cioè realizzabili e realistici; • R (relevant), cioè significativi rispetto a ciò che dovrà essere misurato; • T (time-bounded), cioè accompagnati da una chiara indicazione dei tempi. Appartengono invece alla seconda categoria, i criteri più specifici rispetto alla valutazione di un indicatore di impatto dei cambiamenti climatici. Come sottolineato in Costa et al (2016), è possibile definire un set di possibili criteri che gli indicatori di impatto dei cambiamenti climatici dovrebbero rispettare. Nell’ambito del presente lavoro sono stati identificati i seguenti criteri, definiti sulla base di quelli già in uso presso l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale in merito alla selezione di indicatori (ISPRA, 2017) e di alcuni autorevoli riferimenti in materia (Costa et al., 2016; Hildén e Marx, 2013; EEA, 2017): • Relazione rispetto all’impatto. Il criterio mira a verificare se esiste una relazione documentata tra l’indicatore e ciò che si suppone esso debba misurare. In alcuni casi tale legame esiste sia a livello teorico che sulla base di un’evidenza statistica, in altri casi tale relazione è solo teorica e andrebbe maggiormente dimostrata nei fatti (Costa et al., 2016). Per esempio gli ecosistemi glaciali sono indicatori molto efficaci del cambiaIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

mento climatico, perché sono ambienti soggetti solo a dinamiche naturali, nei quali vegetazione e ghiacciaio sono strettamente legati e rispondono alle stesso input che è il clima (MATTM, 2015). Sensitività. L’indicatore dovrà essere in grado di distinguere differenze significative nelle condizioni del fenomeno da misurare e nei suoi cambiamenti (Hildén e Marx, 2013; ISPRA, 2017). Tempestività. L’indicatore dovrà essere in grado di evidenziare cambiamenti nei sistemi in un lasso di tempo rilevante per i decisori politici e permettere loro di prendere le decisioni più opportune. Un esempio di indicatore tempestivo è il “Bilancio di massa dei ghiacciai” che viene aggiornato annualmente al termine del ciclo fusione/accumulo della massa glaciale, consentendo valutazioni opportune in merito all’andamento del fenomeno (Hildén e Marx, 2013; ISPRA, 2017). Descrizione dell’incertezza. Ai fini di una corretta valutazione dell’impatto è importante che all’indicatore venga associata una descrizione dei fattori di incertezza che potrebbero condizionare l’interpretazione del fenomeno. L’incertezza può derivare dal metodo utilizzato per calcolare l’indicatore o essere associata agli indicatori di base utilizzati per il calcolo. In assenza di simili considerazioni, l’indicatore potrebbe essere erroneamente inteso e quindi non può essere considerato prioritario (EEA, 2017; Hildén e Marx, 2013). Disponibilità dei dati. Questo criterio si riferisce sia alla disponibilità di dati in termini di serie temporali sufficienti a tracciare un trend ed apprezzarne l’eventuale correlazione rispetto al cambiamento climatico (es. serie di almeno 30 anni), sia di dati che abbiano una copertura spaziale sufficiente alla rappresentazione del fenomeno e a supportare politiche nazionali o regionali. Anche l’aggiornamento regolare e frequente dell’indicatore rappresenta un elemento di fondamentale importanza in tal senso (Hildén e Marx, 2013; Costa et al 2016; EEA, 2017; ISPRA, 2017). Ne sono un esempio i dati relativi alla temperatura superficiale del mare: esistono diversi studi di variabilità a lungo termine per il Mar Mediterraneo in cui sono state analizzate serie storiche di dati dal 1904 al 2006, rilevando delle variazioni nella temperatura superficiale nel Mediterraneo Occidentale di +0.85°C, nello Ionio di +0.92°C e nell’Adriatico di +1.45°C (Axaopoulos e Sofianos, 2010). Un ulteriore esempio è dato dall’aggiornamento annuale della serie rappresentativa delle anomalie medie delle temperature dei mari italiani da parte di ISPRA (ISPRA, 2018).


• Utilizzo nel contesto europeo. Questo criterio si basa sul confronto con indicatori proposti sia a livello europeo (EEA, 2017; Hildén e Marx, 2013), sia nell’ambito dei processi di adattamento di alcuni paesi europei, con particolare riferimento a quelli che sono potenzialmente colpiti da simili problematiche e presentano comparabili vulnerabilità. • Affidabilità della metodologia (Hildén e Marx, 2013; Costa et al., 2016; EEA, 2017; ISPRA, 2017). La metodologia utilizzata per l’elaborazione dell’indicatore deve essere scientificamente solida, chiara e replicabile. • Target/rilevanza per i decisori politici (EEA, 2017; Hildén e Marx, 2013). La capacità dell’indicatore di valutare il conseguimento di specifici obiettivi e di verificare il raggiungimento di un target rappresenta un elemento fondamentale nella selezione dell’indicatore, sebbene nella realtà in materia di adattamento non sia ancora condiviso l’uso di veri e propri target quantitativi. In ogni caso è importante che esso sia funzionale al fine di fornire utili elementi alla base dei processi di supporto alle decisioni. • Costi. Il costo di realizzazione dell’indicatore è un ulteriore criterio importante da tenere in considerazione, soprattutto se considerato rispetto alle risorse disponibili per questo scopo. L’obiettivo è quello di far sì che l’indicatore possa essere facilmente realizzato e popolato, monitorato nel tempo sia su scala nazionale che, se necessario, alla scala regionale. • Efficacia dell’adattamento. Il criterio richiede che l’indicatore, oltre a contribuire a colmare i gap conoscitivi esistenti e a fornire utili elementi per la comunicazione e la sensibilizzazione della popolazione, possa essere anche utilmente im-

piegato ai fini della valutazione dell’efficacia delle misure di adattamento. Con tale obiettivo, esso verrà elaborato sia prima dell’implementazione della misura sia successivamente, in modo tale da poterne apprezzare le differenze nel tempo. 3. RISULTATI La Figura 1 e la Tabella 2 riportano i risultati del lavoro fino ad oggi realizzato, relativo alla selezione di un portfolio di “potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici”. Il percorso implementato ha consentito di individuare circa 150 indicatori, suddivisi a seconda dei settori considerati (Castellari et al., 2014a). Come si evince dalla Figura 1 la numerosità degli indicatori per ciascun settore non è costante, passando dai 21 indicatori/macro-categorie del settore “Ecosistemi terrestri” fino all’unico indicatore del settore “Pesca marittima”. Ciò dipende dal livello di complessità del singolo settore, dalla molteplicità delle tipologie di impatto che si possono verificare al suo interno nonché dall’attuale disponibilità di possibili indicatori, ancorché a livello potenziale. La Tabella 2 (da pagina seguente) riporta per ciascuno dei settori individuati a partire dalla SNAC (prima colonna), i diversi impatti attuali/previsti dei cambiamenti climatici cosi come identificati nell’ambito del Rapporto sullo stato delle conoscenze scientifiche su impatti, vulnerabilità ed adattamento ai cambiamenti climatici (Castellari et al., 2014a). La terza colonna riporta la lista dei 148 potenziali indicatori di impatto individuati: con asterisco sono contrassegnati tutti quei casi in cui invece dell’indicatore sono state definite le macrocategorie di interesse che verranno approfondite nel prosieguo del lavoro.

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N. potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici suddivisi per settore 25 20 15 10 5

Figura 1 – Suddivisione per settore dei potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici

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Tabella 2a – Portfolio di potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici per ciascun settore analizzato SETTORE

IMPATTO

INDICATORE Portata dei fiumi Standardized Flow Index Indice alterazione idrologica Siccità fluviali

Modifica/diminuzione disponibilità idriche Modifiche del ciclo idrologico

Stato quantitativo acque di falda Indice utilizzo idrico Snow Water Equivalent Inizio periodo fusione primaverile Runoff a livello di bacino

RISORSE IDRICHE (quantità e qualità)

Peggioramento stato ecologico dell’ambiente acquatico

Temperatura dell’acqua (laghi e fiumi)

Diminuzione della sopravvivenza degli ecosistemi acquatici temporanei

Durata del periodo di stagnazione delle acque stagnanti

Effetti dei cambiamenti climatici sui nutrienti nei corpi idrici superficiali

Livello di inquinamento espresso dai Macrodescrittori per lo stato ecologico (LIMeco) e LTLeco

Effetto sullo stato dei corpi idrici

Indice di Qualità Morfologica (IQM)

Effetti sulla risorsa idrica

Variazioni chimico-fisiche delle sorgenti idriche in alta quota (concentrazioni di ioni metallici e temperatura °C)

Fusione dei ghiacciai

Variazione del fronte glaciale Bilancio di massa

Variazione disponibilità idrica dei grandi laghi

Andamento dei volumi di invaso/rilasci

Magre e siccità

Run method (durata e deficit volumetrico)

Riduzione disponibilità delle risorse idropotabili

Consumo di acqua potabile Carbonio organico nel suolo

DESERTIFICAZIONE, DEGRADO DEL TERRITORIO E SICCITÀ

Riduzione della qualità del suolo

Umidità del suolo Indici di Qualità Biologica del Suolo Salinizzazione dei suoli

Perdita del suolo

Erosione del suolo Pascolo permanente

Modifica della frequenza/distribuzione spaziale degli Numero di eventi franosi per anno eventi franosi Indice di Dinamica Morfologica (IDM) Aumento del rischio idraulico

Numero di esondazioni (in determinate sezioni di bacino); numero di eventi alluvionali Numero di allagamenti urbani Portata massima Stato termico del permafrost

DISSESTO IDROGEOLOGICO

Spessore dello strato attivo del permafrost Area soggetta a permafrost Aumento instabilità della litosfera e pericoli associati

Numero di frane attive o di nuova attivazione in area alto-montana Numero di colate detritiche/processi torrentizi attivatesi in area alto-montana Danni a beni pubblici e privati

Aumento dei danni legati al rischio idrogeologico

Costi legati all’interruzione di servizi di pubblica utilità Stagione pollinica di piante spontanee con diversi periodi di fioritura

Modifica del ciclo vitale (fenologia)

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ECOSISTEMI TERRESTRI

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Andamento fenologico riproduttivo e vegetativo di specie o comunità vegetali selezionate Biomassa degli ecosistemi terrestri Produttività netta degli ecosistemi (NEP)

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Tabella 2b – Portfolio di potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici per ciascun settore analizzato SETTORE

IMPATTO

INDICATORE Tempistica migrazione avifauna

Modifica del ciclo vitale (fenologia)

Modifica del ciclo vitale (fenologia) Aumento di specie aliene/invasive/problematiche

Mis-match interspecifici (sfasamento tra cicli di vita di diverse specie con ripercussioni sulla disponibilità di risorse) Stagione pollinica dell’Ambrosia artemisifolia

Modifica della composizione delle comunità ecologiDiffusione di specie vegetali aliene/invasive che terrestri termofile Aumento di specie aliene/invasive/problematiche Modifica della composizione delle comunità ecologiche terrestri Diffusione di specie animali aliene/invasive Aumento di specie aliene/invasive/problematiche termofile Modifica della distribuzione geografica delle specie Modifica del ciclo vitale (fenologia) Modifica della distribuzione geografica delle specie Aumento di specie aliene/invasive/problematiche

ECOSISTEMI TERRESTRI

Abbondanza, distribuzione e ciclo vitale della Processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa)

Quota limite vegetazione arborea/arbustiva ed estenModifica della distribuzione geografica delle specie sione praterie alpine Modifica della composizione delle comunità ecologiche terrestri Struttura, dinamismo, composizione e distribuzione Riduzione/perdita di habitat e di biodiversità altitudinale di comunità vegetali alpine-appenniniche*

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Abbondanza e distribuzione altitudinale di fauna alpina (vertebrati) * Modifica della distribuzione geografica delle specie- Abbondanza e distribuzione altitudinale di fauna alModifica della composizione delle comunità ecologi- pina (invertebrati) * che terrestri Areali di svernamento degli uccelli* Abbondanza e distribuzione di specie faunistiche particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici* Modifica della distribuzione geografica delle specie

Areali e distribuzione latitudinale di specie faunistiche termofile/mediterranee*

Modifica della distribuzione geografica delle specieAnfibi e rettili: condizioni, areali e abbondanza delModifica del ciclo vitale (fenologia) le popolazioni; tempistica cicli riproduttivi* Modifica della composizione delle comunità ecologiche Modifica del ciclo vitale (fenologia) Modifica della fisiologia

Dati demografici, produttivi e biometrici di avifauna migratoria e nidificante ad ampio areale riproduttivo*

Riduzione/perdita di habitat e di biodiversità Alterazione dei cicli biogeochimici

Torbiere alte attive: estensione e componenti biotiche e abiotiche

Modifica della composizione delle comunità ecologi- Indice di qualità biologica del suolo (QBS-ar, QBS-c) che (pedofauna) e alterazione del suolo e gruppi sistematici indicatori in ambienti di alta quota Alterazione delle caratteristiche e dei processi chimiTemperatura superficiale del mare co-fisici (scambi calore) Alterazione delle caratteristiche e dei processi chimiSalinità co-fisici (evaporazione, apporto acque dolci) Alterazione delle caratteristiche e dei processi chimico-fisici (colonna d’acqua) Frequenza di Brunt Vaisala Alterazione delle reti trofiche marine Alterazione delle caratteristiche e dei processi chimiSpessore aloclino nel periodo primaverile co-fisici (apporti fluviali da scioglimento nevi) ECOSISTEMI MARINI

Alterazione delle caratteristiche e dei processi chimiPortata (altezza idrometrica) alla foce fluviale co-fisici Alterazione delle caratteristiche ottiche delle acque marine Irradianza (PAR) Alterazione delle reti trofiche marine

Alterazione delle caratteristiche e dei processi chimico-fisiciAlterazione delle comunità ecologiche e delle Ossigeno disciolto reti trofiche marine

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Alterazione delle caratteristiche e dei processi chimico-fisici (compensazione carbonati) Alterazione delle comunità ecologiche e delle reti tro- pH e CO2 fiche marine Modifica della fisiologia degli organismi marini

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Tabella 2c – Portfolio di potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici per ciascun settore analizzato SETTORE

IMPATTO

INDICATORE

Alterazione delle comunità ecologiche e delle reti Stima della biomassa planctonica attraverso la fluotrofiche marine (popolamenti planctonici) rescenza indotta (Clorofilla a) Alterazione delle comunità ecologiche e delle reti Nanoplancton calcareo: abbondanza e spessore del trofiche marine (popolamentiplanctonici)/Modifica coccolite* della fisiologia degli organismi marini Alterazione delle comunità ecologiche (fitoplancton) Composizione e spettro dimensionale della compoe delle reti trofiche marine nente autotrofa planctonica* ECOSISTEMI MARINI

Alterazione delle comunità ecologiche e delle reti Areale, copertura e composizione della componentrofiche marine te autotrofa bentonica (macroalghe e fanerogame) * Tropicalizzazione dei mari Presenza di specie termofile aliene (es. pesci, cteAlterazione delle comunità ecologiche e delle reti nofori, molluschi, meduse) trofiche marine Meridionalizzazione dei mari Areali delle specie termofile indigene e delle specie Alterazione delle comunità ecologiche e delle reti troa indole boreale (es. pesci, molluschi, meduse) fiche marine Modifica del ciclo vitale (fenologia)

Curva di volo di insetti che svolgono parte del ciclo vitale in acqua

Rapporto tra entità microterme ed entità termofile Modifica della composizione e delle dinamiche delle all’interno di gruppi tassonomici di invertebrati delle acque dolci comunità ecologiche acquatiche Successioni fitoplanctoniche in ambiente lacustre Presenza, abbondanza e diffusione di specie vegetali aliene in ecosistemi delle acque interne* Modifica della composizione delle comunità ecologiPresenza, abbondanza e diffusione di specie aliene/ che acquatiche invasive/problematiche di invertebrati che compioAumento di specie aliene/invasive/problematiche no almeno parte del loro ciclo vitale in ecosistemi delle acque interne* ECOSISTEMI DI ACQUE Modifica della distribuzione geografica delle specie INTERNE E DI TRANSIZIONE Alterazioni delle caratteristiche ecologiche dei laghi alpini, perdita di biodiversità Modifica della composizione delle comunità ecologiche acquatiche Riduzione/perdita di habitat e di biodiversità Alterazione dei cicli biogeochimici e dello stato termico dei laghi Alterazioni delle caratteristiche ecologiche dei laghi alpini, perdita di biodiversità

Presenza, abbondanza e diffusione di specie vegetali acquatiche microterme*

Profilo sulla colonna d’acqua di O2, T°C, Cond, pH, trasparenza. Durata del periodo libero dai ghiacci

Paleolimnologia/analisi sedimenti lacustri storici e attuali

Estensione, idroperiodo, connettanza degli ecosisteAlterazioni del ciclo idrologico, riduzione/perdita di mi di acque temporanee ecomposizione, struttura e habitat e di biodiversità dinamica dei loro popolamenti (animali e vegetali) * Effetti dei cambiamenti climatici sui singoli Elementi Valutazione degli Elementi di Qualità Biologica di Qualità Biologica (EQB) (valutazione delle specie) (EQB) dei corpi idrici, in riferimento alle specie Ricoveri/accessi alle strutture sanitarie per patologie Incremento della morbilità in relazione alle ondate di attribuibili a onde di calore calore Costi dei ricoveri per patologie attribuibili a ondate di calore Mortalità per esposizione a ondate di calore Incremento della mortalità in relazione alle ondate di Mortalità per cause specifiche in relazione alle oncalore date di calore

SALUTE

Primo accesso alle strutture sanitarie per esposizione Aumento dell’incidenza di allergopatie polliniche in a pollini (incidenza di nuovi casi/diagnosi/per anno) relazione alle variazioni di quantità e distribuzione Variazione della quantità e della distribuzione temtemporale dei pollini allergenici porale dei pollini allergenici Accesso alle strutture sanitarie (ricoveri/accessi al Incremento della prevalenza delle allergopatie polliniche P.S./ambulatori) per riacutizzazione sintomatologia asmatico-allergica Numero di segnalazioni di malattie trasmesse da vettori animali (solo casi endemici)

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Aumento dell’incidenza di malattie infettive da vettore

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Numero di specie vettori Numero di generazioni del vettore

Aumento dell’impatto di frane/alluvioni sulla salute

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Numero di morti/feriti a seguito di eventi franosi e alluvionali


Tabella 2d – Portfolio di potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici per ciascun settore analizzato SETTORE SALUTE

IMPATTO Aumento dell’impatto delle mareggiate sulla salute

INDICATORE Numero di morti/feriti a seguito di mareggiate

Perdita biodiversità/variazione composizione specifica Composizione specifica arborea delle foreste FORESTE E PRODUTTIVITÀ Aumento del rischio di incendio FORESTALE Impatto sulla produttività forestale

Incremento corrente di volume dei sopras suoli forestali Variazione data fioritura frumento

Variazione della stagione utile di crescita

Giorni di crescita effettivi

Variazione delle condizioni per la raccolta

Giorni utili con campi praticabili

Variazione delle condizioni per la semina

Giorni utili per la semina

Riduzione acqua nel suolo

Frazione di acqua disponibile

Aumento del rischio di siccità agricola Incremento della pressione parassitaria Variazione della produttività agricola

Richiesta di acqua irrigua Data di apertura della stagione irrigua Durata della stagione irrigua Deficit traspirativo Numero di giorni con stress idrico Numero di generazioni delle popolazioni di insetti Radiazione globale effettiva Produttività agricola del frumento

Diminuzione locale delle specie ad affinità Composizione delle catture della pesca commerciafredda/Cambiamento di areale di distribuzione di spele/Aumento relativo delle specie ad affinità calda cie target della pesca

Modifica della qualità ambientale nei siti di produzione

Diminuzione della produttività impianti acquacoltura ACQUACOLTURA

Produttività netta degli ecosistemi forestali (NEP)

Variazione del calendario fenologico

Aumento della richiesta idrica AGRICOLTURA E PRODUZIONE ALIMENTARE Variazione della stagione irrigua

PESCA MARITTIMA

Entità degli incendi boschivi – incendi boschivi [potenziale di innesco e sviluppo incendi boschivi]

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Delocalizzazione degli impianti in risposta ai cambiamenti ambientali Mortalità di specie allevate in relazione ad anomalie climatiche Indici di crescita specie allevate Produzione annuale (per alcune tipologie produttive)

Classe e numero dei corpi idrici conformi per la viAumento delle contaminazioni e rischio per la salute ta dei molluschi pubblica Giorni di sospensione della raccolta di molluschi nelle aree di produzione Peggioramento dello stato di salute delle specie alle- Eventi di malattie specie allevate per cambiamenti vate climatici Danni strutturali agli impianti

Domande di sostegno per eventi calamitosi climatici estremi Punta oraria di fabbisogno energia elettrica nei mesi estivi

Modifica dei consumi energetici

Consumi elettrici nei mesi estivi e nei mesi invernali Consumo di energia per raffrescamento e raffreddamento

ENERGIA

Variabilità/diminuzione della produzione energetica

Produzione di energia idroelettrica

Variabilità della produzione energetica

Energia idroelettrica da impianti a serbatoio

Variabilità della fornitura energetica

Interruzioni/indisponibilità di fornitura elettrica dovuta a cause meteorologiche

ZONE COSTIERE

Decremento della potenzialità idroelettrica

Potenziale inflow nei bacini idroelettrici

Variazione del livello del mare

Innalzamento del livello del mare

Variazione del livello del mare/ingressione marina

Erosione costiera

Variazione del clima ondoso/frequenza mareggiate

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Frequenza di condizioni di mare agitato Aumento delle superfici inondate nelle città costiere

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Variabilità della trasmissione e della distribuzione ener- Perdita di trasmissione e di distribuzione di energia getica elettrica

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Tabella 2d – Portfolio di potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici per ciascun settore analizzato SETTORE ZONE COSTIERE

IMPATTO

INDICATORE

Variazione del clima ondoso/frequenza mareggiate

Danni a beni pubblici e privati dovuti a eventi estremi/mareggiate

Modifica dei flussi turistici/spostamento a livello stagionale, con un aumento dell’afflusso di turisti dei mesi caldi estivi verso i mesi primaverili e autunnali/spo- Flussi turistici stagionali sul totale stamento della scelta delle destinazioni turistiche verso maggiori latitudini e altitudini Durata della stagione sciistica (data apertura/chiusura impianti) TURISMO

Modifica dei flussi turistici

Numero di skipass venduti (e introiti €) Numero di contratti di lavoratori stagionali (e costi €)

Modifica della richiesta idrica per produzione di neve Consumo idrico per produzione di neve programprogrammata mata Modifica dei consumi energetici per produzione di ne- Consumo di energia per produzione di neve prove programmata grammata

PATRIMONIO CULTURALE

Perdita di materiale e processi di corrosione

Recessione superficiale per materiali lapidei e metalli

Annerimento

Mappatura delle concentrazioni di particolato atmosferico

Decoesione dei materiali lapidei

Termoclastismo (stima delle tensioni interne dei materiali lapidei)

Biodegrado

Accumulo di biomassa e stima della ricchezza di specie licheniche

Chiusura di una infrastruttura al traffico Aumento dei danni alle infrastrutture e dei disservizi a TRASPORTI E INFRASTRUTcausa di un evento meteorologico estremo/mareggiate Danni alle infrastrutture urbane TURE o di una conseguenza (frane/alluvioni) Danni alle infrastrutture costiere Numero annuo di eventi NaTech occorsi sul territoIncremento degli incidenti e dei danni alle industrie ed rio nazionale originato dagli effetti di un evento meinfrastrutture (gasdotti, oleodotti, ecc) dovuti ad eventeorologico estremo in uno stabilimento industriale ti meteorologici estremi e/o ai loro effetti (es. frane, o in una infrastruttura con coinvolgimento di soinondazioni, fulminazioni, ecc) stanze pericolose INDUSTRIE E INFRASTRUTTURE PERICOLOSE Magnitudo (entità) dei danni a componenti ambienIncremento danni a componenti ambientali e salute tali e salute umana a seguito di incidenti dovuti ad umana a seguito di incidenti dovuti ad eventi meteoro- eventi meteorologici estremi in uno stabilimento inlogici estremi dustriale o in una infrastruttura con coinvolgimento di sostanze pericolose

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4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

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Il portfolio di indicatori fino ad oggi individuato rappresenta un set ideale a cui tendere per un monitoraggio capillare degli impatti dei cambiamenti climatici sul territorio nazionale. Gli indicatori individuati, perlopiù riferiti ad impatti negativi del cambiamento climatico, non vanno intesi come strumenti già consolidati e definitivi, ma piuttosto come un insieme dinamico in continua evoluzione, anche in linea con le nuove evidenze scientifiche che emergeranno nel tempo. Definire un sistema di indicatori di impatto dei cambiamenti climatici rappresenta una sfida scientifica di elevato interesse e utilità ma tutt’altro che semplice e di immediata fattibilità. Le barriere che oggi si presentano sono molteplici e di varia natura. Dal punto di vista scientifico occorre sottolineare che nella maggior parte dei casi i fenomeni che si manifestano sul nostro territorio sono il risultato della Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

combinazione di un insieme di fattori, non esclusivamente di natura climatica. Stabilire quindi quanto pesi la componente legata al clima rispetto alle altre è ad oggi una questione aperta sul piano scientifico, soprattutto per alcuni settori di indagine. Una corretta interpretazione dovrà quindi tenere in considerazione questo aspetto, al fine di evitare di trarre conclusioni errate e attribuire al cambiamento climatico eventi perlopiù derivanti da una vulnerabilità preesistente e dovuta principalmente a fattori di stress di altro tipo, siano essi economici, sociali o territoriali. Un’ulteriore barriera alla realizzabilità di un simile sistema di indicatori è certamente rappresentata dalla disponibilità dei dati. Definire correttamente un indicatore di impatto del cambiamento climatico richiede di poter disporre di adeguate e sufficienti serie temporali di dati e di una copertura spaziale sul territorio, oggi non ancora disponibili per tutti i settori. Quando esistenti, molto spesso le serie temporali sono brevi, discontinue e irregolarmente aggiornate.


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un adeguato sistema di Monitoraggio, Reporting e Valutazione (MRV) che sarà basato su un set di “indicatori di adattamento”, in grado cioè di monitorare sia lo stato di avanzamento di ciascuna azione di adattamento sia la sua efficacia nel tempo. I due sistemi di indicatori in corso di predisposizione, “di impatto” quelli relativi all’iniziativa promossa dal Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale e “di adattamento” quelli di competenza del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nell’ambito del PNACC, dovranno essere coerenti e sinergici fra loro al fine di garantire che la base informativa prodotta dagli indicatori di impatto venga considerata tra gli elementi propedeutici per il sistema di MRV: essa consentirà, infatti, di costruire un quadro conoscitivo sugli impatti dei cambiamenti climatici attuali (baseline) rispetto al quale poter monitorare l’efficacia nel tempo di alcune azioni di adattamento. Con quest’obiettivo, il portfolio di “potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici” verrà valutato attraverso l’analisi dei criteri illustrati e, in linea con quanto già realizzato in ambito europeo (EEA, 2017; OECC, 2012; ONERC, 2010; OFEV, 2007; Umweltbundesamt, 2015; Flanders Environment Agency, 2015), gli indicatori ritenuti “prioritari” verranno successivamente popolati al fine di stabilire la prima baseline di riferimento. L’auspicio è quello di poter costruire una base conoscitiva scientificamente solida, aggiornabile nel tempo e affidabile, che consenta di fornire un valido strumento a supporto delle strategie e dei piani di adattamento ai cambiamenti climatici e di comunicare altresì ai cittadini cosa implica già oggi il cambiamento climatico sul nostro territorio, sulla nostra società, sui nostri stili di vita e sulla nostra sicurezza.

5. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Axaopoulos P., Sofianos S. (2010) Long Term Variability of Sea Surface Temperature in Mediterranean Sea. AIP Conference Proceedings. 1203. 10.1063/1.3322579. Cannone N., Diolaiuti G., Guglielmin M., Smiraglia C. (2008) Accelerating climate change impacts on alpine Glacier forefield ecosystems in the European Alps. Ecological Applications, 18, 637-648. Castellari S., Venturini S., Ballarin Denti A., Bigano A., Bindi M., Bosello F., Carrera L., Chiriaco M.V., Danovaro R., Desiato F., Filpa A., Gatto M., Gaudioso D., Giovanardi O., Giupponi C., Gualdi S., Guzzetti F., Lapi M., Luise A., Marino G., Mysiak J., Montanari A., Ricchiuti A., Rudari R., Sabbioni C., Sciortino M., Sinisi L., Valentini R., Viaroli P., Vurro M., Zavatarelli M. (a cura di.) (2014a) Rapporto sullo stato delle conoscenze scientifiche su impatti, vulnerabilità ed adattamento ai cambiamenti climatici in Italia. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Roma.

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

Nel portfolio sono, inoltre, presenti indicatori oggi non ancora popolati e che richiederanno la messa in opera di nuovi sistemi di monitoraggio, con costi aggiuntivi e risorse da dedicare. Inoltre, le osservazioni relative ai cambiamenti climatici e agli impatti ad essi associati sono sempre accompagnate da un certo livello di incertezza, rendendo le informazioni parziali o imperfette. Per questo motivo si può affermare di conoscere la direzione o l’intensità approssimativa del fenomeno ma non la sua esatta entità. Sono fonti di incertezza, ad esempio, gli errori nella misurazione, le imperfezioni nell’aggregazione dei dati, soprattutto quando la rete di misurazione sia ridotta e l’indicatore presenti ampie variazioni nello spazio e nel tempo, limitazioni dei modelli dovute ad una comprensione incompleta delle componenti del sistema da studiare nonché le loro interazioni e meccanismi di feedback. Il presente lavoro si pone come attività di interfaccia tra la comunità scientifica e il mondo dei decisori politici. Come evidenziato, la messa a punto di indicatori corretti, significativi ed adeguati richiede la disponibilità di chiare evidenze scientifiche, che testimonino prioritariamente la relazione causa-effetto tra i cambiamenti climatici ed il conseguente manifestarsi di un fenomeno, e forniscano altresì rilevanti elementi per la verifica dei criteri sopra menzionati. Naturalmente, migliore sarà la base informativa sul cambiamento climatico ed i suoi effetti, maggiore sarà la possibilità di fornire un più adeguato supporto ai decisori politici per l’implementazione dei processi di adattamento ai cambiamenti climatici. Alla luce di quanto già affermato nella Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici, che evidenziava l’esigenza di rafforzare e standardizzare il sistema di monitoraggio degli impatti dei cambiamenti climatici e di disporre di un set di indicatori a livello nazionale, l’attività promossa dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente si pone l’obiettivo di contribuire a colmare i gap conoscitivi esistenti: ad oggi in Italia non esiste, infatti, un sistema di indicatori omogeneo e standardizzato che consenta una rappresentazione evolutiva nel tempo dei principali effetti dei cambiamenti climatici sulle risorse ambientali e sui settori socio-economici (MATTM, 2017). I risultati di questa iniziativa, e soprattutto i suoi sviluppi futuri, dovranno necessariamente inserirsi e convergere con coerenza nel contesto più ampio che si delineerà con la predisposizione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici (PNACC). Il Piano, infatti, offrirà il quadro di riferimento e gli strumenti necessari per istituire

Comunicazione tecnico-scientifica

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Castellari S., Venturini S., Pozzo B., Tellarini G., Giordano F. (2014b). Analisi della normativa comunitaria e nazionale rilevante per gli impatti, la vulnerabilità e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Roma. Castellari S., Venturini S., Giordano F., Ballarin Denti A., Bigano A., Bindi M., Bosello F., Carrera L., Chiriacò M.V., Danovaro R., Desiato F., Filpa A., Fusani S., Gatto M., Gaudioso D., Giovanardi O., Giupponi C., Gualdi S., Guzzetti F., Lapi M., Luise A., Marino G., Mysiak J., Montanari A., Pasella D., Pierantonelli L., Ricchiuti A., Rudari R., Sabbioni C., Sciortino M., Sinisi L., Valentini R., Viaroli P., Vurro M., Zavatarelli M. (2014c). Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Roma. Costa L., Hildén M., Kropp J., Böttcher, Fronzek S., Swart R., Otto J., McCormick N., Radojevic M., Lückenkötter, Keup-Thiel E., Luojus K., Singh T., Pöyry J., Sanchez E., Juckes M. (2016) Assessing climate impact indicators: Evaluation criteria and observed strengths and weaknesses. Reports of the Finnish Environment Institute 41/2016. Doran G.T. (1981) There’s a S.M.A.R.T. way to write management’s goals and objectives. Management Review 70: 35-36. EEA (2017) Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2016 – An indicator-based report. EEA Report No 1/2017. FAO (2007) Adaptation to climate change in agriculture, forestry and fisheries: perspective, framework and priorities. Interdepartmental Working Group on Climate Change, Rome 2007. Flanders Environment Agency (2015) Climate Report 2015 about observed and future climate changes in Flanders and Belgium. Gariano S.L., Guzzetti F. (2016) Landslides in a changing climate. Earth-Science Reviews, Vol. 162, November 2016, Pages 227-252. Hildén M. e Marx A. (2013) Evaluation of climate change state, impact and vulnerability indicators. ETC CCA Technical Paper 02/2013. Huntley B., Baxter R. (2003). Insights on Synergies: Models and Methods. In: Climate Change and Biodiversity: Synergistic Impacts (Hannah, J.L., Lovejoy, T.E., eds.). Center for Applied Biodiversity Science at Conservation International, 4, 15-23. Washington. IPCC (2014) Climate Change 2014: Impacts, Adaptation, and Vulnerability. Part A: Global and Sectoral Aspects. Contribution of Working Group II to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change. Field, C.B., V.R. Barros, D.J. Dokken, K.J. Mach, M.D. Mastrandrea, T.E. Bilir, M. Chatterjee, K.L. Ebi, Y.O. Estrada, R.C. Genova, B. Girma, E.S. Kissel, A.N. Levy, S. MacCracken, P.R. Mastrandrea, and L.L. White (eds). Cambridge University Press, Cambrdige, United Kingdom and New York, NY, USA, 1132 pp.

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RINGRAZIAMENTI Si ringraziano i colleghi dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale che hanno attivamente contribuito alla definizione del portfolio di “potenziali indicatori di impatto dei cambiamenti climatici”: Dott. ssa F. Aldighieri, Dott. A. Caputo, Dott. V. De Gironimo, Dott. ssa F. De Maio, Dott. M. Di Leginio, Dott. ssa P. Di Marco, Dott. G. Finocchiaro, Dott. T. Fortibuoni, Dott. ssa R. Gaddi, Dott. ssa A. Galosi, Ing. D. Gaudioso, Dott. ssa M. Insolvibile, Dott. ssa I. Leoni, Ing. S. Mariani, Dott. ssa G. Marino, Ing. G. Nardone, Dott. C. Piccini, Ing. A. Ricchiuti, Dott. F. Spina, Dott. A. Trigila, Dott. ssa J. Tuscano, Arch. C. Vicini, Dott. ssa S. Viti.


Ing. Mirko Tremani Eco-Techno srl, Busnago (MB).

La tecnologia dell’evaporazione sottovuoto con fonte energetica termica (vapore o acqua calda), che Eco-Techno ha sviluppato, mira a valorizzare questo calore, definibile come “pregiato”, allo scopo di concentrare soluzioni che possono rivelarsi più o meno problematiche per la loro natura chimico-fisica. L’obiettivo finale e fondamentale è ottenere, attraverso lo sviluppo di un processo in più stadi di evaporazione, la concentrazione di una soluzione per sottrazione del solvente principale (solitamente acqua) ottenendo approssimativamente un chilo di evaporato da ogni stadio dell’impianto, a fronte di un chilo di vapore speso come energia termica, o di un equivalente quantitativo in metri cubi di acqua calda (a titolo di esempio, si vogliono ottenere, da un evaporatore a tre stadi, tre chili di evaporato a fronte di un chilo di vapore speso). Le tecnologie e le tipologie di evaporatori sviluppati dalla nostra azienda sono molteplici. In questo articolo ci focalizzeremo maggiormente sugli evaporatori a circolazione forzata con scambio di calore esterno alla caldaia principale. Essi sono l’applicazione predominante con cui vengono trattate le soluzioni più problematiche cui accennato precedentemente e quando i volumi di evaporato giornalieri richiesti diventano ingenti (Fig. 1 a pagina seguente). Parlando di evaporatori a circolazione forzata con scambio termico, il nucleo della ricerca e dell’ottimizzazione di processo che stiamo protrando è definire le caratteristiche “tipo” che un sistema multistadio di evaporazione deve possedere in ragione delle caratteristiche specifiche del fluido che dovrà trattare: in altre parole delineare quale sia l’assetto migliore (flusso in contro corrente, equicorrente, alimentazioni in parallelo, velocità di circolazione nei sistemi a scambio di calore forzato, pretrattamenti ecc.) affinché il dato prodotto riesca ad essere processato con il migliore dei rendimenti. Una debita premessa da farsi, riguarda la tipologia di liquidi che possono essere alimentati in questo genere di evaporatori.

Per informazioni: Eco-Techno Srl, Via del Lavoro 42, 20874 Busnago (MB), Tel. 039.6095958, e-mail: info@eco-techno.it.

I sistemi a ricircolazione forzata sono nati per processare fluidi “problematici” dal punto di vista dello sporcamento, di possibili sedimenti, di presenza di solidi o sali non disciolti nella matrice solvente. Possiamo distinguere questi fluidi tra: reflui da neutralizzazione e lavaggi, acque ad elevato contenuto salino, generici reflui da trattamento acque, miscele oleose/viscose e miscele con composti volatili organici (e non). Le prime due categorie di prodotti si distinguono per l’avere una elevata concentrazione di ioni destinati a formare, in fase di concentrazione, sali con una solubilità variabile nella soluzione acquosa a seconda della tipologia di composto disciolto e degli effetti della concentrazione di ioni comuni. Le miscele di reflui, per definizione stessa di refluo, sono spesso mutevoli e caratterizzate dall’avere molteplici aspetti, come l’aggregazione dei composti ionici anch’essi presenti nel refluo o la presenza di una matrice fangosa organica che tende a stratificare e complicare la germinazione salina; la scarsa costanza nelle caratteristiche di questi composti rende molto difficile la loro gestione, sia in termini di ripetitività del rendimento di evaporazione, sia in termini predittivi circa il loro comportamento. Le miscele oleose e di prodotti viscosi hanno la caratteristica di essere problematiche da trattare ad elevato grado di concentrazione a causa della natura “densa” del fluido stesso, che porta ad intrappolare le bolle di acqua in evaporazione e peggiorare lo scambio termico. Le soluzioni saline, infine, per quanto più “semplici” dal punto di vista della composizione, spesso risultano problematiche per fenomeni di aggregazione e incrostazioni dovuti ad hot spot nelle apparecchiature, nonché soggette a differenze di temperature di ebollizione più significative. A fronte di ciò, il recupero salino da questa tipologia di reflui è spesso utile poiché è disponibile un mercato di vendita del sale così recuperato, associando all’evaporazione ulteriori trattamenti successivi sul concentrato, come, ad esempio, l’utilizzo di centrifughe, decanter o sistemi di filtrazione (Fig. 2). Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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EVAPORATORI SOTTOVUOTO MONO E MULTIPLO EFFETTO A CIRCOLAZIONE FORZATA

Contributi tecnici dalle Aziende

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0 -0,1 -0,2

Pressione [barg]

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-0,3 -0,4 -0,5 -0,6 -0,7 -0,8 -0,9

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90

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Temperatura fase vapore [°C]

Figura 1 – Evidenziato in rosso il range di funzionamento degli impianti termici mono / multiplo effetto

Più sale la concentrazione più la resa diminuisce. Quando il volume di acqua, o in generale di solvente che possiamo evaporare, diminuisce fino a scomparire, la resa scenderà fino ad annullarsi. Inoltre, nel caso di reflui contenenti solventi bassobollenti (volatili), la resa è superiore a quella nominale con acqua (che costituisce il riferimento in Figura 2) perché le sostanze che hanno un punto di ebollizione inferiore a quello dell’acqua generano una portata superiore a quella dell’acqua. Fatte queste dovute premesse sulle tipologie di applicazione possibili per gli evaporatori a circolazione esterna forzata, possiamo inoltrarci ora ad analizzare diverse problematiche e soluzioni apportabili sugli impianti per ottimizzarli. Il fine è di

ottenere i maggiori benefici sia in termini di stabilità impiantistica che di redditività del processo. La prima decisione da prendere, riguardo l’assetto dell’impianto di evaporazione, è il numero di stadi di cui sarà composto. Per effettuare tale decisione si deve procedere da un lato ad una disanima di tipo economico sui costi gestionali, dall’altro ad uno screening delle proprietà del fluido trattato in relazione alle dettate condizioni di processo che la nostra scelta inequivocabilmente comporterà. Lo studio economico da protrarre dovrà bilanciare questi due principali fattori. Il costo dell’energia utilizzata in termini di evaporazione, definibile costo di gestione, sommato al capitale investito inizialmente per l’acquisto e l’installazione dell’apparecchiatura, dovrà essere relazionato al vantaggio eco-

120 110 100 90 80

Resa (%)

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Concentrazione (%)

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Acqua

Lavaggi

Generici

Emulsioni Oleose

Soluzioni Saline

Miscele con VolaƟli

Figura 2 – Resa % comparata con acqua per diversi liquidi in funzione della % di concentrazione

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Figura 4 – Evaporatore doppio stadio ECO 20.000 DPM2 SE

nomico annuo derivante dalla differenza tra il risparmio da riutilizzo del distillato e il costo legato allo smaltimento dei volumi di concentrato, i quali risulteranno inferiori rispetto al precedente volume di reflui (senza l’installazione dell’evaporatore) e possibilmente caratterizzati da un incremento del potere calorifico dei reflui stessi (fattore positivo nel caso di smaltimento tramite inceneritore). Relativamente ai consumi nominali per impianti a mono, doppio o triplo effetto possiamo considerare questi parametri: per un singolo effetto sono ne-

cessarie mediamente 600 Kcal/kg che scendono a 320 Kcal/kg e a 245 Kcal/kg rispettivamente in un doppio e triplo effetto. Al contrario del fabbisogno energetico che scende all’aumentare del numero di effetti, il consumo elettrico aumenta, dovendo alimentare il doppio o il triplo delle utilities (pompe valvole ecc). Per questo aspetto, possiamo considerare una potenza elettrica assorbita di circa 15 W/kg per un mono effetto, 22 W/kg per un doppio e 30 W/kg per un triplo effetto. In base alle tariffe di mercato dell’energia in Italia, si hanno dei costi

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Figura 3 – Evaporatore mono stadio ECO 130.000 DPM1 SE

Figura 5 – Evaporatore triplo stadio ECO 100.000 DPM3 SE

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complessivi di evaporazione variabili dai 9 ai 25 €/Ton. Va altresì specificato che questi impianti risultano particolarmente interessanti nel caso si vadano a integrare con sistemi di cogenerazione, dato il costante fabbisogno termico molto utile nel caso di una produzione lineare di energia elettrica. Sempre riguardo al dimensionamento, a fronte del numero di stadi economicamente conveniente, si deve poi procedere a valutare se tale configurazione risulta essere applicabile alla tipologia di refluo che si intende trattare. Un numero di stadi crescente richiede la necessità di avere diversi “step” a grado di vuoto più spinto, nei quali sfruttare la differenza di temperatura di ebollizione del fluido dovuta alla variazione della pressione. Tali step dovranno essere calibrati in modo da equilibrare l’apporto di evaporato da ciascuno stadio, dimensionando adeguatamente gli scambiatori di calore dell’impianto. La scelta delle pressioni di ciascuno stadio, tuttavia, determina univocamente la temperatura di esercizio dello stesso e questa ha inevitabili ripercussioni sulle proprietà del fluido trattato, la sua termodinamica e la sua fluidodinamica. Il range di funzionamento di questi impianti è variabile tra una pressione relativa minima di -0.9 Bar e una massima di -0.5 Bar. Ovviamente un impianto mono effetto avrà una maggior flessibilità di un triplo effetto. Consideriamo ora i diversi fluidi citati in precedenza e vediamo come incidono nelle scelte ingegneristiche della migliore tecnologia. Reflui da neutralizzazione e lavaggi (Fig. 6)

to e possono trasformarsi in trascinamenti o nebbie: questi ultimi tendono a inquinare e peggiorare la qualità del distillato. Sempre a seconda della temperatura di trattamento, i reflui da neutralizzazione e lavaggio possono dare origine a cristallizzazioni di sali o ancora al miglioramento/peggioramento della velocità di sedimentazione di corpi solidi presenti. Le acque di lavaggio presentano frequentemente composti quali acidi forti o basi forti molto diluiti, cui si contrappone una frazione salina spesso originata da una base o da un acido deboli, che tende a dare idrolisi. La definizione della temperatura di lavoro per questi fluidi è molto importante, così come l’identificazione di un adeguato sistema di pretrattamento: dalle condizioni scelte si definirà un profilo di pH variabile negli stadi a causa dell’idrolisi associata ai composti elencati e un eventuale presenza di composti acidi o basici nel distillato. Da tutti questi parametri, a loro volta, dipenderà la scelta dei materiali di costruzione dell’impianto. Generico refluo di trattamento (Fig. 7) Quando un impianto si vede “costretto” a trattare un refluo piuttosto generico e mutevole nel tempo, le condizioni di processo e di trattamento definite devono essere elastiche e cercare di tenere conto di eventuali “macro famiglie” di sottoclassificazione dei reflui. Si potrà così assestare l’impianto su dei parametri “standard” che possono poi essere calibrati con una serie di piccole modifiche in relazione alla singola campagna di smaltimento che si sta per intraprendere.

A seconda della temperatura di trattamento, questi reflui possono presentare smiscelazione di una o più fasi organiche e non. La presenza di una emulsione interfasica in fase di evaporazione/ebollizione può comportare difficoltà e cali di rendimenti e, soprattutto, determinare l’insorgenza di fenomeni quali schiume e formazione di bolle che minano il controllo di livello nelle caldaie di trattamenTALQUALE

CONCENTRATO FINALE

Figura 7 – Refluo generico con cloruri e grassi

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Miscele oleose/viscose (Fig. 8)

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TALQUALE

CONCENTRATO FINALE

Figura 6 – Reflui da lavaggi esausti

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Anche in questo caso è importante definire la presenza o meno di più fasi all’interno della miscela da trattare a seconda della temperatura di processo. Definito un eventuale sistema di pretrattamento, volto all’eliminazione di fasi organiche surna-


CONCENTRATO FINALE

Figura 8 – Miscele oleose/viscose

tanti e già presenti in alimentazione all’impianto, è possibile che una parte della frazione organica oleosa tenda a separarsi solo in stadi successivi a quello di alimento, fino ad arrivare a livelli di concentrazioni tali per cui la presenza di acqua è praticamente assente. In queste condizioni la temperatura raggiunta risulta essere di fondamentale importanza, così come il tempo di concentrazione e permanenza del refluo trattato nell’impianto. Alla temperatura, infatti, si correlano densità e viscosità del fluido, con evidenti ripercussioni sul design e le potenze elettriche assorbite dalle pompe di ricircolazione. Oltretutto, maggiore sarà la viscosità del sistema e maggior sarà la difficoltà con cui il calore verrà scambiato. In scarsa presenza di acqua, matrici organiche concentrate possono anche generare degradazione termica dovuta alle alte temperature con formazione di fouling e incrostazioni. Soluzioni saline (Fig. 9) La temperatura svolge un ruolo cruciale all’interno dei sistemi salini, nei quali si intenda inserire anche un sistema di recupero del sale stesso. Alla temperatura è infatti associata la solubilità del sale all’interno dei diversi stadi a seconda del grado di concentrazione raggiunto. Definire questi parametri è importantissimo: un errore di valutazione può portare ad avere eccessiva preci-

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CONCENTRATO FINALE

Figura 9 – Reflui di soluzioni saline

Miscele con composti volatili (Fig. 10) Un capitolo a sé e molto importante è quello delle miscele di reflui che presentino al loro interno una frazione di composti “leggeri”, definiti tali per la loro temperatura di ebollizione alle pressioni di lavoro di impianto molto bassa rispetto a quella dell’acqua. La tensione di vapore di questi composti svolge un ruolo chiave nel bilanciamento e nella resa evaporativa di ciascuno stadio. Questi componenti, per loro natura, tendono a liberarsi molto più facilmente quando si presenta un salto di pressione come quello tra stadio e stadio di un evaporatore a multiplo effetto. A fronte di una maggior facilità a migrare nella fase gassosa, si avrà che queste miscele, alimentate all’impianto di evaporazione, tenderanno a fornire maggiore produzione di vapori nel primo/nei primi stadi, elemento solo parzialmente positivo: le condizioni termodinamiche instaurate possono richiedere temperature più basse per la ricondensazione di tali composti “flashati” in ingresso all’impianto. Per quanto si ottenga quindi una quantità di vapore maggiore, l’impianto potrebbe essere sbilanciato per incapacità di questi gas stessi a ricondensa-

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CONCENTRATO FINALE

Figura 10 – Reflui con sostanze volatili

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TALQUALE

pitazione in stadi precedenti a quello di scarico, con conseguente intasamento di tubazioni e blocco dell’impianto; altresì giungere allo scarico con una concentrazione poco spinta in condizioni di alta temperatura (e solubilità) può determinare uno scarso recupero di sale in termini massivi (fatto salvo di effettuare raffreddamenti per recuperare il sale successivamente in un cristallizzatore) poiché solamente la frazione di sale oltre la soglia di saturazione è recuperabile, con un termine di efficienza legato al sistema preposto a tale recupero che influenzerà e tenderà a diminuire ulteriormente tale rendimento di separazione.

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re a temperature troppo elevate, determinando il trasferimento a stadi successivi di solo calore sensibile anziché del calore latente di condensazione. Questo si traduce in un mancato apporto termico necessario all’evaporazione del fluido nello stadio successivo. L’instabilità così generata da questo genere di composti può determinare sbilanciamenti nel carico termico dei singoli stadi con conseguenti surriscaldamenti o anomalie del sistema di gestione del vuoto, il quale si vede coinvolto nell’aspirazione di gas non condensati in una ragione maggiore rispetto a quanto stabilito in fase di design. Avendo analizzato quanti e quali parametri sono da tenere in considerazione per la definizione del numero di stadi di un impianto di evaporazione, possiamo giungere all’aspetto impiantistico cui abbiamo accennato precedentemente: la tipologia del flusso attraverso l’impianto. Si definiscono due principali assetti di impianto di evaporazione, in serie o in parallelo, i quali poi si differenziano in ulteriori sotto classificazioni dovute al flusso in equicorrente o in controcorrente di prodotto e di vapore generato. Negli impianti in serie a più effetti il prodotto viene alimentato ad un singolo stadio (esempio il primo) e il concentrato scaricato solo dall’ultimo stadio (esempio il terzo), mentre il semilavorato liquido procede di stadio in stadio senza ulteriori scarichi di concentrato intermedi (continuando l’esempio, il prodotto alimentato al primo stadio passa al secondo e quindi al terzo da cui viene scaricato come concentrato). Negli impianti in parallelo, il prodotto è alimentato e scaricato singolarmente in ogni stadio, in modo tale che ogni camera lavori come un’unità a se stante e collabori con le altre per il solo recupero del calore di condensazione dei precedenti effetti (il prodotto alimentato al primo stadio raggiungerà un certa soglia di concentrazione nel primo stadio e da esso verrà scaricato, senza trasferimento di liquido tra stadi). Entrambe le tipologie di impianto (serie o parallelo), come accennato, si differenziano per l’iter che la fonte termica e il flusso di evaporato/ricondensato/cascame termico seguono lungo l’impianto, differenziandosi in equicorrente e controcorrente. In un impianto in equicorrente, prodotto liquido alimentato e vapori generati seguono lo stesso percorso, passando da uno stadio a quello successivo: al progredire della fase semilavorata, il refluo scambia termicamente con i vapori generati in precedenza dallo stadio che ha lasciato, e così via lunIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

go il cascame termico (liquido e vapori del primo stadio sono alimentati al secondo e quelli generati dal secondo, al terzo e così via). In un impianto in controcorrente, il prodotto alimentato e i vapori generati seguono due percorsi opposti, procedendo l’uno dal primo all’ultimo stadio, dal quale verrà scaricato il prodotto concentrato, gli altri dall’ultimo al primo stadio, effettuando il riscaldamento e lo scambio termico con lo stadio precedente a quello di generazione. Nell’impianto in equicorrente abbiamo il trasferimento dallo stadio a più alta pressione a quello a più bassa pressione, da cui il prodotto lascia l’impianto. Questo genere di configurazione è utile qualora si trattino delle soluzioni che siano termicamente instabili e per le quali, ad elevato tenore di concentrazione, si sia riscontrata una problematica di degenerazione del prodotto liquido con formazione di sporcamento o irrimediabile deterioramento delle proprietà del concentrato. Questa è la configurazione più facile dal punto di vista realizzativo e utilizzabile qualora non si abbia una approfondita conoscenza del refluo trattato, sia per penuria di dati termodinamici riguardo lo stesso, sia per variabilità del prodotto in ingresso. Una configurazione di questo tipo è quindi da preferirsi quando si abbiano reflui da trattamenti incostanti a monte. Qualora il refluo trattato presenti un elevato carico di tensioattivi e formazione di schiume, l’alimentazione allo stadio di alta pressione del prodotto può essere un ulteriore vantaggio: l’effetto di flash iniziale risulta essere meno marcato e, quindi, si avrà una formazione di bolle più contenuta in fase di liberazione dei vapori e minore formazione di schiume. Allo stesso modo eventuali composti gassosi disciolti verranno liberati successivamente e per gradi ottenendo lo stesso risultato al crescere del valore del vuoto raggiunto. Nell’impianto in equicorrente si hanno due ulteriori fattori: alimentando il prodotto allo stadio a più alta pressione e temperatura, tutto l’apporto termico necessario al preriscaldo dell’intera corrente trattata deve essere fornito dalla fonte energetica esterna; al contempo il raggiungimento di un grado di vuoto ulteriore di stadio in stadio determina un apporto di evaporato dovuto all’effetto flash che si somma a quanto determinato dallo scambio di calore. Questi due fattori tendono a bilanciarsi. Gli impianti in controcorrente si distinguono, invece, per avere il prodotto alimentato allo stadio a più bassa pressione e temperatura. Questo permette di avere il concentrato nello stadio a più alta tem-


flussi, nonché per il raggiungimento di un grado di concentrazione garantito da un riscaldamento della miscela iniziale. Nel caso in cui si identifichino gas incondensabili disciolti (esempio CO2) o altri composti leggeri, bisognerà effettuare una importante scelta in base alla quantità degli stessi e optare, nel caso di presenza di tensioattivi per una equicorrente e formazione di poche schiume o, in caso opposto, ad una configurazione in controcorrente, la quale permetterà di alimentare il prodotto allo stadio con condensazione derivante da frigorie esterne all’impianto e, quindi, dimensionabile a se stante sia per temperature di scambio che per carico termico, cercando di garantire la condensazione dei composti leggeri o, al più, facilitando lo sfiato degli incondensabili senza determinare bolle di sovrappressione nelle caldaie. Nel caso di soluzioni oleose si potrà optare per operatività in parallelo oppure in serie in controcorrente: nel primo caso si predilige un breve tempo di permanenza nell’impianto, mentre nel secondo si cercherà di mantenere alto il coefficiente di scambio di queste soluzioni viscose e filmanti, operando direttamente sul calore del terzo stadio. Per le soluzioni saline dalle quali si voglia recuperare successivamente del sale, si tenderà ad operare in contro corrente qualora allo scarico sia presente un successivo sistema di raffreddamento e cristallizzazione: operando a più alta temperatura nello stadio concentrato otterremo sì maggiore scambio termico, ma anche una solubilità maggiore del sale e, quindi, una maggiore difficoltà al raggiungimento di condizioni di sovra saturazione. Il mantenimento di alte temperature è ottimale anche per i sistemi salini che prevedono una maggiore solubilità in acqua calda rispetto all’acqua fredda, per evitare la formazione di addensamenti di sale nei punti freddi del sistema. Qualora il recupero del sale sia fatto direttamente dal concentrato dell’evaporatore, al contrario, si preferirà optare per avere lo stadio del concentrato come il più “freddo” del sistema ed operare quindi in equicorrente. Ovviamente, quanto esposto è molto sintetico e ogni sistema, per avere la migliore soluzione, deve essere studiato a sé e ogni singolo fattore è da valutarsi e studiarsi opportunamente. Le linee guida evidenziate, tuttavia, sono le principali discriminanti che possono definire l’iter di questo studio del prodotto da trattare ed indicare gli step successivi volti alla definizione della migliore tipologia impiantistica da implementare. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

peratura dove la sua viscosità sarà quindi più bassa e lo scambio termico migliore grazie ai parametri chimico fisici più favorevoli. Oltre a questo, il principale vantaggio derivante dalla configurazione controcorrente è che lo stadio concentrato, più soggetto a incrostazioni e problemi di fouling, è termicamente alimentato dalla utility esterna, sia essa vapore o acqua calda, ed è conseguentemente più gestibile sia in termini di processo che di automazione e controllo. Consideriamo a tal proposito il comportamento di un impianto in equicorrente: qualora la soluzione concentrata non sia più in grado di evaporare per incrostazioni o altri fattori, si ha il crollo del coefficiente di scambio dell’ultimo stadio. A fronte di questo decremento si avrà una diminuzione del calore scambiato e quindi un aumento dei vapori incondensati nello stadio precedente, con corrispondente aumento di pressione e temperatura. Questo determina, a sua volta, una diminuzione della differenza di temperatura per lo scambio con l’effetto precedente ancora. Quest’ultimo diminuirà anch’esso lo scambio termico e la quantità di evaporato: in sequenza l’effetto si ripercuoterà sugli enne stadi precedenti. L’unico modo per ovviare a questa situazione è modificare la temperatura del primo stadio nel quale viene alimentato il flusso termico esterno, ma questa azione avviene solo dopo che tutto il sistema è andato in “crisi” per il surriscaldamento e l’aumento della pressione. Contrariamente, in un impianto in controcorrente la risposta ad un decremento di scambio all’ultimo stadio risulta immediata e permette una azione correttiva repentina, poiché la gestione di calore, utility esterna e temperatura è legata alla fase concentrata stessa. Gli impianti in parallelo, giusto per completare il panorama, si utilizzano per concentrare soluzioni che richiedano un breve tempo di residenza nell’impianto o per operare con due fluidi distinti tra camere effettuando un recupero termico, quando i tempi di concentrazione tra i diversi fluidi risultino coerenti tra loro. Avendo compreso le diverse tipologie di impianto, possiamo provare ora ad associare le caratteristiche dei fluidi precedentemente analizzati con gli assetti che abbiamo evidenziato. Qualora non si conoscano sufficienti informazioni o il refluo risulti essere incostante e mutevole, la configurazione in equicorrente è la soluzione più indicata, per la maggior semplicità impiantistica e per la stabilità rappresentata dall’appaiamento dei

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233



LCA E VALUTAZIONI ECONOMICHE DEL TRATTAMENTO A SECCO DEI FUMI NEGLI IMPIANTI DI TERMOVALORIZZAZIONE DEI RIFIUTI Nadim Kahalé* La comparazione di 4 differenti schemi di trattamento a secco di fumi da impianti di termovalorizzazione di rifiuti urbani (RU), con singolo o doppio stadio di filtrazione e con utilizzo di bicarbonato e/o calce, permette di apprezzare i vantaggi economici del singolo e del doppio stadio di filtrazione a bicarbonato rispetto al doppio stadio con calce e bicarbonato. Il processo SOLVAir® con bicarbonato permette di rispettare i più severi limiti di emissione negli impianti di trattamento fumi, favorendo il recupero energetico e contribuendo alla sostenibilità ambientale grazie all’uso ridotto del reagente e alla valorizzazione dei prodotti sodici residui, con significativi vantaggi economici.

* Solvay Chimica Italia S.p.A.; www.solvairsolutions.com, nadim.kahale@solvay.com

energetiche fossili e rinnovabili lungo il ciclo di vita del sistema considerato, includendo sia il consumo diretto di energia, sia l’uso indiretto di energia dovuto a materiali, produzione, trasporto, manutenzione e trattamento dei rifiuti. La quantificazione della CED permette inoltre di confrontare i diversi schemi di trattamento secondo i vantaggi economici associati.

Sostenibilità ambientale I fattori chiave che influenzano la sostenibilità ambientale degli impianti WtE sono i seguenti: • i valori di recupero di energia; • le tecnologie disponibili per la rimozione degli inquinanti acidi, generati dalla combustione dei rifiuti; • la rimozione degli ossidi di azoto da parte di un sistema catalitico influenza il profilo di temperatura del trattamento dei fumi (FGT) e di conseguenza l’energia disponibile; • i processi FGT a secco prevengono la formazione di reflui liquidi, che devono essere trattati, comportando alti costi di smaltimento.

Trattamento a secco dei fumi Nei processi a secco un reagente solido viene iniettato nei fumi, favorendo una reazione solido/gas. I prodotti residui solidi così formati vengono raccolti in un filtro (generalmente a maniche) a valle del punto d’iniezione. L’agente neutralizzante può essere bicarbonato NaHCO3 o calce Ca(OH)2. È stata considerata la presenza di un sistema SCR di coda, grazie alla sua capacità di raggiungere vaIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

Il recupero di energia, secondo la Direttiva quadro sui rifiuti (Direttiva 2008/98/CE), è una parte fondamentale della gestione dei rifiuti, mentre lo smaltimento è in ultima posizione nella “gerarchia dei rifiuti” e deve essere considerato come ultima possibilità gestionale. Il recupero di energia è fondamentale per gli impianti Waste-to-Energy (WtE), come pure per gli impianti di combustione biomasse e per altre installazioni industriali quali vetrerie, cementifici, acciaierie, impianti per la fusione secondaria dell’alluminio, ecc. Il processo di combustione dei rifiuti solidi urbani (RU) contribuisce a ridurre la massa e il volume dei rifiuti, preservando così volumi di discarica e il contenuto di energia dei rifiuti stessi (il valore di quest’ultimo è in fase di aumento a causa della maggiore diffusione e applicazione della raccolta differenziata). Lo scopo di questo studio è quello di valutare i carichi ambientali del trattamento termico con recupero di energia dei rifiuti urbani (RU), durante l’intero ciclo di vita del sistema preso in esame, confrontando le diverse possibilità di trattamento a secco dei fumi (FGT). La metodologia applicata per la valutazione dell’impatto ambientale dei sistemi di trattamento fumi è la LCA (Life Cycle Assessment), con definizione degli obiettivi, dell’analisi dell’inventario e del carico ambientale. La valutazione dell’impatto è calcolata in base all’indicatore denominato Cumulative Energy Demand (CED), che misura il consumo di fonti

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Tabella 1 (A e B): Confronto tra differenti configurazioni FGT

Sodium Bicarbonate + AC

A

HRSG

190°C

ESP/FF

180°C

R

180°C

FF

170°C

190°C

SCR

C

190°C

NG

HRSG

190°C

R1

190°C

Q

Sodium Bicarbonate + AC

Lime + AC

B

140°C

HE

FF

180°C

180°C

R2

FF

170°C

190°C

C

SCR

190°C

140°C

HE

NG

Q

Tabella 2 (C e D): Confronto tra differenti configurazioni FGT

Sodium Bicarbonate + AC

Lime + AC

C

HRSG

140°C

R1

140°C

FF

130°C

200°C

C

R2

200°C

FF

190°C

SCR

190°C

140°C

HE

NG

Sodium Bicarbonate

Sodium Bicarbonate + AC

D

HRSG

190°C

R1

190°C

FF

Q

180°C

R2

180°C

FF

170°C

190°C

C NG

lori limite di emissione (ELV) di NOx molto bassi e alla sua adozione sempre più comune. Sono stati ipotizzati diversi profili di temperatura per i due diversi reagenti, come riportato nelle Tabelle 1 e 2, al fine di garantire la conformità con il livello di temperatura idoneo per la rimozione degli acidi e le migliori prestazioni del sistema SCR. Le caratteristiche principali delle soluzioni SOLVAir ® con iniezione a secco di bicarbonato e il trattamento dei residui a base di sodio presso la piattaforma SOLVAL® sono presentate qui di seguito.

IdA

Descrizione del processo SOLVAir®

236

Il bicarbonato di sodio (NaHCO3) viene iniettato a secco nella corrente gassosa dei fumi acidi a temperature superiori ai 130 °C e si trasforma pressoché istantaneamente in carbonato di sodio (Na2CO3), liberando nel contempo acqua (H2O) ed anidride carIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

SCR

190°C

140°C

HE Q

bonica (CO2). Questo rilascio di sostanze in fase gassosa produce due effetti principali: • la molecola di carbonato di sodio appena formatasi è fortemente porosa con una elevata superficie specifica e la sua reattività nei confronti degli acidi è molto grande; • il bicarbonato di sodio subisce una naturale riduzione in peso con una conseguente riduzione del quantitativo di prodotti di risulta da avviare a smaltimento o recupero. Il processo è semplice, ma permette di: • rispettare i limiti di emissione più severi con un eccesso stechiometrico ridotto risultante in un consumo di reagente molto vantaggioso rispetto ad altre tecnologie a secco; • valorizzare i sali residui raccolti sul filtro a maniche in impianti muniti di doppio stadio di filtrazione;


Figura 1: Schema delle caratteristiche principali del processo SOLVAir®

• recuperare energia operando con un DeNOx catalitico a bassa temperatura; • recuperare ulteriormente energia a valle del catalizzatore. Lo schema rappresentato (Figura 1) descrive bene le caratteristiche principali del processo SOLVAir®:

cacia di rimozione degli SOx ed alla temperatura di funzionamento adeguata non è necessario riscaldare i fumi. In particolare è possibile operare senza dover riscaldare i fumi grazie alle ottime performance di rimozione di SO3 e SO2.

Fase u

Uno scambiatore di calore prima del camino permette di aumentare l’energia vendibile aumentando l’efficienza del recupero termico.

Fase v

Il bicarbonato di sodio è iniettato nei fumi per neutralizzare gli acidi presenti, in particolare: • Acido cloridrico (HCl); • Ossidi di zolfo (SOx); • Acido fluoridrico (HF). Il processo permette inoltre, mediante un’iniezione di carbone attivo o coke di lignite, di adsorbire i metalli pesanti ed i microinquinanti organici.

Fase w

I Prodotti Sodici Residui (RSC) risultanti dalla neutralizzazione sono captati dal filtro a maniche, pronti per un riciclo sostenibile. I principali componenti sono: cloruro, solfato, fluoruro e carbonato di sodio.

Fase x

Un sistema DeNOx catalitico permette di ridurre le emissioni di NOx al di sotto dei limiti imposti dalle legislazioni più severe. Grazie all’eccellente effi-

Fase y

Fase z

Il processo SOLVAir® può facilmente essere adattato per rispettare l’evoluzione legislativa dei limiti di emissione. Dallo schema si evince anche che i prodotti sodici residui (RSC) risultanti dal trattamento fumi in impianti muniti di doppio stadio di filtrazione possono essere recuperati e valorizzati, sotto forma di una salamoia satura di sali di sodio, attraverso un processo brevettato da Solvay e applicato industrialmente in Italia (impianto SOLVAL® di Rosignano) e in Francia (impianto RESOLEST® di Dombasle). La salamoia, sottoposta a processi di dissoluzione, filtrazione e rettifica finale, viene quindi depurata, al fine di corrispondere alle specifiche di idoneità per il suo riutilizzo nella produzione di carbonato di sodio. Il processo di valorizzazione dei RSC permette di ridurre drasticamente i residui da conferire in discarica e di recuperare una materia prima da reinserire nei cicli produttivi. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

Per favorire ulteriormente la riduzione ed il recupero dei residui è raccomandata una prima fase di depolverazione prima della neutralizzazione.

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Figura 2: Perimetro del processo per analisi LCA

Analisi LCA L’analisi è stata effettuata con riferimento a RU a valle della raccolta differenziata come da Tabella 3, con una composizione chimica risultante in un potere calorifico inferiore (PCI) di circa 10.544 GJ/Mg. L’output dell’impianto WtE è pari a 50 MWt, corrispondente a un impianto di medie dimensioni. I principali parametri di processo sono riportati in Tabella 4. I seguenti processi sono stati inclusi nell’analisi: • trasporto di RU all’impianto; • produzione di reagenti per il trattamento fumi (FGT); • consumo di gas naturale (NG) per l’aumento di temperatura a monte del SCR; • trasporto e smaltimento di scorie (BA); • trasporto e trattamento/smaltimento di ceneri volanti (FA) e residui solidi di trattamento fumi; • utilizzo di carboni attivi (AC) e ammoniaca. Tabella 3: Materiali e composizione chimica

IdA

Material composition [% in mass]

238

Chemical composition [% in mass]

Paper and cardboard

12.00 C

27.59

Organic matter

33.00 H

4.23

Il conferimento in discarica è considerato l’opzione di base per lo smaltimento delle scorie. Le ceneri volanti e i prodotti delle reazioni della calce con i fumi acidi (prodotti calcici residui RCC) vengono dapprima inertizzati e poi conferiti in discarica, mentre i prodotti della reazione del bicarbonato con i fumi acidi (prodotti sodici residui RSC), raccolti sul secondo stadio di filtrazione, sono valorizzati grazie alla piattaforma SOLVAL®. L’unità funzionale assunta per il confronto è 1 Mg di RU. Il perimetro del processo per l’analisi LCA è riportato in Figura 2.

Analisi LCA: impianto di termovalorizzazione La potenza assorbita dall’impianto rappresenta una parte importante della potenza lorda ed è dovuta principalmente alla gestione della linea di trattamento fumi (FGT). Le emissioni al camino sono riportate nella Tabella 5 (valori tipici riscontrati in molti impianti WtE in Europa), quindi con valori più severi rispetto ai ELV della Direttiva 2000/76/CE. Tabella 4: Parametri di processo

Garden waste

9.00

O

17.39

Thermal power output - plant size [MW]

Plastics

15.00 S

0.04

MSW throughput [Mg/y]

Metals

6.00

N

0.67

Steam maximum pressure [bar]

40

Wood

6.50

Cl

0.26

Steam maximum temperature [°C]

400

Glass

9.50

F

0.004

O2 in the flue gas at the boiler exit [% vol.]

6.5

Textiles

9.00

Ashes

16.46

Flue gas temperature at the stack [°C]

140

Moisture

33.37

Turbine isentropic efficiency

0.78

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

50 135199


Tabella 5: Emissioni al camino ELV – AC NH3 consumption – BA FA production

Directive 2000/76/EC

ELV at the stack

Particulate matter

mg/Nm3

10

30

HCl

mg/Nm3

10

60

2.5

HF

mg/Nm3

1

4

0.05

SO2

mg/Nm3

50

200

7.5

NO2

mg/Nm3

200

400

60

CO

mg/Nm3

50

100

25

TOC

mg/Nm3

10

Cd and Tl

mg/Nm3

0.05

0.025

Hg

mg/Nm3

0.05

0.025

Sb, As, Cr, Co, Cu, Mn, Ni, V, Sn

mg/Nm3

0.5

0.25

PAHs

mg/Nm3

0.01

0.005

PCDDs/PCDFs

ng/Nm3

0.1

0.05

NH3

mg/Nm3

-

5

Specific reagent consumption AC

kg/Mg MSW

NH3

2

20

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5

Specific solid residues production 0.53

BA

0.46

FA

La portata specifica è pari a 6560 Nm3 secco all’11% O2 per Mg di rifiuti. Le concentrazioni acide stimate (mg/Nm3, secco 11% O 2 ) sono le seguenti: HCl 510, SO 2 190, HF 5. Il consumo specifico di reagenti per il trattamento fumi e la relativa produzione di residui, sulla base di dati reali sul campo e con riferimento alle concentrazioni acide nei fumi e ai valori di emissione raggiunti al camino, sono riportati nella Tabella 6 per i 4 diversi casi analizzati (A – B – C – D)).

Analisi LCA: rifiuti e residui Stima delle distanze per l’impianto: • RU 100 km, BA 100 km, FA 650 km. Stima delle attività di trattamento e smaltimento: • BA sono smaltiti in discarica per rifiuti inerti; • FA, FA + RCC/RSC, AC (esaurito) subiscono un

135.7

kg/Mg MSW

32.92

processo di stabilizzazione e vengono inviati a smaltimento/miniere; • RSC, raccolti sul 2° stadio di filtrazione, sono composti principalmente da sali di sodio e possono essere inviati per il recupero alla piattaforma SOLVAL® ad una distanza media di 300 km (i residui finali a valle del trattamento di recupero presso l’unità SOLVAL® vengono inviati a una discarica autorizzata).

Analisi LCA: potenza elettrica e termica Le tabelle 7 e 8 (a pagina seguente) riassumono i risultati in termini di potenza elettrica, termica ed efficienza di conversione, considerando due possibilità di utilizzo del calore recuperato nello scambiatore di calore finale (per il raffreddamento dei fumi da 190 a 140 °C): • caso 1: potenza termica fornita ad un utente esterno;

1° stage

2° stage

RSC/RCC

RSC

Reagent

Excess

Reaction products

AC

Reagent

Excess

Reaction products

AC

A

13.00sb

1.95

8.09

0.53

-

-

-

-

B

8.80li

0.53

4.20sb

0.89

2.75

-

C

8.00li

0.53

4.20sb

0.89

2.75

-

D

7.70sb

0.53

4.00sb

0.69

2.71

-

sb

5.39 4.59 0.00

11.80 10.40 5.37

sodium bicarbonate. li lime.

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

Tabella 6: Consumo specifico di reagenti e produzione di residui (kg/Mg MSW)

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Tabella 7: Potenza termica fornita a un utilizzatore esterno

Tabella 8: Potenza termica utilizzata per il preriscaldo dell’aria di combustione

A

B

C

D

A

B

C

D

Air pre-heating

NO

NO

NO

NO

Air pre-heating

YES

YES

YES

YES

Steam flow rate [kg/h]

51099

51099

53519

51099

Steam flow rate [kg/h]

52987

52987

55406

52987

P gross [kW]

12275

12275

12856

12275

P gross [kW]

12728

12728

13310

12728

P net [kW]

10482

10482

11064

10482

P net [kW]

10936

10936

11517

10936

In-plant consumption [%]

14.61

14.61

13.94

14.61

In-plant consumption [%]

14.08

14.08

13.47

14.08

Q out [kW]

1393

1393

1393

1393

Q out [kW]

-

-

-

-

Q air [kW]

-

-

-

-

Q air [kW]

1393

1393

1393

1393

Q gas [kW]

Q gas [kW]

803

803

2787

803

803

803

2.787

803

η net

0.210

0.210

0.221

0.210

η net

0.219

0.219

0.230

0.219

η net including gas

0.206

0.206

0.210

0.206

η net including gas

0.215

0.215

0.218

0.215

η cog

0.234

0.234

0.246

0.234

η cog

-

-

-

-

• caso 2: potenza termica utilizzata per preriscaldare l’aria di combustione (uso interno). Nelle tabelle: P è la potenza prodotta, Q out è la potenza termica resa disponibile dallo scambiatore di calore posizionato a monte del camino, Q air è la potenza termica utilizzata per preriscaldare l’aria di combustione; Q gas è la potenza termica richiesta per riscaldare i fumi alla temperatura idonea per il sistema SCR o l’iniezione di calce.

Indicatori LCA – CED I risultati di confronto della CED (per Mg MSW) sono presentati nella Tabella 9 per la fornitura di calore all’esterno e nelle Tabella 10 (a pagina seguente) per il preriscaldo dell’aria di combustione. Gli altri processi citati nelle tabelle includono: emissioni al camino, trasporto di RU, produzione di ammoniaca e carboni attivi, conferimento in discarica di BA.

zione, dalla produzione e dal consumo di gas naturale utilizzato per aumentare la temperatura a monte del SCR. Gli impatti evitati sono dovuti essenzialmente al recupero di energia elettrica, al recupero di energia termica e alla gestione dei residui. Il valore totale della CED è negativo per tutti e 4 i casi, il che significa che gli impianti Waste-to-Energy rappresentano un risparmio di risorse energetiche. Le configurazioni A (un singolo stadio di bicarbonato) e D (due stadi di bicarbonato) evidenziano i valori CED più bassi. La configurazione C (calce a 140 °C nel primo stadio) consente un maggiore risparmio dalla produzione di elettricità, ma l’aumento del consumo di gas naturale (NG) è superiore al risparmio di elettricità, portando a un bilancio complessivo più sfavorevole.

Considerazioni energetiche ed economiche Risultati comparativi Gli indicatori CED mostrano l’impatto ambientale causato dalla produzione di tutti i reagenti, dallo smaltimento dei residui del primo stadio di filtra-

I risultati del confronto tra C e D evidenziano che la doppia filtrazione con bicarbonato consente un significativo risparmio di recupero termico di 541 MJ/Mg (circa 150 kWh/t MSW).

IdA

Tabella 9: Cumulative Energy Demand (CED) [MJ/Mg MSW] – external use of the heat

240

Other processes

Avoided electric energy

Avoided thermal energy

Reactant 1° stage

A

628

-6956

-97

57

-

169

-8.0

219

-5989

B

628

-6956

-97

37

18

260

-2.7

219

-5894

C

628

-7343

-97

34

18

248

-2.7

760

-5754

D

628

-6956

-97

33

17

199

-2.6

219

-5959

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

of NG for Reactant Disposal RSC 1° stage temperature Total 2° stage residues valorization increase


Tabella 10: Cumulative Energy Demand (CED) [MJ/Mg MSW] – combustion air pre-heating Other processes

Avoided electric energy

Avoided thermal energy

Reactant 1° stage

A

628

-7258

0

57

-

169

-8.0

219

-6193

B

628

-7258

0

37

18

260

-2.7

219

-6098

C

628

-7643

0

34

18

248

-2.7

760

-5957

D

628

-7258

0

33

17

199

-2.6

219

-6163

Reactant 2° stage

Il risultato meno favorevole è ottenuto da C (calce a 140 °C nel primo stadio). Il recupero di energia elettrica è migliore rispetto alle altre configurazioni, ma la temperatura limitata lungo la linea dei fumi a monte dell’SCR richiede un consumo maggiore di NG che ha un impatto negativo sul valore CED complessivo. Quando il calore recuperato a monte del camino è utilizzato per preriscaldare l’aria di combustione, le prestazioni complessive del ciclo del vapore migliorano, aumentando quindi l’efficienza elettrica e riducendo l’impatto ambientale. I valori della CED vengono quindi ridotti in tutte le configurazioni studiate, ma la valutazione relativa dei 4 casi non cambia. Dai dati presentati si evince che il processo SOLVAir® presenta dei vantaggi economici importanti rispetto alle tecnologie ad umido e anche rispetto alla tecnologia a secco con utilizzo di calce. Particolarmente significativa è la riduzione dell’energia necessaria in combinazione con sistemi catalitici di coda a bassa temperatura. Inoltre l’efficienza del bicarbonato permette una drastica riduzione della temperatura del punto di rugiada acida, rendendo il recupero energetico a valle del catalizzatore effettivamente disponibile. Considerando un indice energetico di 0,031 €/kWh riferito al prezzo del gas naturale per consumi indu-

Disposal of NG for RSC 1° stage temperature Total valorization residues increase

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Solvay_Pubbliredazionali-3-Ecomondo+_Solvay 25/10/2018 10:03 Pagina 241

striali in Italia, i risparmi energetici sono significativi e sono direttamente proporzionali alla taglia dell’impianto. Con riferimento all’impianto qui considerato, nel confronto tra le configurazioni C e D possiamo notare un significativo vantaggio economico (riportato in Figura 3) della soluzione D (doppio stadio a bicarbonato) rispetto alla soluzione C (1° stadio a calce e 2° stadio a bicarbonato), legato alla Cumulative Energy Demand e al costo/gestione dei reagenti e dei residui agli attuali costi di mercato: • circa 250 k€/anno con riferimento alla CED complessiva dell’impianto; • circa 300 k€/anno con riferimento alla gestione dei reagenti e dei residui della linea di trattamento fumi; • il vantaggio economico annuale si aggira quindi attorno a 550 k€. Le tematiche del recupero energetico si integrano anche con la sostenibilità ambientale del processo SOLVAir®, soprattutto in relazione alla valorizzazione dei prodotti sodici residui, che comporta una riduzione di consumo di materia prima naturale e del conferimento in discarica. Le SOLVAir® Solutions contribuiscono pertanto in maniera determinante all’accettazione sociale degli impianti di termovalorizzazione.

IdA

Figura 3: Vantaggio economico D (doppio stadio bicarbonato) rispetto a C (calce + bicarbonato)

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

241


ready for the resource revolution

With 90,000 employees across five continents, SUEZ is a global leader in smart, sustainable resource management. www.suez.com


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www.suez.com https://it.linkedin.com/company/suez 0LOLRQL WRQQHOODWH GL PDWHULH SULPH VHFRQGDULH SURGRWWH

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7:K HQHUJLD ULQQRYDELOH SURGRWWD

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Suez_pubbliredazionale++_SUEZ 25/10/2018 10:04 Pagina 243

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Con 90.000 collaboratori su cinque continenti, SUEZ è leader nella gestione delle risorse intelligenti e sostenibili. Forniamo soluzioni di gestione delle acque e dei rifiuti che consentono alle cittĂ ed alle industrie di ottimizzare le loro prestazioni ambientali ed economiche, in linea con gli standard normativi. SUEZ dispone di processi e tecnologie all’avanguardia, investendo oltre 90 milioni di euro all’anno nella ricerca scientifica per offrire soluzioni sempre innovative. Con il pieno potenziale delle tecnologie digitali e delle soluzioni proposte, il Gruppo recupera 19 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno, produce 4,3 milioni di tonnellate di materie prime secondarie e 6,7 TWh di energia rinnovabile locale. Fornisce anche risorse idriche, offrendo servizi di trattamento delle acque reflue a 58 milioni di persone e riutilizzandone 882 milioni di m3. Nel 2017 SUEZ ha generato ricavi per 15,9 miliardi di euro.

SISTEMI E SOLUZIONI INNOVATIVE PER L’ACQUA ED I RIFIUTI Attraverso un sistema di ricerca e sviluppo multilocalizzato, SUEZ è in grado di affrontare le sfide locali con soluzioni globali. Questo sistema consiste in una rete integrata di centri di competenza, aziende di tecnologie ed utilities che lavorano insieme per promuovere l’implementazione di soluzioni innovative sul campo. Con un personale di oltre 400 ricercatori ed esperti in tutto il mondo, la rete dei centri di competenza globale svolge attivitĂ di ricerca e sviluppo, sostenendo il ciclo dell’innovazione e sviluppando progetti allineati con le prioritĂ strategiche di sviluppo aziendale. Diverse unitĂ geografiche lavorano insieme per affrontare sfide moderne causate da una crescente urbanizzazione, dal cambiamento climatico e dall’evoluzione dei requisiti normativi che i nostri clienti devono rispettare. Esse sono organizzate intorno alle piattaforme

di applicazioni e strumenti ad alte prestazioni per accelerare il test delle tecnologie. I centri integrano anche una rete molto ampia di partner locali tra cui start-up, universitĂ e istituti di ricerca, che forniscono accesso ad esperienze e tecnologie all’avanguardia. SUEZ possiede sei centri di competenza, che lavorano per la gestione innovativa delle risorse: Barcellona, Bordeaux, Parigi, New York, Shangai e Singapore. Il centro di ricerca situato a Parigi (CIRSEE), è specializzato nel settore di produzione di acqua potabile, trattamento e riutilizzo delle acque reflue, riciclo dei rifiuti, gestione e analisi del rischio sanitario e ambientale, sensoristica ed analisi dei dati. Il centro di Competenza di Bordeaux (LyRE) si concentra sulle soluzioni tecnologiche per la gestione dell’acqua urbana piovana e delle fognature, cosĂŹ Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

Ing. Davide Ravezzani (davide.ravezzani@suez.com)

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Suez_pubbliredazionale++_SUEZ 25/10/2018 10:04 Pagina 244

come della modellazione di ingegneria ecologica. Il centro di ricerca locato a Barcellona (Cetaqua), integra partner scientifici nazionali (Università Politecnica della Catalogna - UPC e il Consiglio nazionale spagnolo per la ricerca - CSIC) per sviluppare progetti di ricerca collaborativi incentrati sulla gestione del ciclo dell’acqua. Si completano le suddette esperienze con quelle sull’adattamento delle infrastrutture al cambiamento climatico e studi economici sull’acqua. Grazie alla capacità degli impianti pilota, il centro nordamericano (SUEZ WERCs) è specializzato nella sperimentazione delle tecnologie di trattamento delle acque per clienti municipali e industriali. Situato nel SCIP (Shanghai Chemical Industry Park), il centro di competenza cinese concentra la ricerca e sviluppo su soluzioni innovative per il trattamento di acque reflue generate dalle industrie petrolchimiche. Il centro di innovazione situato nell’Asia sudorientale, mira a ricercare soluzioni innovative per la gestione dei sistemi idrici urbani (lettura automatica del contatore, gestione delle acque temporanee) e il recupero delle acque reflue. Grazie ai progressi raggiunti attraverso la ricerca, SUEZ è in grado di offrire soluzioni a tutti i bisogni del mercato relativo alle risorse idriche ed ambientali:

Progettazione, costruzione Gestione intelligente e e gestione di impianti di sostenibile del ciclo idrico trattamento

IdA

Riciclo e recupero di rifiuti Soluzioni innovative perper produrre nuove risorse, città intelligenti ed eco-sostenibili (Smart City) materie prime secondarie ed energia

244

SUEZ è leader nella progettazione, realizzazione e gestione di impianti municipali ed industriali, nel rispetto dei principi di sicurezza sul lavoro e sostenibilità ambientale. Sin dal 1963 il proprio sforzo è focalizzato nella riduzione delle emissioni in atmosfera, nel riutilizzo di acque depurate a fini irrigui ed industriali e nel riutilizzo di fanghi di risulta a fini energetici ed agricoli, proponendo la massima integrazione ambientale e sociale con minimi costi d’esercizio. SUEZ ha realizzato con successo oltre

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

700 impianti sia in ambito civile che industriale, occupandosi della loro progettazione, realizzazione ed eventuale gestione, in alcuni casi anche con forme di finanza a progetto. SUEZ mette a disposizione dei Clienti il proprio know-how e tecnologie per consentire la transizione da impianti di trattamento a bio-raffinerie, offrendo soluzioni per il recupero di materia (fosforo, azoto, zolfo) e di energia (biometano, calore, energia elettrica), da fanghi e da rifiuti organici (FORSU), nell’ottica di un’economia circolare. In Italia SUEZ è attualmente impegnata in uno dei più importanti progetti: il risanamento ambientale dei Regi Lagni, attraverso l’adeguamento e la gestione degli impianti di depurazione campani di Cuma (1.400.000 AE) e Napoli Nord (890.000 AE). L’esperienza di SUEZ nel settore delle acque si consolida ulteriormente dal 1989 con la gestione del ciclo idrico integrato, in particolare in Toscana nelle zone di Arezzo, Pisa e Firenze ed è inoltre uno dei principali azionisti della multi-utility Acea SpA di Roma (primo operatore idrico in Italia con complessivamente circa 9 Milioni di Abitanti serviti). Le attività toscane nel loro complesso forniscono il servizio del ciclo idrico a circa 2,5 Milioni di abitanti. La continua ricerca di soluzioni tecnologiche applicate alla gestione del servizio idrico per il miglioramento delle prestazioni delle infrastrutture, l’ottimizzazione degli investimenti, la riduzione dei costi ed il miglioramento del servizio, si concretizza per SUEZ nelle Advanced Solutions. Il pacchetto tecnologico comprende l’Ice Pigging, per la riabilitazione delle reti idriche e fognarie attraverso la pulizia con ghiaccio; Aquadvanced, per il risparmio energetico degli impianti, il monitoraggio in tempo reale delle reti di distribuzione idrica e di raccolta reflui; Smart Metering, per l’acquisizione da remoto e la gestione in tempo reale dei dati di consumo e delle condizioni di esercizio dei misuratori nonché per l’attivazione delle smart grid, ove gestire anche dati provenienti da sentieristica diffusa sul territorio, relativa anche ad altri servizi. Il portfolio SUEZ si arricchisce di forniture tecnologiche per l’ozonizzazione, la disinfezione UV e la filtrazione a membrane: garanzia di qualità, affidabilità e risultati. Il settore dei rifiuti, tra cui le attività di smaltimento e recupero rifiuti industriali, si sviluppa con una propria piattaforma polifunzionale estesa su un territorio di 18.500 mq, sita nei pressi di Milano ove vengono conferiti rifiuti industriali che successivamente subiscono un trattamento finalizzato al recupero o all’invio di partite omogenee presso impianti esterni di smaltimento finale. SUEZ, grazie alla


propria struttura tecnico-commerciale e ad un laboratorio interno, è in grado di offrire soluzioni differenziate studiate ad hoc per i propri Clienti (prevalentemente industrie chimiche, petrolchimiche e farmaceutiche), garantendo soluzioni a 360° rivolte a tutte le problematiche dei rifiuti. SUEZ opera sul territorio nazionale attraverso la bonifiche di siti contaminati, in forza di una collaudata esperienza progettuale, una capacitĂ di intervento in cantiere su siti complessi e la sperimentata conoscenza della normativa specifica del settore. L’offerta comprende servizi completi per la riqualificazione di siti contaminati: audit ambientali e caratterizzazione del sito, progettazione dell’inter-

vento di bonifica, consulenza nella gestione dei rapporti con gli Enti durante la fase operativa e conclusiva dell’intervento ed esecuzione delle opere in cantiere. Le attività di bonifica comprendono interventi ex-situ ed in situ, per il trattamento dei terreni direttamente in cantiere con specifiche tecnologie in grado di abbatterne le concentrazioni di inquinanti. La progettazione ed il know-how tecnico uniti all’esperienza maturata nel settore dei rifiuti, rendono SUEZ il partner ideale per i Clienti che necessitano un servizio completo per la realizzazione di impianti di qualsiasi genere e natura per il recupero, trattamento e smaltimento dei rifiuti, ivi compresa la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU).

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Suez_pubbliredazionale++_SUEZ 25/10/2018 10:04 Pagina 245

IL RECUPERO DI RISORSE: SUEZ PHOSPHOGREEN Ing. Davide Ravezzani (davide.ravezzani@suez.com) Il fosforo è una risorsa non rinnovabile che per il 75% proviene dall’estrazione mineraria. L’esaurimento della risorsa è previsto entro 100 anni da oggi: le miniere sono iniquamente distribuite nel mondo e sono causa di importanti crisi geopolitiche. Il maggior utilizzo di fosforo è da ricercarsi nei fertilizzanti, per una percentuale sul totale di circa 80%: la domanda di fosforo quale fertilizzante è stimata in 52,9 Mton/anno nel 2030. Oggi, il 20% della domanda mondiale di fosforo potrebbe essere soddisfatta attraverso il recupero dalle acque reflue.

Il fosfato presente in fase disciolta nelle acque reflue può essere recuperato tramite un processo di precipitazione-cristallizzazione sotto forma di struvite: PO43-+ Mg2++NH4+→MgNH4PO4, 6H2O – MAP. Struvite

Estrazione di fosforo, distribuzione per usi 'HWHUJHQWL

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Il ciclo del fosforo nelle acque reflue

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Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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Suez_pubbliredazionale++_SUEZ 25/10/2018 10:04 Pagina 246

Impianto di Herning (Danimarca)*, 84.000 AE Phosphogreen: principio di funzionamento

Ingresso: Concentrazione di fosforo nei surnatanti: 300 mg/L; Portata surnatanti: 130 m3/g. Uscita: Produzione di struvite ~ 110 t/a (incl.12,5% P)=> Phosphogreen performance: 95%. SUEZ Phosphogreen è un reattore a letto fluido con ricircolo Caratteristiche della struvite: Dimensione granuli: 1÷3 mm; 12.5% fosforo5.5% azoto; interno. Il dosaggio di MgCl2 e NaOH (se necessario regolare pH) costituisce la reazione chimica di formazione della stru10% magnesio. vite, che viene poi estratta dal fondo del reattore. Il sistema si * Realizzato dal partner tecnologico Grundfos, ed in esercizio dal 2013. compone di un airlift per lo strippaggio della CO2 (pH &). Tra le nostre referenze: • Marselisborg, Denmark; 200.000 AE; • Villiers-Saint-Frédérique, France; 42.000 AE; • SausheimMulhouse, France; 490.000 AE.

SUEZ sarà presente giovedì 8 Novembre al 3° evento europeo sui nutrienti presso la fiera di Ecomondo (Rimini) con l’intervento “Phosphogreen for struvite recovery – Suez European case” study”, Sala Neri 2, Hall Sud.

IL BIOMETANO: UNA NUOVA FRONTIERA ENERGETICA PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE

IdA

Ing. Davide Ravezzani (davide.ravezzani@suez.com)

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I fanghi di depurazione, un sottoprodotto del trattamento delle acque reflue, possono anche essere una fonte di energia: dalla loro digestione anaerobica si ottiene il biogas. Il trattamento del biogas produce biometano, una fonte di energia che ha le stesse caratteristiche del gas naturale, con il vantaggio di essere una fonte rinnovabile. Alimentato nella rete del gas naturale, compresso o liquefatto, il biometano è anche un combustibile verde utilizzato in una varietà di veicoli: bioCNG per auto, autobus, camion per la raccolta dei rifiuti domestici; bioLNG per i camion di trasporto. Il decreto del 2 marzo 2018 promuove l’uso del biometano (in particolare avanzato) nel settore dei trasporti, disciplinandone le modalità di produzione, immissione in rete e incentivazione attraverso i CIC (Certificati

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

di Immissione al Consumo). Lo stesso decreto disciplina sia la realizzazione di nuovi impianti che la riconversione degli impianti a biogas esistenti in impianti a biometano. Il soggetto che riceve gli incentivi è il produttore di biometano (Art. 1, c. 5d), cioè il titolare delle autorizzazioni alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto di upgrading. SUEZ, con la linea di prodotti Methanis, offre tutte le soluzioni di upgrading a biometano: • Methanis grid per l’iniezione nella rete gas naturale. • Methanis compressed per l’alimentazione dei veicoli (auto, autobus, camion) sotto forma di bioCNG. • Methanis liquefied per la liquefazione del biometano a bioLNG (e recupero di bioCO2).


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Suez_pubbliredazionale++_SUEZ 25/10/2018 10:04 Pagina 247

1. Produzione di biogas I fanghi di depurazione sono trattati in un digestore per produrre biogas che contiene principalmente metano, CO2 e poche impurità: • riduzione del volume dei fanghi. • stabilizzazione dei fanghi. 2. Produzione di biometano Il biogas passa attraverso un trattamento che permette di rimuovere eventuali impurità e separare il metano dalla CO2: • tecnologia di purificazione del biogas Suez Methanis pluri testata e referenziata. • continuo controllo di qualità del biometano prodotto. 3. Cogenerazione o trigenerazione • auto-sufficienza degli impianti di trattamento. • produzione di elettricità e calore per case ed industrie.

4. Iniezione nella rete gas naturale o compressione a bioCNG SUEZ Methanis Grid Perfettamente compatibile con il gas naturale, copre tutti gli usi domestici e industriali e può essere distribuito in rete: • ridotto spazio di stoccaggio del biogas in loco. • sfrutta il volume di stoccaggio reso disponibile dalla rete. • capacità e flessibilità. SUEZ Methanis Compressed Il biometano compresso, bioCNG, è un carburante utilizzato per veicoli urbani (come ad es. autobus, camion di raccolta rifiuti domestici, veicoli leggeri, camion di consegna locali, ecc.): • una soluzione di trasporto sostenibile. • carburante non inquinante adatto per usi urbani. • una soluzione immediatamente applicabile ai veicoli alimentati a metano.

5. bioLNG e bioCO2 SUEZ Methanis Liquefied Il biometano può anche essere liquefatto usando il processo criogenico per produrre bioLNG: • riduzione del volume di stoccaggio (1.000 volte in meno rispetto al biogas). • energia per unità di volume pari al gasolio. • carburante non inquinante adatto per trasporto a lunga distanza. • il processo criogenico produce anche BioCO2 estremamente pura. • sistema di refrigerazione ecologico. • arricchimento agricolo in serra. • numerose applicazioni industriali.

DA IMPIANTI DI DEPURAZIONE (WWTP) A BIO-RAFFINERIE (WRRF): IL CASO DI BRESSO

Bresso è un impianto di depurazione del Gruppo CAP in cui SUEZ ha costruito l’impianto di upgrade a biometano: il primo in Italia da fanghi di depurazione ad effettuare l’iniezione del biometano in rete. L’upgrade avviene attraverso una filtrazione

a membrane polimeriche. Grazie al recupero dello zolfo elementare a processo di desolforazione biologica, Bresso è il prototipo della bio-raffineria di seconda generazione: dai rifiuti (in questo caso il fango) alla produzione di materia ed energia. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

Ing. Ottavia Burzi (ottavia.burzi@suez.com)

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Suez_pubbliredazionale++_SUEZ 25/10/2018 10:04 Pagina 248

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Lo schema di funzionamento della sezione di upgrading a biometano può essere riassunto nei passaggi seguenti: I. Il biogas in uscita dal gasometro esistente viene pretrattato per la rimozione di H2S mediante scrubber con lavaggio in controcorrente, rigenerazione della soluzione di lavaggio e precipitazione dello zolfo elementare.

II. Il biogas grezzo, ancora saturo di umiditĂ , entra nell’unitĂ di raffreddamento; un separatore consente di eliminare la frazione liquida e quindi il gas è portato in sovrapressione mediante una soffiante. III. Il biogas è quindi inviato ai filtri a carbone attivo installati in lead-lag che eliminano gli inquinanti di interesse (H2S residuo, COV, silossani).

IV. Il biogas cosÏ pretrattato entra nell’impianto a membrane, dove 3 stadi di membrane separano la CO2 dal CH4. V. L’elevata capacità di separazione consente di inviare il biometano ottenuto e conforme direttamente al suo utilizzo finale, senza aggiunta di ulteriori gas come propano o simili.

Offgas

Mbiogas|in CS|in

= 1.150.000 Sm3/y = 50 ppmv MCH4|out = 790.000 Sm3/y

Mbiogas|in CH2S|in

= 1.150.000 Sm3/y = 1.700 ppmv MZolfo|out = 2.160 kg/y

Distanza percorsa = 9.000.000 km/y

Bresso WWTP (Waste Water Treatment Plant) CapacitĂ : 220.000 AE Portata media oraria: 2.550 mÂł/h

IdA

Bresso WRRF (Water Resources Recovery Facility) Qbiogas|design: 120 Sm3/h QCH4|design: 90 Sm3/h Ρprocesso: 99,5% MZolfo|out: 6 kg/d

248

SUEZ sarĂ presente venerdĂŹ 9 Novembre presso la sala Biobased Industry alla fiera Ecomondo (Rimini) con l’intervento “Bresso WWTP case: from municipal sludge to biomethaneâ€?.

Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018


IdA

Energy and resource production Bricks in industrialization

Energy and resource production Current bricks

Quality of life Bricks in industrialization

Quality of life Mature bricks

Nowaday’s WW TP

Wastewater valorization ecosphere

a city with a nice living environment

Bio’Design

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Atmosphere

Photocatalysis

solar, vegetalized

Odor treatment Foul air

Nitrogen / Phosphorus

Secondary

Microblue

quality of li

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Disinfection, micropollutants p i miccroplastics, antibiotic resistance

Micropollutions

Compakbluee, Ultrablue

Tertiary

fe

Cleargreen

Anamox

Compactt secondar seconda y Cyclor, Meteeor Ultrafor Cyclogreen

Real time

Carbone

Com mpact primary

Primary

Wastewater W network

Primegreen Densadeg XRRC

Real time

Sm mart plant

Sludge

Agriculture

Dehydris Ultra

Ultra-Dewatering

rod urce p o s s e r energy and

Fuel high calorific value

Post-lysis of sludge

Evaporis

Drying

Therrmic classic advanced

Dehydris Twist

Upstream lysis

Dewatering

Digelis Digelis Turbo 0RQVDO $GYDQFHG 'LJHVWLRQ

(Co-) Methanization

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Energetic valorization (cement plants...)

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Smart Solutions

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Pubbliredazionale

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a city locally producing energy and resources from wastewater

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Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

249

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Rubriche+_Redazionali 24/10/2018 14:17 Pagina 270

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B4 Stand. 051 Pad.


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Unicalce-Pubbliredazionali-3-Ecomondo+_Unicalce 25/10/2018 10:05 Pagina 251

IL TRATTAMENTO FUMI AD ALTA TEMPERATURA CON DEPURCAL® MG

Numerosi processi produttivi industriali danno origine a fumi di combustione ricchi in inquinanti inorganici e organici, principalmente HCl, SOx, HF, metalli pesanti, diossine e furani, che devono essere quasi completamente abbattuti per rispettare i sempre più restrittivi limiti di legge. Ciò richiede di conseguenza impianti di rimozione complessi e articolati e reagenti chimici sempre più evoluti per permettere di raggiungere le più elevate efficienze di depurazione. Per contribuire in modo efficace all’ottimizzazione del processo di rimozione degli inquinanti acidi, il Gruppo Unicalce ha sviluppato e brevettato una tecnologia, basata sull’iniezione ad alta temperatura di uno specifico sorbente, per rispondere alle esigenze di termovalorizzatori di rifiuti e di numerosi altri comparti industriali: Depurcal® MG. Il reagente Depurcal® MG, chimicamente un idrossido dolomitico appositamente modificato, con caratteristiche chimico-fisiche definite, nasce da un processo produttivo innovativo e attentamente controllato in ogni sua fase. Dal punto di vista fisico, Depurcal® MG è un prodotto polverulento in forma micronizzata pronto all’uso, specifico per essere

iniettato tal quale ad alta temperatura direttamente in forno o in caldaia. Il suo particolare processo produttivo ne garantisce superficie specifica attiva e porosità molto elevate. Iniettato ad alta temperatura, come schematizzato in Figura 1, il prodotto si attiva termicamente dando origine a un reagente estremamente reattivo nell’azione di neutralizzazione degli acidi. La fase di attivazione riduce la massa del reagente di oltre il 20% e la granulometria delle singole particelle; inoltre ne incrementa la superficie specifica attiva e, di conseguenza, la reattività nei confronti degli acidi. Depurcal® MG assicura la sua azione neutralizzante direttamente nei forni di combustione e nelle caldaie di recupero termico, dando avvio al processo di depurazione fumi già a partire dalle zone dove si originano gli inquinanti per poi completarsi nella linea di trattamento fumi (cfr. Figura 2). In tal senso può essere inserito in tutte le tipologie di impianti e di linee fumi esistenti, aumentando la flessibilità del processo di neutralizzazione, con conseguente riduzione dei consumi dei sorbenti convenzionali e concreti risparmi economici. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

IdA

Giorgio Cassamagnaghi

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Fig. 2

Estensione della zona di neutralizzazione degli acidi con Depurcal® MG

1.500 1.450 Temperatura fusione (°C)

1.400 1.350 1.300 1.250 1.200 1.150 1.100 1.050 1.000

F.A. senza Depurcal® MG

F.A. con Depurcal® MG

Fig. 1

IdA

Schema delle fasi di attivazione e neutralizzazione acidi di Depurcal® MG

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Fig. 3

Temperature di fusione di campioni di fly ash in funzione della presenza/assenza di Depurcal® MG

In virtù della sua elevata reattività, Depurcal® MG richiede dosaggi pratici nell’ordine di 4-6 kg per tonnellata di rifiuto incenerito, che corrispondono a fattori stechiometrici molto contenuti e quantificabili in un range compreso tra 0,8 e 1,2. A dimostrazione della specificità del reagente, Depurcal® MG garantisce riduzioni delle concentrazioni del 30-40% per l’HCl, del 60-70% per l’SO2 e dell’80-90% per l’HF, prestazioni più che rilevanti se si considera che la neutralizzazione avviene solo in fase di trasporto nella corrente dei gas e con tempi di contatto limitati a qualche secondo. Le performance sopra riportate, emerse in prove sperimentali e utilizzi continuativi presso numerosi impianti, rendono la tecnologia Depurcal® MG estremamente interessante non solo nella termovalorizzazione dei rifiuti ma anche in altri comparti industriali quali il termoelettrico, la vetreria, la produzione di cemento e dei laterizi. La riduzione del carico inquinante medio e l’attenuazione dei picchi di acidità dovuti all’eterogeneità del rifiuto, estremamente importante data la

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presenza sempre più frequente di particolari inquinanti quali zolfo e fluoro, permette di ridurre i dosaggi dei principali reagenti sodici o calcici utilizzati nelle linee fumi, con risparmi fino al 4050%. Nel caso di utilizzo dei costosi sorbenti sodici, l’adozione di Depurcal® MG ottimizza notevolmente il processo e abbatte in maniera cospicua i costi di gestione totali dati dall’acquisto dei prodotti e dallo smaltimento dei residui. Per quanto riguarda i costi di gestione, infine, è importante sottolineare che il dosaggio di Depurcal® MG non comporta un aggravio delle quantità complessive di residui prodotti, sommando quelli provenienti dalla neutralizzazione ad alta temperatura e dalla linea fumi, nel caso di impianti che utilizzano sorbenti sodici al filtro a maniche, mentre possono essere addirittura ridotti nel caso di impianti che adoperano reagenti a base calcio nella linea di trattamento fumi tradizionale. L’utilizzo del prodotto è semplice e immediato: l’impiantistica necessaria è costituita da un silo di stoccaggio, un sistema di estrazione e dosaggio e un trasporto pneumatico.


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Fig. 4

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Curve granulometriche di campioni di fly ash con e senza DepurcalÂŽ MG

Oltre agli effetti di neutralizzazione, la tecnologia DepurcalÂŽ MG contribuisce a ridurre i fenomeni di sporcamento delle superfici di scambio termico delle caldaie. I rifiuti inceneriti nei termovalorizzatori o il carbone alimentato alle grandi centrali termoelettriche contengono concentrazioni importanti di zolfo, cloro, metalli alcalini e alcalino-terrosi e metalli pesanti. Questi elementi sono trasportati, insieme con il particolato originato nel processo di incenerimento, nei gas di combustione e formano depositi su evaporatori, surriscaldatori ed economizzatori nelle caldaie. L’accumulo dei depositi comporta la riduzione delle capacitĂ di scambio del calore e può generare corrosione ad alta temperatura di alcune parti della caldaia. Numerosi studi scientifici mostrano come i depositi siano per lo piĂš costituiti da sali acidi di elementi quali calcio, potassio e sodio caratterizzati da punti di fusione relativamente bassi. Un ausilio alla riduzione dei problemi di sporcamento dei banchi di scambio termico viene dall’introduzione di additivi ad azione antincrostante che legandosi alle ceneri di caldaia ne innalzano il punto di fusione e riducono la consistenza dei depositi. DepurcalÂŽ MG, grazie alla sua composizione chimica e all’elevato rapporto magnesio/calcio, si rivela particolarmente efficace nell’innalzare il punto di fusione delle ceneri e nel renderle quindi piĂš fragili e friabili, meno tenaci e piĂš facili da asportare con i normali sistemi di pulizia delle caldaie (martelli, soffiatori ad aria o vapore, ecc.). Analisi di laboratorio effettuate su campioni di ceneri con e senza DepurcalÂŽ MG mostrano infatti temperature di fusione molto differenti tra loro, come si vede dalla Figura 3, che riporta le temperature di fusione di campioni di fly ash di un inceneritore di rifiuti in assenza e in presenza del reagente.

Fig. 5

Fly ash di caldaia con iniezione di DepurcalÂŽ MG (a sx) e senza iniezione (a dx)

Il confronto tra questi campioni di ceneri di caldaia mostra differenze evidenti anche nell’aspetto fisico. La Figura 4 e la Figura 5 illustrano rispettivamente le curve granulometriche e l’aspetto di due campioni di fly ash con e senza utilizzo del reagente iniettato ad alta temperatura: le ceneri trattate con DepurcalÂŽ MG (curva in colore blu di Figura 4) sono piĂš fini di quelle ottenute in assenza del reagente (curva in colore rosso di Figura 4) e mostrano un aspetto simile a una sabbia (Figura 5-sx) priva di aggregati grossolani e compatti, normalmente presenti nelle fly ash non trattate con DepurcalÂŽ MG (Figura 5-dx) . Il Gruppo Unicalce grazie alla struttura Ricerca e Sviluppo, ad un team di tecnici esperti, al supporto di laboratori di analisi e all’ausilio di moderni impianti pilota per la conduzione di prove e sperimentazioni su scala industriale, ha maturato una notevole esperienza nel settore della termovalorizzazione dei rifiuti ed è in grado di fornire ai gestori degli impianti e alle societĂ di ingegneria l’assistenza tecnica per ottimizzare il sistema di stoccaggio e movimentazione dei suoi prodotti oltre che i consumi specifici di reagente. Unicalce SpA – MKTG R&S – Via Tonio da Belledo, 30, 23900 – Lecco (LC) – Tel. 0341.2571 – Fax 0341.257282 E-mail: mktg@unicalce.it. Web: www.unicalce.it.

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L’azienda mette la sua esperienza, ormai da tempo consolidata, nella progettazione e costruzione degli impianti a disposizione del cliente che deve risolvere problemi di inquinamento e protezione dell’ambiente. Echosid srl interviene su tutto il territorio nazionale.

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Tra i più importanti clienti annovera: Hera S.p.A. – Bologna; Acque Bresciane (già AOB2 S.p.A.); ASA S.p.A. – Livorno; Amiacque s.r.l. – Milano; CAP Holding S.p.A. – Milano; Lario Reti Holding S.p.A. – Lecco; Padania Acque S.p.A. – Cremona; Marche Multiservizi S.p.A. – Pesaro; Comune di Ferrara; Nuove Acque S.p.A. – Arezzo; Metropolitana Milanese S.p.A.;

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Aset Servizi S.p.A. – Fano; Acquedotto Pugliese S.p.A. – Bari; Acque Venete S.p.A. – Monselice (PD) – Monselice (PD); Talete S.p.A. – Viterbo; Cordar S.p.A. – Biella; Acque Vicentine S.p.A. – Vicenza; Azienda Multiservizi Valenzana S.p.A. – Valenza (AL); Acqua Novara VCO S.p.A. – Novara; CADF S.p.A. – Codigoro; Azienda Servizi Integrati S.p.A. – Jesolo (VE); Consorzio della Bonifica della Romagna – Ravenna; Comune di Adria (RO); Acque Veronesi – Verona; Verbano S.p.A. – Varese; Acegas Aps Amga S.p.A. – Trieste. Gli impianti di trattamento a servizio delle fognature urbane sono stati costruiti seguendo lo


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Echosid Ingegneria e Impianti S.r.l. Via Ravalli 12 – 44124 Gaibanella (FE); unità locale di Milano: viale Molise, 69 – 20137 Milano Tel. +39 0532.762223, Fax +39 0532.711703. E-mail: echosidsrl@echosid.it; www.echosid.com.

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schema di processo tradizionale, con la linea di liquami composta da pretrattamenti, ossidazione, ricircolo, sedimentazione finale, trattamenti terziari, disinfezione e la linea fanghi composta da inspessimento, stabilizzazione e disidratazione. Nell’arco degli anni sono stati utilizzate tutte le tecnologie che l’evoluzione tecnica ha messo a disposizione. Parallelamente agli interventi di tutela ambientale nell’ambito della depurazione dei liquami, la nostra società ha sviluppato la propria attività anche nel settore della potabilizzazione delle acque. L’origine delle acque e la conoscenza delle caratteristiche chimiche e batteriologiche delle stesse, comparate alle caratteristiche richieste per il loro utilizzo ad uso potabile, compongono gli elementi di base per definire i necessari cicli di trattamento.

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CONSORZIO NAZIONALE PER LA GESTIONE, RACCOLTA E TRATTAMENTO DEGLI OLI MINERALI USATI

conou.it 800863048

Operativo dal 1984, il CONOU è il primo ente ambientale nazionale dedicato alla raccolta differenziata di un rifiuto pericoloso ed è tra i principali operatori della Green Economy in Italia. Nato come Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati (COOU), si è trasformato in Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati (CONOU), così come previsto dal Testo Unico Ambiente (D.Lgs 152/2006).

Gli oli lubrificanti usati Gli oli usati sono ciò che si recupera alla fine del ciclo di vita dei lubrificanti. In funzione delle caratteristiche applicative e delle destinazioni d’uso, una parte di olio viene consumata nell’utilizzo, mentre la restante costituisce l’olio usato. Definito dalla legge “rifiuto pericoloso”, l’olio usato, se eliminato in modo scorretto o impiegato in modo improprio, può trasformarsi in un potente agente inquinante: basti ricordare che, se versati in acqua, 4 chili di olio usato possono inquinare una superficie grande come un campo di calcio. Ma l’olio usato è anche un’importante risorsa economica per il nostro Paese, infatti può essere rigenerato tornando a nuova vita con caratteristiche simili a quelle del lubrificante da cui deriva. In 34 anni di attività, il 98% dell’olio raccolto dal CONOU è stato classificato come idoneo alla rigenerazione per la produzione di nuove basi lubrificanti, mentre il 2% è stato avviato a combustione in appositi impianti quali, ad esempio, i cementifici. Solo una frazione molto piccola, in quanto irrimediabilmente inquinata, è stata termodistrutta.

tumi. In 35 anni di attività, il CONOU ha raccolto 5.7 milioni di tonnellate di olio lubrificante usato, 5.1 milioni delle quali avviate alla rigenerazione: il riutilizzo dell’olio lubrificante usato ha consentito un risparmio complessivo sulle importazioni di petrolio del Paese di 3 miliardi di euro. La rete di raccolta Il Consorzio si avvale di una rete di raccolta costituita da 71 aziende, dislocate su tutto il territorio nazionale, che con i loro automezzi raccolgono gli oli usati e li stoccano nei depositi. Il servizio di raccolta è gratuito per il produttore di lubrificanti usati non inquinati da altre sostanze. Chiunque, telefonando al numero verde del Consorzio, 800 863 048 o collegandosi al sito www.conou.it, può avere informazioni e il recapito del raccoglitore più vicino.

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Risultati operativi del Consorzio Nel 2017 il Consorzio ha raccolto oltre 183mila tonnellate, un risultato vicino al 100% del potenziale raccoglibile. Di queste, 181mila tonnellate sono state avviate a rigenerazione, consentendo la produzione di 112mila tonnellate di basi rigenerate e oltre 50mila tonnellate di oli leggeri, gasoli e biIngegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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Il CONOU e Confindustria Negli ultimi anni, i progressi tecnologici nel settore Automotive fanno sì che le automobili abbiano intervalli di manutenzione e di consumi specifici di lubrificante ridotti rispetto al passato: grazie alle nuove tecnologie motoristiche e al miglioramento nella formulazione dei lubrificanti, l’olio motore immesso al consumo è destinato a ridursi. Contemporaneamente, sul fronte delle aziende industriali lo scenario è completamente diverso: in questo settore il quantitativo di olio usato raccoglibile avrà un peso percentuale crescente. Per questo motivo il CONOU ha ideato la campagna itinerante di sensibilizzazione CircOILeconomy, rivolta alle aziende produttrici di olio minerale usato. L’attività di informazione-formazione avviata dal Consorzio al fine di migliorare la raccolta e la qualità dell’olio avviato alla rigenerazione, vedrà la partecipazione di Confindustria, che fornirà supporto mettendo a disposizione le sedi territoriali e invitando i propri associati ai workshop in calendario. In collaborazione con le rappresentanze di Confindustria a livello regionale saranno organizzati dei seminari della durata di mezza giornata. Saranno invitati a partecipare: • rappresentanti e responsabili ambiente dei maggiori produttori di oli usati; • associazioni di categoria del mondo delle imprese; • istituzioni competenti (assessorati all’ambiente, Arpa, Capitanerie di Porto, Albo Nazionale Gestori ambientali, NOE); • consulenti giuridici ambientali; • concessionari CONOU; • aziende di rigenerazione; • stampa nazionale e locale. Il road show partirà a fine 2018, proseguirà per il biennio 2019/2020 facendo tappa in tutte le regioni d’Italia e sarà ospitato presso le sedi territoriali di Confindustria. Progetto “brand reputation” Il CONOU, per far sentire le aziende che producono olio lubrificante usato parte attiva della filiera dell’economia circolare e renderle protagoniste di un sistema efficiente e competitivo, con il progetto “CircOILeconomy”, offre alle imprese che diventano ‘ambasciatori’ di buone pratiche di gestione di un rifiuto pericoloso, vantaggi sotto forma di brand reputation, affidabilità e nuove opportunità di business. Tra gli obiettivi anche quello di comunicare i benefici economici della qualità della raccolta, che contribuisce a mantenere stabili i costi di produ-

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Copia esclusa dalla vendita

NUMERO SPECIALE 2017

www.limpresaonline.net

IL VALORE ECONOMICO DEL RECUPERO

LA NORMATIVA AMBIENTALE SUGLI OLI MINERALI USATI

A fine 2017 il CONOU ha pubblicato il pocket book “La normativa ambientale sugli oli minerali usati” a cura di Paola Ficco. La pubblicazione con gli aggiornamenti normativi sulla gestione degli oli minerali usati è il primo strumento messo a disposizione dei detentori professionali, per sostenerli nella corretta conservazione dell’olio lubrificante usato.

zione dell’olio base e di conseguenza a evitare che aumenti il prezzo d’acquisto per i consumatori. Il progetto sarà presentato giovedì 8 novembre durante la fiera Ecomondo di Rimini, all’interno dello stand CONOU, nell’ambito di un convegno nazionale aperto alla stampa (vedi box a fianco). Saranno invitati a partecipare i rappresentanti di Confindustria ed in particolare quelli delle divisioni regionali, le aziende e i consulenti giuridici ambientali di cui il progetto si avvarrà. Nella stessa cornice di Ecomondo si svolgerà anche la prima tappa del road show, in collaborazione con Confindustria Emilia Romagna, per incontrare i detentori professionali e rispondere ai quesiti delle aziende circa la corretta gestione dell’olio usato. Il secondo incontro si svolgerà lunedì 10 dicembre presso la sede Confindustria Veneto di Porto Marghera.

Logo della campagna di informazione rivolta ai detentori professionali


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Fiera Ecomondo di Rimini Stand CONOU – Padiglione HALL SUD Programma Giovedì 8 novembre Ore 10.00-11.30 Il nuovo Consorzio si presenta: Green Economy Report 2017 Andrea Barbabella, Fondazione Sviluppo Sostenibile, presenta il Green Economy Report CONOU 2017 Intervengono: Salvatore Micillo, Sottosegretario Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare (in attesa di conferma)

Coordina: Laura Bettini, conduttrice radiofonica Radio 24 Giovedì 8 novembre Ore 14.30-15.30 CONOU e Confindustria per le imprese Saluto: Paolo Tomasi, Presidente CONOU Intervengono: Andrea Bianchi, Direttore Politiche Industriali di Confindustria Francesco Ferrante, Vicepresidente Kyoto Club Riccardo Piunti, Vicepresidente CONOU Coordina: Gabriele Masini, Direttore Staffetta Quotidiana Ore 15.30-17.00 CircOILeconomy. La corretta gestione dell’olio lubrificante usato in azienda. Workshop. Intervengono: Paola Ficco, Giurista ambientale Gianluca Rusconi, Responsabile Area Ambiente ed Energia Confindustria Emilia Romagna

Franco Barbetti, Direttore tecnico CONOU Venerdì 9 novembre Ore 9.30-11.30 Il Consorzio sarà a disposizione delle aziende, per incontri “one to one” e chiarimenti su eventuali problematiche relative alla detenzione di olio lubrificante usato e alle procedure di stoccaggio.

Anche quest’anno allo stand CONOU un maxi schermo e 5 postazioni accoglieranno gli studenti che animano Ecomondo con il loro entusiasmo e la loro curiosità verso tutto ciò che è innovativo, coinvolgente, stimolante e soprattutto utile. I giovani si divertiranno e impareranno, indossando i panni del supereroe dell’ambiente Oil Buster, a lanciarsi nella sfida di raccogliere l’olio usato a difesa dell’ambiente e del proprio territorio.

Dopo l’incontro istituzionale e il dibattito, il Consorzio sarà a disposizione delle aziende, per incontri “one to one” e chiarimenti su eventuali problematiche relative alla detenzione di olio lubrificante usato e alle procedure di stoccaggio. Potranno essere fissati degli incontri presso le industrie che ne faranno richiesta, per consulenze a supporto delle necessità aziendali. Durante l’incontro, verranno trattati i seguenti argomenti: Il CONOU • Gli stakeholder della filiera degli oli usati – La governance del CONOU – L’Assemblea del CONOU, oltre 750 imprese. L’impresa e gli oli usati • Acquisti lubrificanti da parte degli imprenditori – Produttore/detentore degli oli usati – Il deposito temporaneo c/o il produttore – Obblighi dei produttori di oli usati – Classificazione e caratterizzazione degli oli usati. La filiera CONOU • La rete di raccolta nazionale – La logistica consortile – La raccolta di olio usato – Rapporto raccolta/immesso in consumo – La raccolta degli oli usati nelle aree geografiche del paese – Andamento della micro-raccolta 2014-2017. La filiera CONOU sul territorio • La rete di raccolta regionale – La raccolta per regione. Il CONOU esempio di economia circolare • I risultati 2017 – Olio usato potenzialmente recuperabile – Olio usato raccoglibile e raccolta effettiva. Quantità e qualità degli oli usati • Il coinvolgimento dell’industria nella filiera consortile. Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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Alessandro Bratti, Direttore Generale ISPRA Stefano Ciafani, Presidente Legambiente Paolo Tomasi, Presidente CONOU Marco Frittella, Anchorman TG1 Aziende del Sistema Consorzio

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Il Gruppo KSB, nato nell’anno 1871, è fornitore mondiale di pompe, valvole e sistemi all’avanguardia per il trasporto di fluidi. Fornisce un’ampia gamma di prodotti e servizi di qualità per innumerevoli applicazioni, ad esempio: per il settore civile, per i processi industriali, per il settore energetico, per l’estrazione, il trattamento e il trasporto di acqua e acque cariche, per gli impianti tecnologici e per il settore estrattivo. Grazie alla sua presenza capillare, è in grado di offrire un’assistenza completa durante l’intero ciclo di vita del prodotto e soddisfare al meglio le esigenze del cliente con soluzioni personalizzate. Il Gruppo è presente in tutti i continenti con società commerciali, stabilimenti produttivi e centri service. Dal 1925 la società KSB Italia S.p.A. opera sul mercato e rappresenta in Italia gli interessi del Gruppo.

scelto, ed è possibile scegliere la forma dei serbatoi di raccolta tra tre modelli: semicircolare, circolare e compatto. In particolare, per quanto riguarda i dati tecnici relativi alla versione semicircolare standard, la portata massima in ingresso è di 200 m3/h e la prevalenza massima è di 85 m (Figura 1, prestazioni maggiori su gruppi speciali a richiesta).

Figura 1

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KSB AmaDS³ L’innovativa stazione di pompaggio delle acque reflue KSB AmaDS³, dotata di un sistema integrato di separazione dei solidi, viene impiegata nelle stazioni di sollevamento e smaltimento delle acque reflue civili e industriali.

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Caratteristiche costruttive I principali elementi che compongono la stazione di pompaggio KSB AmaDS³ sono i seguenti: due gruppi pompa, due separatori dei corpi solidi dalle sostanze liquide ed un serbatoio di raccolta in acciaio inossidabile con chiusura ermetica impermeabile ed anti-esalazioni. Esistono diverse modalità di funzionamento ottenibili a seconda del motore

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Funzionamento L’alternanza tra la fase di riempimento e la fase di pompaggio, che avviene in direzione opposta rispetto all’operazione di riempimento, è ciò che caratterizza il funzionamento della stazione di pompaggio KSB AmaDS³. Le acque reflue non trattate fluiscono attraverso la saracinesca (componente opzionale) e la flangia del collettore d’afflusso, giungendo in primis al ripartitore di flusso e successivamente al separatore dei solidi; a questo punto, le acque di scarico, prive di corpi solidi grossolani, fluiscono attraverso i gruppi pompa nel serbatoio di raccolta, dove vengono temporaneamente immagazzinate, fino al raggiungimento del livello predefinito (Figura 2 a pagina seguente). Non appena viene raggiunto il livello massimo prestabilito, un quadro di comando aziona uno dei due gruppi pompa che, entrando in funzione, convoglia le acque di scarico prive di corpi solidi del serbatoio di raccolta verso la tubazione di mandata. L’aumento di pressione all’interno del separatore dei solidi induce la chiusura autonoma della valvola di ritegno posta sulla tubazione di arrivo. Le acque reflue convogliate espellono i corpi solidi presenti nel separatore e puliscono nel contempo la griglia di separazione (Figura 3 a pagina seguente). Quando il livello delle acque reflue pretrattate presenti nel serbatoio raggiunge il limite inferiore prestabilito, il gruppo pompa viene arrestato. La valvola di ritegno


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Figura 2. Fase di riempimento A monte delle pompe, i solidi vengono separati dall’acqua di scarico e immagazzinati temporaneamente nei separatori. Solo il flusso di acque scorre attraverso le pompe.

Figura 3. Fase di pompaggio Il flusso di acque reflue pretratte viene pompata attraverso i separatori dei solidi nella direzione opposta e porta i solidi fuori dai separatori e nella linea di scarico. Attraverso questo processo i separatori dei solidi vengono puliti e sono pronti per la fase successiva di riempimento.

posta sulla tubazione di arrivo si apre autonomamente e la fase di riempimento comincia di nuovo. L’alternanza 1 a 1 dei cicli di funzionamento sulle pompe permette un continuo afflusso di liquidi e reflui, su almeno una delle due linee, anche quando il sistema è in fase di pompaggio. Un sistema di troppo-pieno creato sul ripartitore permette sicuri ed efficienti funzionamenti continui del sistema anche in caso di messa in manutenzione di una delle due linee.

normale, che forniscono un rendimento e una prevalenza maggiori rispetto alle stazioni di pompaggio delle acque reflue convenzionali. La riduzione del fenomeno di usura per abrasione e la diminuzione delle interruzioni di funzionamento causate dall’intasamento, unitamente al fatto di costituire una soluzione valida per i recapiti a lunga distanza, contribuiscono all’aumento dell’efficienza della stazione di pompaggio KSB AmaDS³ (Figura 4) sia dal punto di vista operativo, sia dal punto di vista economico.

Figura 4. AmaDS³ – Versione compatta

Sicurezza e facilità di manutenzione La ridondanza completa di tutti i componenti di rilievo consente la riparazione di una pompa durante il funzionamento, purché provvista di saracinesca. L’impianto è installato a secco e nasce per essere a perfetta tenuta e prova d’odore: presenta quindi condizioni di lavoro igieniche ed un elevato livello di sicurezza per gli interventi di manutenzione e riparazione. La vasca di acciaio inox garantisce una perfetta pulizia esente da spurghi, ed essendo tutti i principali componenti, compresi i separatori dei corpi solidi, posizionati all’esterno e facilmente accessibili, gli interventi di manutenzione risultano semplici e veloci. KSB Italia S.p.A. – Via M. D’Azeglio 32, Concorezzo (MB) 20863 – www.ksb.it – info@ksb.it.

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Efficienza ed affidabilità operativa Dal momento che il fluido elaborato dai gruppi pompa è privo di corpi solidi, possono essere utilizzate pompe con passaggi liberi ridotti minori del

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INFORMAZIONI DALLE AZIENDE COMIECO GUARDA AL 2030 E RENDICONTA I RISULTATI RAGGIUNTI SECONDO GLI SDGS Alla domanda “come sarà il mondo in cui vogliamo vivere?” Comieco risponde con un rinnovato impegno a favore dello sviluppo sostenibile che guarda lontano. Almeno quindici anni. Nel 2015 i 193 paesi membri dell’Onu (Organizzazione delle Nazioni Unite) hanno aderito all’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile fissando 17 obiettivi globali – i cosiddetti SDGs, Sustainable Development Goals – da realizzare entro il 2030. Sono obiettivi che mirano a perseguire attraverso azioni concrete uno sviluppo capace di coniugare la crescita economica con la tutela dell’ambiente e il rispetto dei principi di equità sociale. Non è nuovo l’approccio sociale nello sviluppo delle attività del Consorzio che ha realizzato nel tempo diverse iniziative in un’ottica di responsabilità sociale e ambientale del packaging. Ne è un esempio il lavoro di ricerca per la progettazione ambientale e sociale degli imballaggi in carta e cartone (“Il buon packaging”, ed. Dativo) svolto in collaborazione con l’Università Iuav di Venezia che ha portato alla realizzazione di una check-list utile ai designer e aziende nella fase di progettazione o revisione di un imballaggio. Gli obiettivi al 2030 individuati dall’Onu guardano lontano e coinvolgono l’intera filiera cartaria intorno alle grandi sfide del nostro secolo come la lotta alla fame e il contrasto al cambiamento climatico. Tutti sono chiamati a partecipare a un grande piano d’azione comune per costruire un futuro migliore. Comieco ha quindi avviato di recente un processo mirato a valutare ed approfondire il contributo che il Consorzio

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Le Aziende informano

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può dare per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, in linea con la strategia nazionale. Risultati e azioni 2017 sono ricondotte al goal di riferimento (ad eccezione dei goal 1, 5 e 10) , si riporta di seguito una sintesi:

2. Sconfiggere la fame nel mondo L’imballaggio ha come ruolo principale l’igiene e la protezione e può contribuire fattivamente a ridurre lo spreco di alimenti. Comieco, attraverso la promozione dell’uso corretto degli imballi da parte del consumatore e la diffusione presso le aziende di nuove barriere, materiali o tecnologie (imballaggi attivi) contribuisce alla lotta allo spreco alimentare. Importante è stato ed è ancora il contributo del Consorzio nella diffusione della doggy-bag (progetto «Se avanzo mangiatemi»).

3. Buona salute La progettazione, la produzione e l’uso dell’imballaggio dipendono strettamente dalle caratteristiche specifiche dei prodotti che deve contenere. Questo è vero soprattutto relativamente alla necessità di garantire che gli alimenti non vengano contaminati. La sicurezza dei prodotti alimentari, in un senso più ampio, costituisce una parte fondante delle politiche dell’Unione Europea e Comieco promuove imballaggi sicuri e sostenibili.

4. Istruzione di qualità Comieco favorisce la cultura della sostenibilità con azioni dedicate in particolare ai giovani, che sono i più preziosi alleati per divulgare la cultura del riciclo. Le attività rivolte a loro nel 2017 sono state: → RicicloAperto: oltre 20.000 visitatori → Carta d’Imbarco: 3.850 studenti coinvolti → Palacomieco: oltre 13.500 visitatori → Green Game: 11.743 studenti e 152 docenti

6. Acqua pulita e servizi igienico-sanitari Le cartiere italiane, associate a Comieco, operano per un uso ottimizzato della risorse idriche. Oggi per pro-


durre 1 tonnellata di carta si usano 24 metri cubi di acqua, nel 1970 ne occorrevano 100. Generalmente il 90% dell’acqua che si impiega nel processo produttivo è acqua di riciclo, mentre solo il restante 10% è costituito da acqua di primo impiego. Anche la qualità delle acque reflue è monitorata ed è significativamente migliorata negli anni.

7. Energia rinnovabile

Laura Badalucco

il buon packaging imballaggi responsabili in carta, cartoncino e cartone

Nella filiera di produzione e riciclo degli imballaggi in carta e cartone si registra un miglioramento dell’efficienza energetica pari a quasi il 30% negli ultimi 25 anni. L’industria cartaria italiana ha condiviso a livello europeo la Roadmap 2050, che traccia un percorso per ridurre le emissioni dell’80% nel 2050, implementando anche l’uso delle energie rinnovabili.

8. Buona occupazione e crescita economica La filiera carta e grafica nel 2017 rappresenta un mercato da 24,3 miliardi di euro di fatturato (1,4% PIL), con un saldo positivo della bilancia commerciale di 3,6 miliardi di Euro. Sono 170.000 gli addetti attivi in oltre 18.100 imprese mentre l’indotto occupazionale è di 400.000 addetti.

9. Innovazione e infrastrutture Comieco Factory ha lanciato il Bando Invenzioni per premiare i nuovi brevetti degli imballaggi sostenibile e per far emergere la Ricerca e Sviluppo delle Imprese, che si sviluppa in Italia insieme ai centri di ricerca e Università. Il progetto Fiber Tester (analisi automatizzata del macero in ingresso negli impianti) sta permettendo di aumentare le conoscenze sulle caratteristiche delle fibre usate.

Le Aziende informano

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Edizioni Dativo

Il buon packaging - Imballaggi responsabili in carta, cartone e cartoncino” di Laura Badalucco, Edizioni Dativo

14. Flora e fauna acquatica Per prevenire e ridurre l’inquinamento marino occorre sostituire l’uso di materiali non biodegradabili che possono disperdersi nell’ambiente a seguito dell’uso in mare o sulla terraferma. Comieco lavora con le aziende per l’implementazione di imballaggi sempre più performanti e sostenibili.

15. Flora e fauna terrestre Comieco promuove l’immissione sul mercato di imballaggi in carta, cartone e cartoncino contrassegnati dai loghi della gestione sostenibile delle foreste (FSC, PEFC). Sono oltre mille le aziende già certificate.

11. Città e comunità sostenibili

12. Consumo responsabile Anche per mezzo di Comieco l’Italia è leader in Europa per il riciclo di carta e cartone: ogni minuto vengono riciclate 10 tonnellate di macero e ad oggi il tasso di riciclo raggiunge l’80%. Comieco opera per raggiungere l’85% di riciclo nel 2030 e nel contempo promuove la prevenzione favorendo la produzione di imballaggi più leggeri, rinnovabili, compostabili e riciclabili.

13. Lotta contro il cambiamento climatico Tra i benefici più evidenti e consistenti del riciclo vi sono quelli energetici e quelli relativi alle emissioni climalteranti. Nel 2017 si valuta che a fronte di 3,9 milioni di t di imballaggi cellulosi riciclati sono state evitate emissioni di CO2 equivalenti per oltre 2,6 milioni di tonnellate. (fonte: D. Bianchi, Economia circolare in Italia).

16. Pace e giustizia Comieco ha adottato il modello organizzativo 231/01. Il Consorzio ha adottato inoltre volontariamente dal 2001 un Codice di autodisciplina che definisce i principi di buona condotta a cui debbono attenersi gli amministratori del consorzio.

17. Partnership per gli obiettivi Solo una stretta collaborazione tra tutti gli stakeholders può permettere di raggiungere gli obiettivi prefissati. Comieco rappresenta 3.300 imprese della filiera di produzione e riciclo degli imballaggi in carta e cartone, opera sul territorio mediante centinaia di convenzionati e collabora con gli utilizzatori all’interno del Club Carta e Cartoni. È membro della Federazione Carta e Grafica, aderisce al Consiglio Nazionale degli Stati Generali della Green Economy, e collabora con numerosi Enti, Associazioni e Università. Per informazioni: Comieco, Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli imballaggi a base Cellulosica, www.comieco.org.

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Nel 2017 Comieco ha trasferito ai Comuni per i servizi di Raccolta differenziata 110,3 milioni di euro (+8,6% rispetto al 2016). Sono inoltre stati impegnati 6,2 milioni di euro, in 4 anni, per progetti di sviluppo della raccolta al Sud.

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METEO CHE SCEGLI TEMPO CHE TROVI. GUIDA ALLE PREVISIONI METEO DI APP, WEB E TV Serena Giacomin Imprimatur, 2018, pagg. 144, 14,50€ – Formato: 14×21 brossura con bandelle – ISBN: 9788868307097 Basta con previsioni del tempo esagerate e spesso scorrette. A far chiarezza nella giungla di fake news, ci pensa la meteorologa del Centro Epson Meteo e presidente dell’Italian Climate Network Serena Giacomin nel suo libro Meteo che scegli, tempo che trovi. Guida alle previsioni meteo di app, web e tv. “Serena, manca un mese al mio matrimonio, riesci a dirmi se farà bello?”. Nonostante i tantissimi siti di previsioni a lungo e lunghissimo termine, non è possibile sapere con certezza come sarà il tempo perché le condizioni meteorologiche cambiano continuamente. Nonostante ciò il web è pieno di siti e app che prevedono “esattamente” che tempo farà persino a mesi di distanza. “Usando questa popolarità dell’informazione meteorologica per potenziare il business pubblicitario nella realtà commerciale del web – spiega Serena Giacomin nel suo libro – si è consolidata l’abitudine di gonfiare in modo sensazionalistico qualsiasi evento in arrivo pur di far galoppare i contatori dei click”. “Ma quale risultato abbiamo ottenuto? Gli articoli e questi siti truffa sono molto seguiti, ma la gente è talmente abituata a ricevere informazioni gonfiate, che le prende per quello che sono”. Così un’abbondante nevicata in Basilicata ha colto la popolazione di sorpresa, perché la gente pensava che si trattasse del solito allarme ingiustificato. La meteorologia non dovrebbe essere trattata come una moda, perché si tratta di una scienza “fondamentale per aumentare la sicurezza dei cittadini grazie alla previsione di ondate di freddo o di caldo e all’emissione di allerta meteo in caso di forti piogge e possibili allagamenti”. Anche le forze armate fanno uso delle previsioni per proteggere le truppe, l’equipaggiamento e pianificare le strategie militari. Il libro non è un trattato scientifico, ma aiuta a districarsi nel groviglio di meteo-bufale e luoghi comuni che circondano il clima. Su alcuni, è inciampato persino il presidente degli Stati Uniti, Trump quando, commentando un’ondata di freddo negli Usa, ha portato quell’evento atmosferico a dimostrazione della falsità del problema del climate change. Il libro spiega anche le ragioni di queste ondate di freddo, a cui si contrappongono nell’Artico temperature anche 25 volte superiori alla media stagionale. “Il 2017 – è spiegato nel libro – è stato il terzo anno più caldo degli ultimi 138 anni per la Noaa (mentre il secondo anno più caldo di sempre per la Nasa), mettendosi in coda al 2015 (+0,91°C) e al 2016 (+0,95°C)”. Sabrina Pignedoli– sabrina@imprimatureditore.it | +39 3393281476 Sito internet per maggiori informazioni: http://www.imprimatureditore.it

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Il Gruppo Italiano di Ingegneria Sanitaria-Ambientale (GITISA) è l’Associazione dei docenti universitari inquadrati nel Settore Scientifico Disciplinare (SSD) denominato Ingegneria Sanitaria-Ambientale, che operano in oltre 25 Atenei italiani. I contenuti delle discipline afferenti al SSD riguardano: gli aspetti ingegneristici della tutela e della prevenzione dall’inquinamento degli ecosistemi; la progettazione, la valutazione d’impatto, la costruzione e la gestione di impianti per la depurazione e la potabilizzazione delle acque nonché opere ed impianti per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi e degli effluenti gassosi; gli interventi di risanamento e bonifica di siti contaminati. Il GITISA, all’interno dell’ambito di specifica pertinenza, ha lo scopo di promuovere e coordinare sia le attività didattiche, che quelle di ricerca. All’uopo, esplica la sua attività mediante gruppi di lavoro, assemblee e incontri, collaborando altresì all’organizzazione di congressi, simposi, summer-school, anche congiuntamente ad altre associazioni ed Enti scientifici, sia nazionali che esteri.

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Riferimenti: Tel. 081.7683440, Fax: 081.7683456, www.gitisa.it

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VALUTAZIONE E IMPATTO AMBIENTALE – MANUALE TECNICO-OPERATIVO PER LA ELABORAZIONE DI STUDI DI IMPATTO AMBIENTALE Michele M. Monte, Vincenzo Torretta Hoepli, Milano, 2016, pagg. 256, 34,90€ – Formato: Libro, copertina plastificata, 17x24 cm – ISBN: 978-88-203-7552-2 Il primo manuale tecnico operativo pensato per affrontare e supportare lo sviluppo della documentazione tecnica richiesta dai procedimenti di Valutazione di Impatto Ambientale di un progetto. La V.I.A. e gli strumenti tecnici ad essa connessi, pur essendo ormai entrata in modo pervasivo nelle pratiche e nella formazione delle decisioni, sconta tuttavia un evidente deficit di formazione. Il testo è stato pensato e scritto per le diverse figure e soggetti che a vario titolo sono protagonisti di questo tipo di procedimenti: istituzioni ed enti locali, strutture di valutazione, servizi interni agli enti territoriali, professionisti, pubblico, stakeholders, associazioni ambientaliste e imprenditori, progettisti e proponenti. Il libro si sviluppa dando forma ad un manuale operativo che prevede: un’ampia trattazione del rapporto tra procedure di valutazione ambientale e livelli di progettazione; la descrizione delle principali questioni metodologiche di impostazione legate alla lettura del progetto o della trasformazione oggetto di studio di impatto ambientale; l’interpretazione e le diverse tipologie di problem setting nella esecuzione di un S.I.A. con la conseguente valorizzazione del Quadro di Riferimento Progettuale; la descrizione delle metodologie operative per la definizione, costruzione e l’utilizzo del Quadro di Riferimento Programmatico; la descrizione delle metodologie operative per l’indagine e lo sviluppo delle analisi e delle valutazioni per ciascuna delle componenti ambientali previste in un S.I.A. e riferibili al Quadro di Riferimento Ambientale (ad es. lo studio di traffico, la valutazione acustica; l’analisi e la valutazione idrogeologica; ecc.).

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sara.giudice@hoepli.it, www.hoepli.it

Maggiori informazioni sulle attività dell’Associazione sono disponibili sul sito www.ingegneriambientali.it

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AIAT nasce nel 1999 come associazione di laureati e studenti del corso di laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio del Politecnico di Milano. Divenuta in breve tempo uno dei punti di riferimento per le professionalità ambientali in Italia, nel 2008 modifica il proprio Statuto per dare risposta alle molte richieste di adesione ricevute da parte di ingegneri ambientali laureati in altri Atenei e da ingegneri con curriculum accademico e professionale equiparabile a quello dell’Ingegnere per l’Ambiente e il Territorio. Ad oggi riunisce quindi numerose centinaia di iscritti individuali provenienti da tutto il territorio nazionale, nonché numerosi soci sostenitori aziendali. Lo spirito è quello del networking e della condivisione di informazioni professionali, di opportunità lavorative e di formazione. Oltre a veicolare numerose proposte di lavoro per Ingegneri Ambientali, AIAT si occupa infatti di definire accordi per l’accesso ad iniziative formative a condizioni agevolate per i propri iscritti. Inoltre molto spesso vengono concertate possibilità di accesso gratuito a corsi o convegni per neolaureati in cerca di occupazione. In aggiunta alle iniziative di carattere nazionale, molte attività sono portate avanti a livello locale da parte delle Sezioni Territoriali Regionali, che coprono ormai buona parte del territorio italiano. Oltre ad organizzare convegni dedicati alla figura professionale dell’Ingegnere Ambientale, AIAT ne monitora periodicamente la condizione occupazionale mediante un’indagine conoscitiva triennale. AIAT dispone di un Comitato Scientifico, istituito allo scopo di fornire un adeguato supporto tecnico-scientifico al Consiglio Direttivo su questioni di interesse dell’Associazione (richieste di patrocini, stesura di position papers, ecc.). Dal 2002 AIAT è presente anche in Europa tramite l’adesione ad ENEP, il Network Europeo dei Professionisti Ambientali, una realtà che riunisce ormai più di 40.000 professionisti europei dell’ambiente.

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INGEGNERIA SANITARIA AMBIENTALE Massimo Raboni, Vincenzo Torretta, Giordano Urbini Flaccovio Editore, Palermo, 2015, pagg. 876, 90,00€ Formato: cartaceo ed e-book – ISBN: 978-88-579-0352-1 Il volume tratta gli argomenti centrali dell’Ingegneria Sanitaria-Ambientale (Acqua, Rifiuti e Aria) con un approccio rivolto alla descrizione dei processi e ai criteri di calcolo. Come tale, ha un carattere tecnicoscientifico e progettuale, ma sviluppato con la necessaria gradualità al fine di renderlo facilmente comprensibile anche a studenti, giovani ingegneri e non soltanto a soggetti già esperti della materia. Il settore dell’Acqua è quello che ha richiesto maggiore impegno in virtù dei notevoli sviluppi processistici che si sono avuti in questi ultimi anni, sia nel trattamento delle acque reflue che nel trattamento delle acque di approvvigionamento. Per questo settore vengono dapprima caratterizzate le acque da un punto di vista qualitativo e quantitativo per poi trattare i vari processi biologici e chimico-fisici che trovano effettiva applicazione in piena scala, inclusi anche i processi oggi considerati tra i più avanzati, come ad esempio i processi biologici MBR e i processi a letto biologico sommerso. Ampia attenzione è dedicata anche al riciclo delle acque per l’importanza che ha già attualmente e per i notevoli sviluppi attesi in futuro, anche nel nostro contesto nazionale. Analogamente, gli Autori hanno dedicato uno specifico ampio capitolo alla prevenzione dei fenomeni di inquinamento dei corpi idrici superficiali e ai progetti per il loro risanamento (interventi per risolvere i problemi di eutrofizzazione dei bacini idrici a debole ricambio; interventi relativi agli scarichi a mare mediante condotte sottomarine; interventi di risanamento di corsi d’acqua superficiali). Nel settore dei Rifiuti sono ampiamente trattati gli argomenti che contribuiscono alla soluzione integrata di recupero/trattamento/smaltimento dei rifiuti urbani, dalla raccolta differenziata, processi di trattamento per la produzione di compost, per la biogassificazione, per la produzione di combustibile solido secondario e infine per la termodistruzione e lo smaltimento in discarica controllata. Uno specifico capitolo è stato dedicato al trattamento dei rifiuti industriali ponendo attenzione sia alle complesse fasi di trattamento (biologico-chimico-fisico e termico) sia alle delicate fasi di controllo della qualità dei rifiuti, dell’efficienza di recupero/trattamento e dell’efficienza dei sistemi di controllo ambientale. Infine anche il settore Aria è stato trattato con una certa organicità partendo dall’analisi degli inquinanti e dei relativi effetti sull’uomo e sull’ambiente fino a rappresentare i diversi processi oggi disponibili per il trattamento delle emissioni. In relazione ai contenuti sinteticamente esposti, il volume è indirizzato a studenti di Ingegneria e di altri indirizzi con interessi applicativi rivolti alla difesa dell’ambiente ed a soggetti che necessitano di una base aggiornata di riferimento per la propria professione nel settore ambientale. info@darioflaccovio.it – www.darioflaccovio.it

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INDICE

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Cap. 1. Caratteristiche delle acque Cap. 2. Operazioni unitarie e definizione dei processi di trattamento Cap. 3. Trattamenti meccanici preliminari e sollevamento Cap. 4. Sedimentazione Cap. 5. Processi biologici per la depurazione: aspetti generali e classificazione Cap. 6. Processo biologico a fanghi attivi Cap. 7. Schemi di impianti completi e varianti del processo a fanghi attivi Cap. 8. Processo biologico a fanghi attivi integrato con la rimozione dei nutrienti Cap. 9. Impianti biologici a colture adese Cap. 10. Altri processi biologici Cap. 11. Trattamento combinato di liquami urbani e industriali Cap. 12. Chiari-flocculazione Cap. 13. Filtrazione su mezzo granulare

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Cap. 14. Cap. 15. Cap. 16. Cap. 17. Cap. 18. Cap. 19. Cap. 20. Cap. 21. Cap. 22. Cap. 23. Cap. 24. Cap. 25. Cap. 26. Cap. 27. Cap. 28.

Adsorbimento su carbone attivo Disinfezione Impianti di potabilizzazione di acque superficiali Altri processi chimico-fisici Risparmio e riuso delle acque Prevenzione e risanamento dei corpi idrici superficiali Produzione, qualità e indirizzi di smaltimento dei rifiuti Compostaggio di matrici organiche Digestione anaerobica di matrici organiche e recupero di energia Termodistruzione dei rifiuti e recupero di energia Trattamento dei rifiuti industriali La discarica controllata di rifiuti Inquinamento atmosferico Modellistica di settore Trattamento delle emissioni


TRATTAMENTO DELLE EMISSIONI IN ATMOSFERA Quaderni del manuale dell’Ingegnere Stefano Cernuschi, Michele Giugliano e Giovanni Lonati Hoepli, Per informazioni: Tel. 02.23996400 – www.hoepli.it Giugno 2014, pagg. VI+128, 15,90€ (versione cartacea; formato 17 x 24 cm), 8,99€ (versione eBook Watermark DRM) ISBN: 978-88-203-634-37

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La crescente attenzione che coinvolge la qualità dell’aria, intesa come fondamentale componente della qualità della vita, ha determinato profondi cambiamenti nel ruolo della tecnologia di depurazione, finalizzata a prevenire l’emissione degli inquinanti. Il volume, che raccoglie in veste autonoma i temi di ingegneria ambientale presenti nell’85a edizione del Nuovo Colombo, Manuale dell’ingegnere, espone le principali caratteristiche delle tecniche di controllo degli scarichi gassosi in atmosfera. La trattazione illustra l’inquadramento normativo aggiornato e presenta una rassegna delle più attuali tecnologie del settore. Il linguaggio concreto ed essenziale fornisce una valida base formativa sui principali aspetti ingegneristici della materia e rende il testo un utile riferimento specifico per la preparazione all’Esame di stato per l’abilitazione professionale degli ingegneri ambientali.

ENVIRONMENTAL SYSTEMS ANALYSIS WITH MATLAB ®

Nella letteratura tecnica sull’ambiente ci sono molti testi che trattano in modo approfondito campi specifici, come la qualità dell’acqua, dell’aria o del suolo, le biotecnologie ambientali, o a dinamica delle popolazioni e dei sistemi ecologici. Questo libro segue un approccio più generale ed esamina gli aspetti metodologici che permettono di unificare questi vari settori, apparentemente così distanti fra di loro, utilizzando gli strumenti della teoria dei sistemi. In tal modo si realizzano dei modelli matematici, che permettono di spiegare il comportamento di tali sistemi complessi e prevederne l’evoluzione entro certe condizioni. Il libro è suddiviso un due parti principali: nei primi quattro capitoli si esaminano le tecniche di base della teoria dei sistemi (struttura di u n sistema dinamico, suo comportamento, ruolo ed identificazione dei suoi parametri) sia nella teoria “classica” dei modello meccanicistici che in quella, più recente, dei modelli basati sui dati (data-driven models) nei quali non si ricorre alle leggi della fisica, della chimica o della biologia, ma si costruisce un modello solamente basandosi sulla evidenza fornita dai dati sperimentali. In questo ambito si pone in evidenza l’utilità e l’efficacia della logica fuzzy, dimostrando come si possa sviluppare un modello che descrive un comportamento complesso basandosi unicamente sui dati. Ampia enfasi viene data alla calibrazione parametrica dei modelli, che permette di adattare il loro comportamento alle osservazioni sperimentali. Nella seconda parte, si applicano tali metodi a specifici settori dell’ambiente, quali la dinamica delle popolazione, la qualità delle acque superficiali, e la dinamica dei microorganismi, che sta alla base di ogni processo ambientale e dei processi di depurazione biologica in particolare. Infine nell’ultimo capitolo si descrivono alcune applicazioni di queste tecniche a studi di caso nel settore dell’ecologia dei sistemi acquatici. Nel libro si fa ampio uso della piattaforma MATLAB® come linguaggio di sviluppo dei modelli, attraverso la descrizione dettagliata dei codici e la possibilità di scaricare gratuitamente dal sito dell’Editore tutti gli esercizi descritti nel testo. Il volume è in lingua inglese.

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Stefano Marsili-Libelli CRC PRess, e-mail: orders@crcpress.com, www.crcpress.com Marzo 2016, pagg. 540, $179.95/£114.00 ISBN: 978-1-4987-0635-3

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SEMBRAVA NEVICASSE. LA ETERNIT DI CASALE MONFERRATO E LA FIBRONIT DI BRONI: DUE COMUNITÀ DI FRONTE ALL’AMIANTO Bruno Ziglioli Franco Angeli editore; collana Storia/studi e ricerche; 1a edizione 2016; pp. 160; € 14,00; ISBN: 9788891748331

L’amianto è stato a lungo considerato un materiale straordinario per le sue eccezionali caratteristiche fisiche e chimiche, per la sua grande versatilità di impiego, nonché per la sua economicità. Soprattutto nella seconda metà del Novecento, il suo sfruttamento industriale è stato massiccio in moltissimi settori produttivi, in particolare nella fabbricazione di manufatti in fibrocemento per l’edilizia. Tuttavia, con il trascorrere del tempo, il minerale si è rivelato fortemente nocivo per la salute umana, soprattutto per i polmoni: esposizioni massicce e prolungate possono condurre all’asbestosi, una grave patologia cronica riscontrabile in molti lavoratori; invece, inalazioni anche minime possono provocare il terribile mesotelioma, una neoplasia della pleura che può insorgere anche dopo decenni di incubazione. Così sono stati colpiti dalla malattia non solo un gran numero di operai degli stabilimenti di lavorazione del minerale, ma anche gli abitanti dei centri urbani circostanti. Nelle città che hanno ospitato fabbriche in cui si adoperava l’amianto, il mesotelioma ha colpito severamente la comunità, andando a interferire con la sua percezione di sé stessa. Ricorrendo a fonti inedite, anche orali, l’Autore ricostruisce la storia della contaminazione da amianto in due casi fra i più gravi in Italia: quello maggiormente conosciuto di Casale Monferrato e quello meno noto di Broni, nell’Oltrepò Pavese. Lo studio degli attori politici e sociali sul territorio ha consentito di indagare analogie e differenze tra le due vicende, in particolare i difficili percorsi attraverso i quali il dramma collettivo si è integrato nell’identità comunitaria dei due centri urbani. Ciò fornisce un quadro vivido delle diverse modalità con cui opera il trade-off tra salute e lavoro nelle città industriali.

Sull’Autore: Bruno Ziglioli è ricercatore di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Pavia, dove insegna Storia dei movimenti e dei partiti politici. È membro del comitato scientifico della Fondazione Lombardia per l’Ambiente e collabora con l’Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia. Si occupa di storia dell’ambiente, dell’antifascismo, dell’Italia repubblicana e di élite politiche nell’Ottocento. Ha pubblicato in questa collana La mina vagante. Il disastro di Seveso e la solidarietà nazionale (2010). Per informazioni: vendite@francoangeli.it

SOMMARIO • Introduzione

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• L’amianto nel mondo e in Italia – La fibra miracolosa – Polvere grigia nel Belpaese – Le Spoon River dell’amianto

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• “Un posto sicuro”: la Eternit di Casale Monferrato – Le lotte sindacali per la salute

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– La “bomba mesoteliomi” e la chiusura della fabbrica – L’associazione delle vittime, i processi, la memoria • “Prima il lavoro”: Broni e la Fibronit – Una storia diversa – Voci dalla fabbrica e dalla città – Una memoria difficile: lo stigma dell’amianto • Assenze e presenze: considerazioni conclusive


Avvisi

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IWALGAE2019 – IWA CONFERENCE ON ALGAL TECHNOLOGIES AND STABILISATION PONDS FOR WASTEWATER TREATMENT AND RESOURCE RECOVERY 1-2 luglio 2019 Valladolid (Palacio Conde Ansúrez conference center), Spain Organizzato da Valladolid University, Spain – Dr. Raúl Muñoz Torre, Nel contesto di uno sviluppo globale sempre più sostenibile, il trattamento delle acque reflue deve subire nel XXI secolo una drastica revisione delle sue attuali pratiche, puntando a migliorare l’efficienza energetica e al recupero di risorse, pur nel rispetto delle sempre più severe normative ambientali. A questo scopo si stanno sempre più affermando processi biologici che sfruttano organismi fotosintetici accresciuti utilizzando fotoreattori o sistemi più semplici di lagunaggio, fin’ora studiati e sviluppati in ambiti industriali quali la produzioni di biocarburanti, la nutraceutica e la farmaceutica. Allo stesso modo, le acque reflue rappresentano una fonte promettente di nutrienti e carbonio inorganico per la produzione di massa di prodotti a base algale. L’opportunità di riunire le competenze relative alla produzione intensiva ed estensiva di organismi fotosintetici costituirà un’opportunità unica di discussione e dibattito sui più recenti sviluppi scientifici e tecnici in un ambito di ricerca che è cresciuto esponenzialmente nel corso dell’ultimo decennio.

Invio degli Abstracts: extended abstract (2 pagine) entro il 15 Dicembre 2018.

IWAlgae2019@uva.es – www.iwalgae2019.uva.es Ingegneria dell’Ambiente Vol. 5 n. 3/2018

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Nell’ambito del trattamento delle acque reflue con organismi fotosintetici, si svilupperanno i seguenti temi: soluzioni tecniche (fotobioreattori e sistemi di lagunaggio); metodi sperimentali, respirometria, monitoraggio, modellizzazione e controllo di processo; interazioni alghe/batteri ed ecologia microbica; tecnologie basate su microalghe, macroalghe e batteri purpurei; produzione di biocombustibili; trattamento dei gas di scarico e cattura di gas a effetto serra (compreso l’up-grading del biogas); tecnologie di raccolta; valorizzazione della biomassa algale, bioraffinerie a base di alghe; LCA; interazioni di alghe-batteri-patogeni.

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LA PIÙ GRANDE INVENZIONE DOPO LA RUOTA.

Asfalti modificati con gomma riciclata: la risposta italiana all’inquinamento acustico. L’inquinamento acustico è un grave fattore di disturbo, responsabile in Europa di oltre 10.000 decessi prematuri ogni anno1. La Commissione Europea ha già avviato una procedura di infrazione per inadempienze contro il nostro Paese, che ora rischia il deferimento alla Corte di giustizia dell’Unione. Per le strade però la soluzione esiste già, anche se purtroppo ancora non sfruttata a pieno: sono gli asfalti “silenziosi” modificati con gomma riciclata da Pneumatici Fuori Uso. Un materiale dalle eccezionali performance che consente di dimezzare il rumore generato dal passaggio dei veicoli. Non solo: minore formazione di fessure e buche, ottima aderenza degli pneumatici ed eccezionale durata della pavimentazione sono gli altri vantaggi riscontrabili su 450 km di strade già realizzate ad oggi, in Italia, con una tecnologia che consentirebbe a Pubblica Amministrazione ed Enti gestori di investire al meglio le risorse per le infrastrutture stradali, riducendo i disagi per gli utenti ed utilizzando un materiale 100% made in Italy. Il problema è sotto i vostri occhi, la soluzione può essere sotto le vostre ruote. www.ecopneus.it 1

Fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità


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INGEGNE RIA DE LL’A M B I E N T E Ingegneria dell’Ambiente (IDA) è una rivista scientifica ad accesso aperto (open access) nata nel 2014 da un’iniziativa della Sezione Ambientale del Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale del Politecnico di Milano. La rivista è gratuita per autori e lettori (open access) ed è dotata di un sistema di revisione paritaria (peer-review).

Contributi su altri temi possono essere proposti indicando i legami con l’Ingegneria Sanitaria Ambientale, e saranno valutati dalla Direzione Scientifica della rivista. Devono essere originali nell’ambito delle pubblicazioni in lingua italiana, ossia non devono essere stati pubblicati nella stessa forma in atti di convegni o su altre riviste in lingua italiana.

Ingegneria dell’Ambiente pubblica articoli riguardanti la ricerca tecnico-scientifica nei campi di interesse dell’Ingegneria Sanitaria-Ambientale e si propone come strumento in lingua italiana per raggiungere e dialogare con tecnici ambientali, liberi professionisti, funzionari della pubblica amministrazione, formatori ed Enti di controllo.

Ingegneria dell’Ambiente pubblica: • Articoli di ricerca, che illustrano risultati di ricerche tecnico-scientifiche. • Articoli di review, che illustrano lo stato dell’arte. • Comunicazioni tecnico-scientifiche, che illustrano risultati di progetti dimostrativi o soluzioni applicative innovative. • Brevi resoconti di convegni o mostre. • Recensioni di volumi, italiani e stranieri, di interesse per i campi dell’Ingegneria Sanitaria Ambientale. • Editoriali o testi generali di inquadramento di temi di particolare rilevanza dell’Ingegneria Sanitaria Ambientale, scritti con un linguaggio divulgativo (su invito della Direzione Scientifica o del Comitato Scientifico).

La rivista ospita contributi in lingua italiana; ma sono richiesti anche un titolo e un abstract in inglese. I temi di interesse della rivista sono: • Tecnologie per acque di approvvigionamento e di rifiuto. • Riuso e recupero di energia e materia. • Inquinamento dell’aria e depurazione delle emissioni in atmosfera. • Inquinamento delle acque. • Bonifiche dei suoli contaminati. • Trattamento e gestione dei rifiuti. • Valutazione di impatto ambientale. • Cambiamenti climatici. • Analisi del ciclo di vita. • Energia e ambiente. • Sistemi di gestione ambientale. • Caratterizzazione, monitoraggio e modellistica dei fenomeni di inquinamento ambientale.

Per l’invio di proposte utilizzare la piattaforma all’indirizzo: www.ingegneriadellambiente.net

Ingegneria dell’Ambiente ha il patrocinio di: o GITISA (Gruppo Italiano di Ingegneria Sanitaria, www.gitisa.it) o AIAT (Associazione Ingegneri per l’Ambiente e il Territorio, www.ingegneriambientali.it).

Ingegneria dell’Ambiente è riconosciuta da: ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) come rivista scientifica dell’Area 08.

La rivista è disponibile on-line all’indirizzo:

Ingegneria dell’Ambiente è indicizzata in Google Scholar. La pubblicazione su Ingegneria dell’Ambiente è riconosciuta ai fini dell’ottenimento di 5 crediti per la formazione informale prevista degli Ordini Professionali

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Copertina IdA-3-2018__80 pagine 5mm 25/10/2018 12:15 Pagina 1

IdA

INDEX EDITORIAL

VOL. 5 NUM. 3 2018

Contaminants of emerging concern in water: what is known and what is unknown? – Paola Verlicchi

INGEGNE RIA DE LL’A M B I E N T E

ARTICLES

Characterization and treatment of contaminated marine sediments: the sediments of the Rada di Augusta (SR) – Lucia Lumia, Maria Gabriella Giustra, Gaspare Viviani, Gaetano di Bella PCDD/F and PCB-DL levels and toxicity in ambient air in Veneto, Italy – Luca Zagolin, Giovanna Marson, Salvatore Patti Experimental analysis of an advanced sorting plant for plastic packaging waste – Caterina Conte, Pietro Navarotto, Mario Grosso

TECHNICAL-SCIENTIFIC COMMUNICATIONS Criteria for the prioritization of climate change impact indicators: towards a national set of indicators – Francesca Giordano, Claudia Sebbio, Gabriele Antolini, Lucio Botarelli, Federica Flapp, Veronica Bonati, Luca Onorato, Nicola Loglisci, Graziella Priod, Renata Pelosini, Andrea Motroni, Umberto Morra di Cella

INGEGNERIA DELL’AMBIENTE 3/2018

State of the art and potential of the technologies for phosphorus recovery from sewage sludge – Roberto Canziani, Roberto Di Cosmo

TECHNICAL CONTRIBUTIONS FROM COMPANIES Single / multiple effect vacuum evaporators with forced circulation technology – Mirko Tremani Foto in copertina di Eco-Thecno

ISSN e e-ISSN 2420-8256

Ingegneria dell’Ambiente per il 2018 è sostenuta da:

N. 3/2018


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